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editoriale

L'Occidente e il futuro dell'Ucraina

Ucraina, i russi circondano Mariupol. 1600 morti

di Domenico Cacopardo

21 Marzo 2022, 12:21

L’aggravarsi della guerra -che allo sterminio ha aggiunto la deportazione- disegna una evoluzione tutta focalizzata sull’Ucraina, che si fermerà solo con la resa della stessa o con la costituzione di un governo fantoccio che la dichiarerà. Al massimo ci potrebbe essere un armistizio, anche se appare difficile, persistendo l’inattesa, eroica difesa del popolo ucraino. E l’escalation in corso potrebbe significare che Putin ha ridimensionato per ora le sue ambizioni limitandole alla distruzione dell’Ucraina.
In ogni caso, compresa quindi l’ipotesi che il diktat russo esposto nei 14 punti pubblicati dal Financial Times sia subìto, non s’è ancora levata nel mondo occidentale una parola sul dopo. Certo non è chiaro cosa rimarrà dell’Ucraina, ma ciò che rimarrà si presenterà a noi con un atto di accusa e una domanda di solidarietà.

Soprattutto se un territorio ridimensionato seguendo una linea d’annessione russa dal Donbass al mar Nero, escludendo il mar d’Azov, rimarrà libero e indipendente. Nel che è lecito dubitare, ma è lecito sperare.
Un atto di accusa, giacché la versione aggiornata della domanda retorica del 1939, «Morire per Danzica?», cioè «Morire per Kiev?» ha trovato ora come allora l’unica risposta del «No». E se sappiamo quale è stato il destino del dopo-Danzica non conosciamo il destino del dopo Kiev. È facile salvarsi l’anima con la «ragionevole ragione» che un intervento occidentale in qualsiasi forma avrebbe aperto la III guerra mondiale in forma possibilmente nucleare. Anche se c’è chi ritiene che la tigre del Cremlino ha i piedi di carta e che di fronte a una reazione decisa si sarebbe fermato, chi, tra i governanti in carica a Washington, Londra e Parigi (capitali occidentali provviste di armi nucleari e termonucleari) avrebbe potuto responsabilmente scommettere sul bluff di Putin?


Quando alla domanda di solidarietà non possono esservi dubbi sulla necessità prima di tutto morale che essa sia accolta. Gli ucraini che si sono battuti per la loro patria e per la libertà, si sono battuti anche per noi, segnando un confine tra l’impero -assoluto- putiniano e le libere democrazie. E quindi, qualcuno a Bruxelles e a Washington dovrebbe iniziare a riflettere sul dopo e su ciò che l’Occidente ha il dovere di fare per la ripresa civile ed economica della nazione martire. Senza eludere il fondamentale e successivo interrogativo con ineludibile premessa: sapendo che l’odio e la volontà di rivalsa animeranno il popolo ucraino, dovremo riarmarne i resti?


Onestamente, non so rispondere al quesito. Lo pongo sul tavolo come elemento fondamentale per la definizione del futuro non tanto dell’Ucraina quanto delle democrazie occidentali che ormai sanno di che pasta è fatto il despota russo.
Certo, sarà difficile, ma non impossibile definire una politica «militare» per l’Ucraina, ma il minimo irrinunciabile è garantire al suo popolo la libertà e indipendenza che, pur subendo lo sterminio e la deportazione, è riuscito a serbare. Per sé e per noi.
 

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