Editoriale
La guerra continua con la prima caduta di una capitale regionale, i bombardamenti delle maggiori città del paese, l’arrivo di una divisione di paracadutisti a Kharkiv, l’avvicinarsi della colonna militare per accerchiare Kyiv. Il presidente Zelensky conferma la volontà dell’Ucraina di resistere: «Ovunque andranno saranno distrutti». La Russia ha ammesso 500 morti, secondo Zelensky sono 9000.
Prosegue anche lo scontro internazionale: l’Onu ha votato una condanna formale dell’invasione, con 141 voti a favore (un record) e solo 5 contrari: oltre alla Russia, le solite fedelissime Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea. Cina ed India si sono astenute; persino Cuba e il Venezuela lo hanno fatto.
L’astensione della Cina apre una nuova prospettiva per i rapporti futuri con gli Stati Uniti. All’origine il punto di partenza è stata la dichiarazione congiunta di Xi Jinping e Putin del 4 febbraio scorso, all’apertura delle Olimpiadi. Il passaggio chiave è l’affermazione di una relazione Cina-Russia «senza confini». Putin ha inteso questi termini come mano libera per le sue intenzioni in Ucraina. E questo nell’immediato ha indotto gli Stati Uniti a considerare Cina e Russia come nemici comuni.
Ma dev’essere proprio così? Subito dopo gli Stati Uniti si sono chiesti se questo accordo sia da considerare definitivo e irreversibile. La questione è: rientra nell’interesse di Pechino dividere il mondo in due blocchi contrapposti, una volta che la Cina rifletta in funzione dei propri obiettivi nazionali?
Certamente la Cina non accetterà mai di disconoscere il proprio rapporto con la Russia; anzi a livello ufficiale insisterà nell’accusare l’America e l’Occidente di essere la causa originaria dell’invasione. L’azione diplomatica alleata naturalmente non potrà fermarsi a questa prima (ovvia) obiezione, essa dovrà insistere nel visualizzare l’opportunità che la Cina ha nel differenziare la propria azione rispetto all’alleato russo. Ed un primo risultato di questa azione diplomatica soft è stato proprio il voto di astensione della Cina alle Nazioni Unite, dianzi riportato.
Ora la parola passa in forma estesa alla diplomazia ufficiale, che è assai qualificata negli Stati Uniti (e contestualmente apprezzata dai cinesi), ma può trarre un robusto sostegno dall’intervento congiunto di Germania, Francia, Regno Unito e Singapore. L’obiettivo è convincere la Cina che ad essa non conviene un rapporto troppo stretto con la Russia, perché i loro interessi sono divergenti. Non è interesse della Cina dividere il mondo in due blocchi contrapposti, perché la Cina ha obiettivi molto più ampi, globali, nell’immaginare un cambiamento del sistema internazionale. La Russia di Putin non ha questo obiettivo; è un paese (relativamente) piccolo (seppure con un’enorme dotazione di materie prima), in declino (il Pil è pari a quello dell’Italia), che non si sa ancora bene in quali condizioni sopravviverà alle più recenti sanzioni. L’obiettivo di Putin è garantire la propria sicurezza, scaricando la simmetrica condizione d’insicurezza sui paesi vicini.
Non si può immaginare che la Cina molli subito la Russia. Ma si può pensare che la Cina possa essere guidata da un riferimento privilegiato rispetto ai propri interessi di lungo termine. A partire dal rapporto commerciale e tecnologico con gli Stati Uniti, senza trascurare la questione irrisolta di Taiwan.
In queste interconnessioni della diplomazia internazionale, un ruolo di pilastro essenziale rimane quello dell’Europa. Al contrario di quello che pensa Putin, solo il rafforzamento dell’Europa può garantire la pace per tutti i paesi, indipendentemente dal loro peso economico o militare, rispettoso delle autonomie locali, senza progettare invasioni, ma rendendosi disponibile per una politica di mutua cooperazione, Russia inclusa.
Ricordando l’europeista De Gasperi: «Se saremo uniti saremo forti, se saremo forti saremo liberi».
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