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Editoriale

Duello in tv, Macron è il vincitore ma per la Le Pen giochi ancora aperti

Duello in tv, Macron è il vincitore ma per la Le Pen giochi ancora aperti

di Paolo Ferrandi

22 Aprile 2022, 09:17

Se qualcuno si aspettava un dibattito al fulmicotone – data la posta in gioco, cioè la presidenza della Repubblica francese – è rimasto deluso. Certo, Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sono scambiati colpi su colpi - a volte anche sotto la cintura -, ma non c’è stato nessun knock-out. Così, il titolo di Mediapart – il sito di giornalismo più pimpante di Oltralpe – «L’arrogance e le neant», cioè l’«arroganza e il nulla», intendendo con «l’arroganza» Macron e con «il nulla» Le Pen, è solo eccessivamente brillante per un dibattito troppo lungo come tempi – due ore e 45 minuti – e a tratti anche soporifero. Però fotografa bene la situazione.

Emmanuel Macron, infatti, ha fatto il Macron, cioè è apparso preparatissimo sui vari dossier e sarcastico come sempre, non riuscendo, però, a scaldare eccessivamente il cuore degli elettori che forse lo vorrebbero più umano, magari capace di mostrare un lato meno tecnocratico e meno condiscendente. Anche Marine Le Pen - pur molto migliorata rispetto a cinque anni - ha fatto la Le Pen, cioè è sembrata perennemente sulla difensiva, vaga sui programmi, poco incisiva negli affondi contro l’avversario, anche se, in qualche modo, più umana, più normale, rispetto alla superiorità naturale, ma non per questo meno irritante, dell’«enarca» Macron.

Il fatto è che la Le Pen – che è in svantaggio di una decina di punti rispetto al presidente uscente, secondo gli ultimi sondaggi – doveva sembrare meno vaga e più convincente e forse anche essere un po’ meno «buonista» rispetto a quello che è sembrato nel dibattito. Il fatto, poi, che fosse comunque molto tesa l'ha frenata: tanto che è partita all’attacco all’inizio della diretta non aspettando che partisse la sigla, errore catastrofico perché ti fa apparire goffa e innaturale in un contesto dove invece il massimo dell’artificio è quello di sembrare a proprio agio. La chiusura, poi, con il discorso finale letto, invece che pronunciato a braccio, è stata se possibile più disastrosa. Sembrava quasi che lo sforzo di eliminare l’odore di zolfo del passato del Front National, ora più anodinamente ribattezzato Rassemblement National, l’avesse in qualche modo resa esangue. Nonostante il fatto che dietro il «Rassemblement» - parola mutuata dal lessico gollista - si intravede sempre il «Front», cioè il passato che non passa dei movimenti di estrema destra europei.

Macron, del resto - forse frenato dal tentativo di mascherare l’arroganza che in lui sembra naturale complemento di una mente brillante e di una volontà di ferro, ma anche il marchio di un aristocratico distacco - non ha mai veramente affondato i colpi contro la Le Pen. L’unica volta che ha usato un colpo proibito è stato quando ha ricordato che la sua avversaria ha contratto un prestito - che sta ancora pagando - con una banca russa per la sua campagna elettorale del 2017, mettendo in dubbio la sua capacità di avere un giudizio non da creditrice rispetto alla politica estera di Mosca. Un fatto noto e un’accusa pesantissima. Che però ha anche fatto ricordare che è facile criticare la dipendenza economica di un avversario, quando tu di questi problemi nella vita non ne hai mai avuti.

Alla fine, quindi, la qualità dello spettacolo televisivo - ricordiamoci che siamo in tempi, appunto, di politica spettacolo - non è stata certo esaltante. E anche le aspettative degli spettatori - qualche milione in meno di quelli che hanno assistito al dibattito del 2017 - non erano certo altissime. Ma questo, paradossalmente, ha giocato a favore di Macron che non aveva bisogno di stupire, ma solo di confermare la sua competenza. Cosa che ha fatto al meglio. Per la Le Pen, invece, le aspettative erano più alte, anche se partiva con un’asticella molto bassa perché la sua performance del 2017 era stata davvero disastrosa. E questo non è successo. L’esponente del Rassemblement è più centrista, meno indigesta, ma è pur sempre lei. Quindi
incapace di uscire dal tunnel della vaghezza programmatica e delle contraddizioni evidenti di un programma che sembra non voler scontentare nessuno. Anche se sottotraccia - e qui Macron è stato bravo a ricordarlo - le parole d’ordine sono quelle di sempre: difesa di un malinteso primato nazionale che si trasforma in autarchia in campo economico e in velata xenofobia in quello sociale.

Forse è per questo che secondo i sondaggi - che valgono per quel che valgono, ma che fotografano la situazione - Macron è apparso alla maggioranza dei francesi come il vincitore. Vincitore atteso, ma vincitore. Per Marine Le Pen, che, come ho già detto, è in svantaggio nelle intenzioni di voto, è quindi stato un risultato pessimo. Ora le rimangono poche ore per rimontare. Ma l’impressione è che i giochi siano già fatti. Anche se ogni tanto i miracoli politici avvengono.

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