Editoriale
L’invasione dell’Ucraina ripropone questioni che si pensavano risolte da tempo: dopo sessant’anni (crisi dei missili a Cuba) ritorna la minaccia di ricorrere all’impiego di armi nucleari.
Il 16 giugno 2021 il vertice Putin-Biden a Ginevra aveva l’obiettivo di mantenere la «stabilità nucleare» e «gettare le basi per future misure di controllo degli armamenti e di riduzione dei rischi». Il dialogo Usa-Russia sulla stabilità strategica (Ssd) aveva avuto inizio nel luglio successivo, e nel secondo, positivo incontro del 30 settembre vennero istituiti due gruppi di lavoro: «sui principi e gli obiettivi per il futuro controllo degli armamenti». A pochi giorni dall'invasione dell'Ucraina,il vertice è stato sospeso e il 6 giugno il portavoce del Cremlino Dmitry Pescov ha dichiarato improbabile la ripresa dei colloqui.
Dopo l’inizio dell’invasione (24 febbraio) Putin ha annunciato di aver posto in stato di alto allerta le forze nucleari russe. Verosimilmente intendeva le armi nucleari tattiche, di potenza inferiore a quella delle bombe americane che, all’inizio dell’agosto 1945, avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki (attualmente ce ne sarebbero circa 230 americane e 2.000 russe, ma il dato è incerto).
Anche un’arma tattica produrrebbe una palla di fuoco di altissima temperatura, onde d’urto che distruggerebbero strutture civili e nilitari (però in un’area molto inferiore a quella provocata da un’arma strategica), e una nube radioattiva che inquinerebbe il territorio per tempi lunghissimi.
Le armi tattiche sono state sviluppate dagli Usa all’inizio della Guerra fredda, con l’obiettivo di difendere la Germania e l’Europa occidentale nel caso di un’invasione delle forze armate convenzionali dell’Urss. Colin Powell ricorda di essere stato inviato in Germania, al comando di un plotone, come responsabile di un cannone atomico trasportato da un grosso trattore.
La dottrina della Federazione russa prevede l’uso di armi nucleari tattiche nel caso di un’aggressione con l’impiego di armi di distruzione di massa, o che venga messa a rischio l’integrità territoriale, o addirittura l’esistenza stessa dello Stato.
Ma nel passato esponenti del governo russo avevano escluso la possibilità che Mosca ricorresse alle armi nucleari. Il mese scorso il ministro della difesa Sergey Shoigu aveva affermato che dal punto di vista militare questo tipo di armi non è necessario e Sergey Lavrov, il ministro degli Esteri, aveva ribadito che in Ucraina sarebbero state usate solo armi convenzionali.
Alexandr Venediktov, vice segretario del consiglio di sicurezza nazionale russo, recentemente ha detto: «Una guerra nucleare non deve mai essere combattuta perché non ci possono essere vincitori».
La situazione è cambiata anche in seguito alle contro-offensive ucraine.
La Russia, ancorché il suo Pil sia solo come quello dell’Italia e il suo bilancio militare solo un decimo di quello degli Stati Uniti, è una formidabile potenza nucleare.
Il rischio di una guerra nucleare è aumentato in seguito ai referendum – non riconosciuti internazionalmente – che hanno deciso l’adesione alla Russia delle province di Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia, che rappresentano circa il 15% del territorio dell’Ucraina. Un attacco delle forze ucraine a queste ragioni configurerebbe un attacco al territorio russo. Il 20 settembre Putin, in un discorso dai toni durissimi, ha ammonito: «Sappiano che le abbiamo anche noi tante armi e che useremmo tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il suo popolo. E questo non è un bluff».
Lavrov, alla domanda se la Russia avrebbe usato armi nucleari per difendere le regioni dell’Ucraina annesse, ha risposto che «le leggi e le strategie della Federazione Russa valgono per tutti i suoi territori» e che le regioni dell’Ucraina annesse «sono sotto la totale protezione dello stato».
Il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha esortato la Russia a prendere in considerazione l'utilizzo di un'arma nucleare a bassa intensità in Ucraina, dopo la notizia del ritiro delle truppe russe da Lyman.
Parole chiare e allarmanti.
Sul fronte opposto, l’ambasciatore russo in Francia, Alexei Meshkov, ha spiegato che «nella dottrina russa ci sono soltanto due motivi per i quali noi potremmo utilizzare armi nucleari: un attacco con armi nucleari contro la Russia o i suoi alleati, o un attacco con armi convenzionali che metta in pericolo la nostra stessa esistenza. […] Per ora non ci sono motivi di utilizzare armi nucleari tattiche».
