EDITORIALE
In pochi ricordano come si viveva fino al 1997, anno di entrata in vigore della prima legge sulla privacy. Le persone erano libere di usare i dati di tutti, senza limitazioni e senza autorizzazioni. Quella normativa, oltre che introdurre l’obbligo di richiesta del consenso scritto al trattamento dei dati, istituì l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, comunemente chiamata Garante della privacy, che ha assicurato negli anni una puntuale applicazione del principio della riservatezza in tutti gli ambiti di operatività di cittadini e imprese, diventando un riferimento istituzionale prezioso e autorevole, apprezzato anche all’estero. La legge 31 dicembre 1996, n.675 dava attuazione a una direttiva europea dell’ottobre 1995, che imponeva agli Stati del Vecchio Continente di disciplinare la circolazione delle informazioni sottraendola all’arbitrio e all’anarchia. Inizialmente l’adempimento della firma da apporre sui moduli con i quali autorizzare il trattamento dei nostri dati fu visto come una inutile formalità, l’ennesimo cavillo burocratico che imbrigliava l’agire dei singoli. Nel tempo si è capito che la privacy non era un capriccio del legislatore di Bruxelles e dei singoli Parlamenti nazionali ma una conquista della civiltà giuridica, che restituiva alle persone una sfera intangibile di riservatezza e un rassicurante controllo sulle informazioni che le riguardavano. In 25 anni ne è passata di acqua sotto i ponti. Le relazioni interpersonali si sono progressivamente digitalizzate e la difesa della riservatezza è diventata sempre più complessa perché ha dovuto fare sempre più spesso i conti con la travolgente forza dell’innovazione tecnologica, che ha messo in crisi i paradigmi e le categorie del diritto tradizionale.
Ecco perché assume particolare importanza la ricorrenza del quarto di secolo della figura del Garante della privacy, presidio fondamentale per la nostra sovranità digitale. Basta sfogliare le Relazioni annuali che l’Autorità redige e presenta al Parlamento per cogliere la profondità e molteplicità dei suoi interventi, sempre ispirati ad un sano bilanciamento tra la tutela della riservatezza e l’esercizio degli altri diritti garantiti dalla Costituzione e dalle leggi vigenti. L’equilibrio virtuoso tra libertà e solidarietà, tra le esigenze collettive e i diritti individuali è sempre stata la bussola orientatrice del Garante privacy, al quale ciascun cittadino deve qualcosa. Se non ci fosse stato, la cultura del rispetto della sfera intangibile di riservatezza spettante ad ogni individuo non sarebbe progredita così tanto e la linea di confine tra libertà d’espressione e privacy sarebbe decisamente più sbiadita, con conseguente disorientamento dei singoli.
Nonostante i traguardi raggiunti, però, la strada rimane in salita. Le sfide sono tante perché il web e i social, nell’offrire innumerevoli opportunità di relazioni e azioni, moltiplicano i rischi per la privacy. Si pensi soltanto alle nuove frontiere del progresso tecnologico, dall’intelligenza artificiale al metaverso, che hanno messo in crisi schemi consolidati nel rapporto tra reale e virtuale. Al di là del prezioso ruolo di vigilanza e di stimolo esercitato con perseveranza dall’Autorità, l’esperienza di questi cinque lustri suggerisce di coltivare con impegno l’autodisciplina. A istituzioni, famiglie, categorie, imprese, utenti in generale è richiesto un supplemento di prudenza nella condivisione di dati personali sui quali è facile perdere il controllo. Le tutele giuridiche sono fondamentali ma i primi difensori della nostra privacy siamo noi, con i nostri comportamenti, auspicabilmente responsabili, oculati e lungimiranti. Diventa velleitario rivendicare rispetto per la propria vita privata se poi ci si dimostra scarsamente accorti nel proteggerla con elementari norme di buon senso come quella di non sbandierare ai quattro venti vicende personali o addirittura intime e opinioni sopra le righe.
Il diritto alla privacy, che inizialmente sembrava una sorta di privilegio borghese, è diventato un diritto universale, di tutti, soprattutto dei soggetti deboli e in condizioni di disagio, che godono di una riservatezza rafforzata, in particolare nell’ambito dei media. Due tragici eventi degli ultimi anni, la pandemia e lo scoppio della guerra russo-ucraina, hanno fatto vacillare il concetto di privacy faticosamente costruito e difeso dalla fine degli anni novanta. Si pensi al dilemma che il Covid ha posto alle autorità nazionali e sovranazionali in relazione all’equilibrio tra salute pubblica e tutela dei dati personali. Nelle azioni di contrasto al virus si è registrato un inevitabile sbilanciamento in favore della prima, con penalizzazioni evidenti della riservatezza dei singoli, che hanno dovuto rinunciare a porzioni cospicue della sovranità sui propri dati per favorire le attività di tracciamento e monitoraggio dei percorsi del virus, attraverso l’app Immuni e il green pass, tanto per fare soltanto due esempi.
Invece gli sviluppi sul fronte bellico hanno riportato in primo piano l’esigenza di un’informazione sobria, rispettosa della privacy e della dignità dei protagonisti, in particolare delle vittime e di intere famiglie straziate dal dolore e dalla disperazione per aver perso tutto. Quella che il Presidente dell’Autorità garante della privacy, Pasquale Stanzione ha più volte denunciato come “pornografia del dolore” è quanto di più distante si possa immaginare dal principio di essenzialità che il mondo del giornalismo è chiamato ad applicare al diritto di cronaca, per coniugare l’interesse pubblico all’informazione con la centralità dei valori della persona.
Una visione «antropocentrica» del rapporto tra innovazione e privacy diventa cruciale per impedire la deriva tecnocratica e far sì che la tecnica non sovrasti l’uomo ma si ponga al servizio dell’uomo, nella prospettiva di una sua crescita equilibrata. E questo virtuoso umanesimo digitale sarà il leitmotiv di un evento in programma oggi al Museo di Pietrarsa, a Napoli, dove il Garante festeggerà il suo quarto di secolo chiamando a raccolta esperti e rappresentanti di soggetti pubblici e privati che si confronteranno sui percorsi più efficaci per promuovere e rafforzare il diritto alla protezione dei dati nella dimensione digitale, con la matura consapevolezza che il valore della privacy concorre in maniera decisiva alla stabilità democratica e al benessere individuale e collettivo.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata