EDITORIALE
Le trattative di pace per l’Ucraina si possono avviare partendo necessariamente dalle richieste del Cremlino. Che sono state esposte il 7 maggio. L’Ucraina deve cessare le proprie operazioni militari; dichiararsi d’accordo sulla propria neutralità, da iscrivere in costituzione; accettare che la Crimea sia parte della Russia; riconoscere l’indipendenza delle (cosiddette) repubbliche del popolo di Donetsk e Luhansk. Non scritta, ma implicita, rimane la pretesa di un nuovo governo a Kiev e la richiesta preventiva di una sua smilitarizzazione.
È improbabile (ad oggi) che il governo Zelensky accetti queste richieste, che potrebbe considerare soltanto come premessa per un cessate il fuoco. Zelensky potrebbe lasciar cadere la richiesta d’ingresso della Nato, con la disponibilità a discutere per l’autonomia del Donbass. Senza nessun’accettazione dell’ultimatum, ma avvio di un dialogo reale con Mosca.
In parallelo, a fronte di un vero interesse negoziale della Russia, gli Stati Uniti e la Nato potrebbero offrire una riapertura del dialogo sul controllo degli armamenti, la riduzione dei rischi, l’adozione di misure trasparenti per un contributo effettivo alla sicurezza europea, inclusa ovviamente quella della Russia. Se in aggiunta, le forze armate russe lasciassero l’Ucraina, il Paesi occidentali potrebbero rivedere le proprie sanzioni alla Russia.
Di conseguenza i passi verso la pace dovrebbero essere: l’avvio di negoziati tra Kiev e Mosca; altrettanto per i negoziati per la sicurezza europea; discussione per la riduzione (infine abolizione) delle sanzioni alla Russia.
Ma sullo sfondo rimane un problema: che cosa farà Putin? La mancata vittoria-lampo, il rischio di un’occupazione lunga e onerosa di un’Ucraina ostile e antirussa, il drastico calo dell’economia russa per effetto delle sanzioni, l’isolamento politico dal resto del mondo (inclusa l’esclusione dai grandi eventi mondiali come le Olimpiadi o i campionati del mondo di calcio, che peraltro hanno un grande impatto sull’opinione pubblica), sono tutte conseguenze che saranno in grado di indurre Putin a scegliere opzioni strategiche meno “costose” per la Russia?
Più precisamente Putin, nel valutare l’andamento della guerra in queste due settimane, considera questo “un errore” (cioè un decorso della guerra imprevisto, basato sull’assunzione rivelatasi errata di un popolo ucraino pronto ad accogliere i soldati russi come liberatori); oppure Putin è un leader “irrazionale” (cioè fa male agli altri oltre che a se stesso)?
La differenza è sostanziale: perché se Putin ritiene di essersi sbagliato sulla reazione dell’Ucraina (magari per colpa dei suoi consiglieri che gli hanno prospetto un rapido successo), la risposta dell’Alleanza occidentale dovrebbe essere quella di non aggravare il conflitto, magari agevolando una soluzione che agevoli l’uscita di Putin sulla base di negoziati. L’obiettivo dell’Alleanza deve essere sempre quello di ridurre le vittime e i danni della guerra. Se invece si ritiene che Putin sia diventato un attore “irrazionale”, la risposta cambia totalmente. Putin potrebbe raddoppiare la posta, estendendo pericolosamente l’area del conflitto a paesi neutrali, o addirittura ai paesi Nato di confine. Con questo pericolo, la risposta della Nato deve essere riqualificata. Sotto almeno due aspetti.
La prima riguarda la deterrenza Nato. Che con maggiori probabilità di conflitto dev’essere inevitabilmente rafforzata, e pubblicamente dichiarata, magari con una diversa localizzazione delle esercitazioni militari, come quella prevista in Norvegia nei prossimi giorni.
Ma anche in questo con grande cautela. Perché un eccesso di deterrenza potrebbe indurre Putin a giocarsi il tutto per tutto, con effetti devastanti non solo per la Russia, ma anche per i paesi direttamente coinvolti. Altrettanto nel caso di sanzioni troppo incisive sull’economia russa, che potrebbero innescare l’idea di una reazione ancor più “disperata” da parte della Russia. Ed enormemente pericolosa per tutti. Un Putin con le spalle al muro è più rischioso di un Putin che intravvede una via d’uscita onorevole (secondo la sua visione).
I Leader occidentali devono prepararsi per il peggio (un’estensione del conflitto), ma fermamente sperare (e operare) per il meglio (l’apertura di negoziati).
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