Allarmanti sono altri due fatti: la Bielorussia ha modificato la sua Costituzione per consentire alla Russia di installare armi nucleari sul suo territorio e, più recentemente, la Polonia ha chiesto agli Stati Uniti di poter disporre di armi nucleari. Se questo avvenisse, sarebba una violazione del Nuclear Non-Proliferation Treaty (Npt) e del Nato-Russia Founding Act (1997), in base al quale la Nato si impegnava a non dispiegare armi nucleari nei territori dei nuovi membri dell’alleanza.
D’altra parte osservatori occidentali competenti sostengono di non aver rilevato alcun movimento intorno agli arsenali delle circa 2000 armi nucleari tattiche, quelle che possono essere lancjate da missili a breve raggio.
Gli esperti sono divisi rispetto alla possibilità che Putin ricorra alle armi nucleari.
Secondo Rose Gottemoeller, vice segretaria della Nato dal 2016 al 2019, «noi tutti siamo preoccupati; se viene costretto all’angolo, Putin potrebbe rispondere in modo orribile, ricorrendo all’impiego di armi di distruzioni di massa. […] Nessuno può sapere cosa farà e come noi reagiremmo». Considera anche che la Russia potrebbe ricorrere ad altre misure per piegare l’Ucraina, accentuando gli attacchi alle strutture civili e condannando il Paese al buio e al freddo invernale, tagliando le forniture elettriche.
Anche il generale in pensione Barry McCaffrey ritiene che vi sia «clearly a danger» di attacchi con armi nucleari tattiche nel caso che Putin sia ridotto alla disperazione. Di parere diverso è Justin Bronk, del Royal United Services Institute, che ritiene che Putin abbia scarsi vantaggi dall’uso di armi nucleari tattiche: «Contrariamente a quanto si crede, non sono molto efficaci, al di là del loro impatto simbolico, e se ne dovrebbe impiegare un numero enorme per spostare i rapporti di forze». Il generale Sir Richard Shirreff, vice comandante in Europa del Supremo Comando alleato dal 2011 al 2014, ammette che il rischio ci sia, ma che non sia grande, perché queste armi sono spade a doppio taglio: potrebbero danneggiare gli stessi russi se i venti spirassero da Ovest. La minaccia che la Russia ricorra a queste bombe di bassa potenza non può essere presa alla leggera, ma, secondo William Burns della Cia, non vi sono evidenze che rafforzino questa preoccupazione. Graham Allison, autore di un libro sulla crisi dei missili cubani, scrive: «Il rischio che Putin attacchi (con armi nucleari) è molto basso».
Secondo altri esperti statunitensi, Putin si sta rendendo conto che è difficile impiegare armi nucleari e controllarle, che servono più come intimidazione che per la guerra, e che non sarebbero utili per conseguire i suoi obiettivi: i danni supererebbero i vantaggi. La radioattività conseguente all’esplosione (anche se enormemente inferiore a quella causata dall’incidente del reattore di Chernobil) potrebbe estendersi anche al territorio russo.
Paradossalmente, mentre la guerra infuria e la minaccia dell’impiego di armi nucleari incombe, la Russia sta considerando la possibilità di un incontro tra negoziatori russi e statunitensi per discutere sul trattato per il controllo delle armi nucleari; Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha detto che la Russia è favorevole alla ripresa delle ispezioni previste dal trattato New Start.
Ritengo che si possa concludere che il rischio c’è, ma è basso. Non certo perché Putin si faccia scrupolo per le vite e le strutture che andrebbero distrutte; abbiamo abbondanti esempi della sua indifferenza rispetto a questi disastri.
Forse si rende conto che le armi nucleari tattiche non sarebbero molto efficaci sul campo di battaglia, dove non ci si attandono scontri frontali, ma lente avanzate o ripiegamenti, spesso combattimenti villaggio per villaggio, strada per strada. Inoltre le forze militari ucraine e russe in genere sono molto vicine sul terreno, così che sarebbe difficile evitare un fratricidio. Forse avrebbe esitazioni di fronte all’inquinamento radioattivo che ne conseguirebbe; le ricadute radioattive contaminerebbero per tempi lunghissimi anche altri Paesi, Russia inclusa. Infine le ritorsioni degli Stati Uniti, ancorché con armi convenzionali, causerebbero alla Federazione russa perdite immense.
Forse Putin si rende anche conto della esecrazione mondiale che si solleverebbe verso il suo paese.
Il margine di incertezza è enorme.
In ogni caso, è difficile trattare questo angosciante problema, perché la situazione in Ucraina non è statica ed è possibile che in questo stesso momento nuovi fatti possano modificare, speriamo in meglio, il quadro politico e militare.
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