Di solito all’interno di un partito si arriva a una scissione per l’impossibilità di continuare un’efficace e leale collaborazione in nome di principi comuni. E la conseguenza più logica è la fine delle esperienze politiche condivise che sono in atto, a partire da quella di governo. Nel caso della separazione appena operata da Renzi, invece, succede l’esatto contrario. L’ex premier e i suoi sostenitori hanno lasciato il Pd, ma si sono ben guardati dal lasciare il governo, che anzi hanno appena contribuito a far nascere. E a dispetto della rottura, si sono subito affrettati a dichiarare la propria volontà di continuare a lavorare insieme a Palazzo Chigi. Davvero uno strano divorzio.
Pensavamo di avere un governo a tre (Pd, M5s e Leu), ma non sapevamo che in realtà era un quadripartito, perché c’era chi aspettava il momento giusto per uscire dai democratici, che è arrivato subito dopo il giuramento dei ministri e dei sottosegretari. Non a caso, proprio il giorno in cui questi ultimi hanno preso servizio, la verità è venuta a galla e la creatura renziana ha iniziato a manifestarsi: giusto in tempo per essere sicuri che la propria pattuglia fosse ben insediata nella stanza dei bottoni.
È la prima volta che un partito non fa in tempo a nascere che già si trova al governo. Un’operazione di palazzo altamente spregiudicata, degna di uno stratega raffinato quanto disinvolto quale è Renzi. Dopo aver permesso la creazione del governo, ora è nelle condizioni di determinarne la sopravvivenza e indubbiamente per lui è più vantaggioso farlo da leader di un partito tutto suo. Specie se non ha l’assillo di doversi presentare alle urne, visto che al potere c’è già.
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