×
×
☰ MENU

Salvini e Lega sono più forti solo in Italia, non in Europa

Salvini e Lega sono più forti solo in Italia,  non in Europa

29 Maggio 2019, 13:31

DOMENICO CACOPARDO   
Limitiamoci alle sensazioni dell’oggi, rinviando gli approfondimenti a quando l’annunciata ripresa delle attività di governo diventerà concreta (mettendo in evidenza la nuova dinamica del rapporto Lega-5Stelle).
E, naturalmente, partiamo da Salvini e dal suo partito: si sono rafforzati al di là del pensabile e del pensato, visto che i sondaggi delle ultime settimane davano “flessione”. Tuttavia, se s’è rafforzato in Italia, Salvini non s’è rafforzato in Europa. I partiti omologhi hanno battuto il passo e Orban, forte dell’oltre il 50%, sembra proiettato ad assumere un ruolo di maggior peso nel Partito Popolare europeo di cui fa parte. Ma anche se gli amici della Lega avessero vinto, l’Europa non avrebbe cambiato il volto duro riservato di recente all’Italia: nessun sovranista è disposto ad allentare i vincoli economici e finanziari, come chiede Roma; nessun sovranista è disposto ad aprire le porte alla redistribuzione degli immigrati. Questo nel momento in cui il governo, ormai a trazione leghista, intende realizzare una massiccia manovra (flat tax) che avrà la fatale conseguenza di allargare il deficit e affondare lo spread.
C’è un altro fattore comunitario da tenere presente: nell’ultimo anno, di fatto, l’Italia è uscita dal triumvirato di comando. Il terzo componente di esso, oltre alla Germania e alla Francia è la Spagna (il premier Pedro Sánchez ieri a Parigi, prestissimo a Berlino): essi dirigeranno la transizione verso la nuova Commissione e le prossime nomine, prima fra tutte quella del successore di Mario Draghi.

Quanto ai 5Stelle, la crisi è ben più seria di quanto le dichiarazioni a caldo di Di Maio facciano ritenere. In primo luogo, nel passaggio dall’opposizione al governo, si è rotto il meccanismo inventato da Gianroberto Casaleggio: la rete, strumento di diffamazione, di fake news, di proselitismo, di dibattiti guidati dal timoniere, di selezione di quadri e dirigenti è andata in tilt. La sociologia della politica, per la quale ogni capo e capetto tende a costruirsi una corte preferenziale, ha funzionato, rendendo evidente all’universo grillino come, abolito l’«uno vale uno», ci fossero alcuni privilegiati che valevano molto di più degli altri in relazione a rapporti preferenziali con gli stessi capi e capetti. 
Se si è rotta la macchina di Casaleggio, che non è una modalità di comunicazione, ma il partito stesso, sarà difficile immaginare aggiustamenti o rinnovamenti tali da ricostituire lo spirito che l’aveva condotta, solo un anno fa, al 32,7%. Anche perché, già da oggi, si dovranno registrare arretramenti su ogni dossier all’odg del Consiglio dei ministri. Senza arretramenti, si esce dal governo: una prospettiva ancora più ferale di quella realizzatasi domenica.
Quanto al Pd, non se ne può sopravvalutare il risultato. Sempre lontani dalle percentuali migliori, senza una proposta significativa per il Paese, senza un leader carismatico, il Pd ha recuperato un po’ di voti in libertà, ma in termini politici è tutt’altro che al centro del palcoscenico. È ancora marginale, anche perché non s’è avvicinato al grosso corpaccione (moderato e ben pensante) dell’astensionismo, vera palla di piombo ai piedi della democrazia italiana e riserva indiana nella quale cercare consenso.
Intanto si avvicina l’appuntamento di cui nessuno parla, ma che dovrebbe turbare le notti dei dirigenti politici: fra meno di due anni, si dovrà eleggere un nuovo presidente della Repubblica. Lo eleggerà questo Parlamento o un prossimo?
Questo cruciale interrogativo non rimarrà certo senza risposta: occorre, però, che i protagonisti della vicenda politica se ne preoccupino e da subito.
 
www.cacopardo.it


 



 

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI