Prima che legale, visto che legale lo è diventata da quando la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo, la questione è politica. Parliamo, ovviamente, del presunto «affaire» Russia-Lega.
È politico il modo in cui è stata a suo tempo affrontata l’assunzione del potere e delle responsabilità di governo, senza cioè alcuna consapevolezza di ciò che si sarebbe dovuto gestire, di quali forze, risorse e capacità occorreva dotarsi, di quale importanza avesse il contesto internazionale nel quale eravamo indissolubilmente inseriti.
Perciò, l’assenza di una linea coerente e chiara in politica internazionale, parlando con più e discordanti voci, e inseguendo improbabili intese qua e là per il mondo, la mancanza di alcuna realistica nozione dei nostri asset strategici e delle nostre debolezze, è diventato elemento di storica debolezza e di difficoltà aggiuntive. Basti osservare il tentativo di una entente con la Cina, a quello con la Russia, ai rapporti particolari di Conte con gli emirati, con il Vietnam, tutti evocati in incontri privi di una linea definita e definibile.
In sostanza, nessuno ha riflettuto sullo scontro impari che era stato ingaggiato dall’Italia contro le altre nazioni dell’Ue, in particolare con la Francia. E non perché la Francia non meriti critiche anche dure, ma perché non serviva. Serviva sopra ogni cosa non uscire - come siamo usciti - dalla troika di comando europea, retrocedendo in serie B, la serie nella quale militano gli amici di Visegrad.
A scuola, un giovane che voglia farsi strada cercherò di fare comunella con i migliori della classe, non i peggiori.
E, oggi, la Francia, nel tormentato Nord-Africa, con l’alleanza con l’Egitto ha conquistato un ruolo strategico che noi ci siamo lasciati sfuggire, dopo che Marco Minniti aveva tessuto un’efficace tela di relazioni protettive dell’Italia.
I giri di valzer potevano passare inosservati a Washington, a Bruxelles, a Berlino?
Solo l’impreparazione, la sovrastima di se stessi, l’ingenuità possono giustificare il modo goffo e rischioso con il quale si sono intessute le relazioni tra stati e tra partiti.
Nel mondo esistono servizi segreti che sono strumenti operativi primari delle guerre non dichiarate che vi si combattono. Ritenere di poter mantenere riservati i propri movimenti prima che una follia è una sciocchezza.
Tuttavia, la registrazione del colloquio moscovita del leghista Savoini, sembra appartenere alla categoria degli warning, «Ti avviso perché tu cambi registro».
È, però, possibile che ci sia dell’altro e di più e che altro possa essere raccolto oggi, domani e dopodomani, vista l’impudente iattanza con la quale vengono trattati gli affari più delicati.
Come cittadini dobbiamo aspettare gli sviluppi, se ci saranno, dell’attività giudiziaria. E dobbiamo respingere la tentazione, piuttosto diffusa nella rete, di evocare altri casi, altri possibili reati. Mi riferisco al ricorrente ritornello «E allora, i comunisti?». Una domanda lecita e anche giusta nel contesto della polemica politica e propagandistica. Una domanda inutile se ragioniamo sul tema. Il Pci ha ricevuto finanziamenti dall’Urss sino al 1981, anche in regime Berlinguer (nonostante le dimenticanze di Veltroni). Poi, la politica dell’Eurocomunismo lanciata da Botteghe Oscure ha determinato la rottura del cordone ombelicale che legava il Pci al Pcus. La Democrazia Cristiana e i partiti democratici ricevevano il sostegno degli Stati Uniti.
La fine della guerra fredda ha fatto rientrare il finanziamento estero nell’ambito dei reati più odiosi. In Italia e altrove.
Forse, la questione sollevata dalla registrazione e da altre fonti informative, non è nemmeno il finanziamento internazionale, ma una transazione energetica con tangenti.
Comunque sia, ormai dovremmo aver tutti capito che se qualcuno viene colto sul fatto non può appellarsi al passato («E allora, i comunisti?») né al presente («E allora Giovanni, Giuseppe, ecc.?»). Di fronte alla legge e agli italiani ognuno risponde per se stesso.
C’è da vedere, a questo punto, se l’uomo che ha in mano le carte, saprà giocarsele con efficacia.
Domenico Cacopardo
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