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Editoriale

Sondaggi: non sparate sul pianista

Sondaggi: non sparate sul pianista

di Luca Tentoni

05 Settembre 2022, 13:31

Ormai i sondaggi stanno per scomparire da giornali e televisioni: la normativa ne vieta la diffusione nella parte finale della campagna elettorale. Speriamo che stavolta non si commetta l'errore - al quale siamo purtroppo abituati - di confrontare gli ultimi dati diffusi prima della pausa con quelli reali delle elezioni, dando vita alla polemica sugli errori dei sondaggisti. Per questo, abbiamo predisposto una sorta di decalogo per affrontare correttamente questi strumenti di rilevazione delle scelte degli italiani.

1) i sondaggi fotografano la situazione di oggi (anzi, di uno o due giorni fa, quando sono state effettuate le interviste).
2) Il 25% degli elettori, normalmente, decide per quale partito votare durante l'ultima settimana della campagna, quindi dopo la pubblicazione dell'ultimo sondaggio pre-voto.
3) Addirittura, nel 2018 l'11% degli aventi diritto, cioè il 13% dei votanti, ha scelto il partito il sabato oppure la domenica stessa del voto (alcuni sono entrati in cabina senza aver deciso: ecco perché molti soggetti politici sperano di accaparrarsi un posto più vistoso degli altri sulla scheda).

4) Criticare è doveroso, in democrazia, se però è anche giusto: per esempio, se si fanno delle proiezioni su voti scrutinati che non corrispondono al risultato finale, è giusto censurare l'errore; però confrontare le mele (il sondaggio di 15 giorni prima) con le pere (il risultato finale) è scorretto.
5) A seconda del campione, i sondaggi pre-elettorali hanno un margine di errore che di solito è del 3% (più raramente è inferiore, ma non di molto), quindi dire che oggi un partito ha il 17,5% dei voti potenziali significa che oscilla fra il 16 e il 19.
6) Dal punto precedente si ricava che due partiti distanti fra loro di un margine inferiore all'errore statistico potrebbero essere pari oppure molto staccati.

7) Le variazioni da un sondaggio al successivo che risultano inferiori allo 0,3-0,5% valgono poco o nulla, perché rientrano appunto in uno scarto accettabile; quindi, inutile disperarsi o esaltarsi.
8) Ogni sondaggio risente del numero di coloro che non rispondono o sono indecisi se votare e per chi votare: se il 40% dice che forse non voterà, vuol dire che oggi è così e che i risultati sono calcolati sull'altro 60%, ma nulla ci dice che chi oggi non voterebbe si astenga davvero o che coloro i quali oggi dichiarano di voler votare lo facciano.
9) Chi oggi sceglie un partito può cambiare idea senza lasciare la coalizione: è un evento non infrequente che si verifica quando - come nel destracentro e nel centrosinistra - ci sono più soggetti politici fra i quali scegliere: chi è fedele ad un polo, quindi, può non esserlo al singolo partito (ma i sondaggi di oggi non ce lo possono dire in anticipo).

10) I sondaggi politici, in sintesi, delineano le tendenze: la coalizione che è in vantaggio (se il vantaggio è cospicuo, altrimenti ci dicono che la partita è aperta anche se i poli sono divisi dal 5% dei voti), i partiti più grandi, quelli medi, quelli piccoli (indovinare chi supererà la soglia del 3% fra una miriade di sigle è difficilissimo: anche prendendo solo i sondaggi e non i dati finali, si vede che qualche società stima un partito al 2,9 e qualche altra al 3,1, il che vuol dire che può essere dentro o fuori dalla soglia di accesso in Parlamento).

In sostanza, le rilevazioni campionarie non sono pronostici e nemmeno oroscopi: non guardano al futuro, ma al presente. Vanno prese sul serio ma non proiettate sull'avvenire, perché le campagne elettorali servono proprio a far cambiare idea agli indecisi e magari anche agli altri. Tutto è possibile, quindi criticare un sondaggista per i dati di quindici giorni prima è come sparare sul pianista.

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