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Le reazioni dell'Italia e dell'Europa ai dazi Usa

Le reazioni dell'Italia e dell'Europa ai dazi Usa

di Domenico Cacopardo

06 Ottobre 2019, 12:40

Nell’ondivaga e, talora, autolesionistica politica dell’amministrazione americana pesa più di tutto la necessità che le ritorsioni doganali (autorizzate dal WTO in relazione ai sostegni statali accordati all’Airbus, antagonista -vincente- di Boeing nella battaglia per conquistare la primazia nel mercato degli aerei commerciali) colpiscano al cuore l’Unione europea, il nemico da rimuovere dallo scacchiere internazionale, sino a contemplare il sostegno al Regno Unito per la Brexit.
Che anche l’Italia subisca (benché nell’81 avesse respinto l’offerta di entrare nel consorzio Airbus formulataci dal governo di Mitterand, e ancora nel 2001 declinato la partecipazione al progetto di un aereo europeo per trasporto truppe e armamenti, nonché per servizio tanker) i dazi è uno di quegli effetti collaterali tipici delle guerre cruente e di quelle commerciali, ingaggiate entrambe per conquistare primati globali, sempre più illusori, in un tempo pluripolare come il nostro.
E, diciamocelo onestamente, ci sono sul tappeto diverse delicate partite tra gli Usa e l’Italia: i nostri rapporti con la Cina, in particolare per la Via della seta; l’applicazione delle sanzioni all’Iran (che invece ignoriamo o quasi anche per la presenza nei nostri cieli della Mahan Airlines, compagnia area dei Pasdaran); la posizione Usa in Libia; i rapporti con la Russia.
Tuttavia, le cose vanno guardate nella loro oggettività: il monte esportazioni europee su cui graverebbero i nuovi dazi ammonta a 7.496 miliardi di euro. Il gettito complessivo sarebbe di 6,5 miliardi.
Il valore dei prodotti italiani che l’America intende gravare è di 591 miliardi, cioè soltanto lo 0,78% del totale. 
In termini complessivi, perciò, non può negarsi che gli Stati Uniti intendano adottare la stessa tattica del codice postale applicata dalla Cina nei loro confronti (i dazi cinesi colpiscono merci prodotte in stati repubblicani), nel senso che gli amici (e noi al primo posto) dovrebbero subire un trattamento meno duro dei nemici tedeschi e francesi.
Questo ragionamento non può essere certo accettato supinamente dai settori colpiti in Italia, in particolare l’agro-alimentare col Parmigiano-Reggiano.
La partita, però, si svolge a Bruxelles. 
Per ragioni che esulano dall’oggi, l’Italia ha subito un processo di isolamento all’interno dell’Europa che ne ha indebolito peso e possibilità negoziali. Ricostruire è molto difficile né ci aiutano le diffuse inesperienze di governo. Ma, realisticamente, il recupero di un ruolo italiano nell’Unione europea è l’unica strada percorribile per far valere le nostre ragioni. Tra di esse, appunto il Parmigiano-Reggiano, diventato un prodotto critico per le importazioni degli Usa perché gli americani hanno imparato ad apprezzarlo. E a distinguerlo dalla paccottiglia e dalle sofisticazioni in circolazione. 
 Di fronte al prossimo tsunami è Bruxelles -e lì Paolo Gentiloni, commissario all’economia- che deve farsi carico delle conseguenze della decisione americana, sia rispondendo in modo adeguato, sia affrontando le aree di crisi interna che questo inopinato scontro si appresta ad aprire.
Il realismo è l’unico criterio. Quindi, niente illusioni, solo pressione politica per ridurre il danno e riprendere il cammino.

www.cacopardo.it
 

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