Editoriale
Le dichiarazioni di Salvini (secondo le quali Draghi deve restare al governo) e della Meloni (in un'intervista alla «Stampa») sembrano allontanare l'ipotesi di un approdo dell'attuale presidente del Consiglio al Quirinale. In effetti, sembra che in questo momento nessuno voglia Draghi capo dello Stato, con la scusa che la fine del suo governo potrebbe aprire una fase di instabilità (che si concluderebbe con un nuovo esecutivo più debole o con elezioni anticipate), con l'elogio (interessato) all'ex presidente della Bce per l'ottimo lavoro che svolge ora e che deve continuare a svolgere fino al 2023 e, infine, perché qualcuno (soprattutto nel Pd, dove taluni pervicacemente ancora continuano a tormentare il presidente uscente con le loro richieste) spera che alla fine sia rieletto Mattarella. Nel centrodestra, Berlusconi vuole Draghi a Palazzo Chigi perché spera di andare al Quirinale con i voti della coalizione raccattando il resto mancante da Italia viva e dal gruppo Misto. Nel «campo largo» (più virtuale che reale) il Pd spera nel bis di Mattarella e il M5s sa di non avere truppe coese a sostegno di Draghi (Conte, peraltro, non lo ama, memore del cambio della guardia alla presidenza del Consiglio).
Un gran numero di peones, infine, timoroso che i partiti - una volta eletto Draghi - non si accordino per dar vita ad un nuovo governo, teme elezioni anticipate che falcidierebbero (anche a causa della riduzione da 930 a 600 del numero dei seggi di Montecitorio e Palazzo Madama) moltissimi deputati e senatori. E c'è un gigantesco «non detto»: se Draghi fosse candidato alla prima votazione ma non riuscisse ad essere eletto a causa dei franchi tiratori, non è affatto detto che - perso il Quirinale - voglia restare a Palazzo Chigi. Un affronto nel segreto dell'urna, con una maggioranza potenziale amplissima, non si dimentica. Così, perderemmo in un sol colpo Mattarella e Draghi. I partiti, che già sopportano faticosamente il presidente del Consiglio sapendo che fra poco più d'un anno il suo mandato a Palazzo Chigi finirà, non vogliono certo avere un personaggio della sua levatura al Quirinale. Come dice Giorgetti, potremmo arrivare ad una sorta di semipresidenzialismo, con un presidente così forte e prestigioso. Fin qui, tutto sembra far credere che l'elezione di Draghi al Colle sia non solo improbabile, ma persino inopportuna. In realtà non è così. Nessuno ricorda, invece, che Draghi è l'unico a poter raccogliere i suffragi di quasi tutti i partiti (al netto di peones e franchi tiratori), a parte Mattarella che però si è già più volte autoescluso dalla competizione. Se si vuole un presidente ampiamente rappresentativo e non divisivo, non si può che eleggere Draghi. Ci sono altri papabili moderati o centristi o vagamente equidistanti di un certo livello che stanno nella «riserva della Repubblica», ma difficilmente avranno tanti voti quanto Draghi ed è quasi impossibile che siano proposti al primo scrutinio (semmai, entrerebbero in lizza più tardi). Inoltre, a destra non si tiene conto del fatto che, nel caso in cui Salvini e Meloni vincessero le prossime politiche, solo un presidente della Repubblica autorevole e forte in Europa riuscirebbe a far digerire ai nostri partner un'erede del Msi a Palazzo Chigi (la leader di FdI) o un esponente di destra non certo moderato e neanche tanto filo UE (il capo della Lega). Se poi il capo dello Stato fosse Berlusconi, c'è da immaginare che cosa scriverebbe quell'«Economist» oggi lodato da tutti per aver esaltato l'Italia di Draghi. In quanto al Pd e ai Cinquestelle, non possono non avere un garante al Quirinale, nel caso (probabilissimo) di sconfitta elettorale. In sintesi: se non si può eleggere un presidente del Pd perché la destra ha la maggioranza relativa dei grandi elettori e non si può eleggere facilmente un presidente come Berlusconi perché spaccherebbe il Paese facendo crollare (in almeno metà degli italiani) la credibilità del Quirinale, ci vuole una figura «super partes». Questo atteggiamento di esclusione di Draghi, «emarginato» e «bloccato» a Palazzo Chigi a tutti i costi, non aiuta nessuno a trovare una soluzione condivisa. Perché è vero che fra i papabili non sgraditi ai più non c'è solo Draghi, ma è altrettanto vero che escludere il favorito alla vigilia della corsa è un modo bizzarro per risolvere l'enigma del Colle. A meno che tutte queste schermaglie non siano volte a far uscire allo scoperto il presidente del Consiglio, facendogli dire che vuole candidarsi (così i partiti potrebbero chiedergli qualcosa in cambio).
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