Nella storia della Repubblica è la prima volta che un premier, attaccando i partiti della coalizione di governo, apre una crisi virtuale di cui è impossibile prevedere il percorso e l’esito. Normalmente, i primi ministri hanno ritenuto - sempre - che tra i loro compiti ci fosse quello di lavorare per la coesione delle forze alleate, organizzando, nei momenti critici dell’attività politica, i vertici riparatori, in cui venivano deliberate le mosse del futuro.
Questo, tuttavia, è l’ultimo dei problemi dei quali gli italiani dovrebbero preoccuparsi.
Il primo, più grave e dirompente è nei gruppi parlamentari del Movimento 5Stelle. Dopo la batosta europea (5.000.000 di voti perduti, in un contesto altamente astensionista) e l’emergere della prospettiva di nuove elezioni, deputati e senatori grillini si sono resi conto che per molti di essi, almeno la metà, non ci sarà più posto in un prossimo Parlamento. Il limite di due mandati previsto dal loro «statuto-non statuto» non ha rilevanza particolare, visto che, nel caso, la legislatura sarebbe stata prematuramente interrotta e, quindi, sarebbe facile al «capo» stabilire una deroga. Il malessere che attraversa gli eletti 5Stelle è un magma indistinto che, tuttavia, si sta coagulando intorno a due sole ipotesi: subire la rottura con la Lega e lo scioglimento delle camere; organizzare un’area di «responsabili», analoga a quella partorita da Forza Italia dopo la rottura del Patto del Nazareno e che permise al governo Renzi di andare avanti sino al dicembre 2016 (sconfitta nel referendum costituzionale). I nuovi «responsabili» intenderebbero nascere e ufficializzarsi per costituire la gamba mancante a un’ipotesi di governo Salvini-Meloni, in modo da andare avanti sino alla fine della legislatura.
C’è un motivo preciso, procedurale e costituzionale per questa istituzionalizzazione: Sergio Mattarella, richiamandosi alla Costituzione, ha affermato più volte e, in particolare, un anno fa, in occasione della formazione del governo Conte che non avrebbe mai dato l’incarico a chi non fosse espressione di una coalizione (o di un partito) che disponesse di una maggioranza parlamentare. E, quindi, uno schieramento Lega-Fratelli d’Italia, transfughi 5Stelle organizzati, disporrebbe di maggioranza nella Camera dei deputati e nel Senato della Repubblica.
La situazione del Movimento 5Stelle, quindi, appare, nei corridoi parlamentari e nelle anticamere ministeriali, prossima al collasso. Se volessimo cercarne le ragioni, potremmo trovarne tante, ma una soprattutto sembra fondamentale: l’illusorietà del progetto politico, un po’ illuminista un po’ nihilista di quel «dottor Stranamore» che fu Gianroberto Casaleggio. L’«uno vale uno», la democrazia del web, cioè senza rappresentanza, la politica fatta sulle indicazioni degli aderenti (salvo manipolazioni), rappresentano gli aspetti di un’utopia destinata, è fatale, a trasformarsi in tirannide o a collassare rovinosamente.
Questo è il momento di Salvini, naturalmente. Un uomo capace di entrare in sintonia con il «sentiment» di molti italiani, mercé messaggi chiari ed elementari, facilmente percepibili e condivisibili. Oggi, peraltro, il leader leghista, mentre continua la sua martellante campagna che mette allo scoperto i lati deboli dei compagni di governo, sembra più propenso ad aspettare che a trarre le logiche conclusioni dal ribaltamento dei rapporti di forza e dalla crisi grillina. Ho ascoltato con le mie orecchie un esponente di Forza Italia, voglioso di entrare nel mondo leghista, riferire che per il momento Salvini non gradisce l’arrivo di transfughi in soccorso del vincitore.
La sua strategia diventa evidente, palpabile se esaminiamo la giornata di lunedì. All’appello di Conte, rivolto a entrambi i partiti, ma soprattutto a lui (in un implicito, ma maldestro soccorso all’amico Di Maio), la Lega ha risposto ribadendo i propri termini di rettifica del decreto sblocca-cantieri ancora in ballo a Palazzo Chigi. L’emendamento della Lega intende introdurre una deroga alle procedure del Codice degli appalti per le opere inferiori a 200.000 euro, in sostanza quelle di pertinenza degli enti locali e che rappresentano oltre l’80% dei possibili affidamenti. Un emendamento cui i 5Stelle hanno sbarrato il passo (dopo una iniziale «distrazione») per motivi prima di tutto ideologici e poi politici (vista la loro flebile e decadente presenza negli enti locali). Ora sembra che si sia raggiunto un compromesso, della cui tenuta saranno giudici le prossime 48 ore.
Così Salvini non mollerà di un millimetro sulle sue richieste e, caduto nel nulla l’appello di Conte, sarà Di Maio a dover trarre le conseguenze entrando in conflitto con il suo stesso partito, in cui gruppi parlamentari, come abbiamo visto, aborrono lo scioglimento delle camere.
Su questo panorama incombono due fattori risolutivi e cruciali per il Paese e per il suo futuro. L’economia, cioè l’eccesso di debito e l’eccesso di deficit, e l’Unione europea che non consentirà il suicidio politico-economico-finanziario della terza nazione della comunità (ormai fuori dalla triade di comando, ora composta da Germania, Francia e Spagna) e il conseguente aprirsi di un’altra crisi epocale nel continente.
La complessità dei fattori e la fluidità delle posizioni dei protagonisti rendono perciò i prossimi due mesi i più critici della storia della Repubblica, persino più critici del ’60 (governo Tambroni) e di Tangentopoli.
I timonieri, purtroppo, non sembrano tanto attenti alla rotta della nave, quanto alle proprie «querelles».
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