Editoriale
«E ‘ccerto c’all’ho sentuto ’e’ssalutato con affett’o’granne… Tutt’allegro stav’a o gran’ddottore». Assolto dall’accusa di essersi lasciato corrompere dal «Grande Corrotto Corruttor» Silvio Berlusconi, Mariano Apicella sta in cima, ‘n‘copp’a, alla felicità. Apicella e il «Plurindagato Infinito», il Cavaliere inquisito in una quarantina di procedimenti e conseguenti processi, sono stati assolti con formula piena dal Tribunale di Roma: e su richiesta della stessa Procura della Repubblica. Un procedimento lento lento, da tradizione italiana: e condotto in modo certamente molto opinabile per non dire di peggio.
I fatti son questi: c’è un sostituto procuratore che rintraccia la «notitia criminis» probabilmente su un giornale che riferiva di uno dei tanti processi al Cavaliere di Arcore. Secondo il Pm che decide di inquisirlo, Berlusconi avrebbe versato 160 mila euro ad Apicella per comprare il suo silenzio allorché il musicista sarebbe stato ascoltato dal giudice in merito al suo ruolo di testimone e partecipante alle «cene galanti» di Arcore, prima palla di neve che divenuta valanga enorme rotolerà a valle su Arcore e dintorni aprendo una serie infinita di atti giudiziari e accuse, procedimenti a Milano che figliano altri processi, sempre a Milano per esempio il «Ruby», soprannome della giovane dalle forme generose e accessibili, diciassettenne campionessa delle cene cosiddette galanti: certo non dall’intento di espiazione, né dai fini di redenzione di alcune ragazze dalla condotta lontana dagli insegnamenti del martirologio di Maria Goretti.
Ma al di là delle battute, il processo in sé è un atto di tardivo accertamento della verità e spesso prende direzioni laterali, apre sentieri impensabili alla partenza. Sebastiano Satta, valente giurista sardo e grande scrittore (il «Giorno del Giudizio» il suo libro più famoso) lo racconta in maniera convincente nel «Processo», un Adelphi di non molte ma acute pagine (così come è per il ‘«De Profundis», affresco da premio Nobel sull’Italia dell’8 settembre).
La diciassettenne Ruby, indicata da Berlusconi come nipote del leader Egiziano Mubarak, e da lui sottratta al regolare procedimento previsto per una minorenne, arrestata nella notte senza documenti e accusata di furto, che viene presa in consegna dalla Minetti, di professione «Igienista orale», habitué di Villa San Martino, poi eletta in Consiglio regionale. Insomma una delle vicende di costume e malcostume berlusconiano, che però quando entra nell’aula giudiziaria stenta a produrre quella prova provata che regga l’impianto sul quale è incardinato il processo. Troppi e contraddittori gli elementi affastellati dall’accusa: corruzione e violenza su minore, induzione alla prostituzione, truffa, frode fiscale, falsa testimonianza. Poi ci si mette l’errore umano; a distanza di anni si scopre che le «ragazze olgettine» non potranno più essere interrogate dal giudice perché convocate in qualità di testimoni e non invece di persona indagata e pertanto non raggiunte da regolare comunicazione giudiziaria, dall’avviso di garanzia. Insomma un bel pasticcio, grazie al quale si susseguono le assoluzioni per il Cavaliere, piombato nei giro di una trentina d’anni in calderone giudiziario unico al mondo.
«Ho speso 770 milioni per ingaggiare 100 avvocati; subire 36 processi e 1000 udienze. Le aziende del mio gruppo sono state perquisite 200 volte e un centinaio di miei collaboratori passavano più tempo in Procura che non sul posto di lavoro». Condanne? Sì una sola, definitiva nel 2013, per corruzione della Guardia di Finanza: 4 anni di carcere commutati in 3 anni di Servizio civile; unico premier dell’Occidente a espiare spingendo carrozzine e raccontando centinaia di barzellette agli invalidi anziani di uno ospizio brianzolo. Decaduto da senatore e privato del diritto di candidarsi alle elezioni, ebbe in aiuto una sentenza del Tribunale dei diritti Europeo, che gli riconobbe parte delle sue ragioni, restituendogli in sostanza piena onorabilità cosa che gli consentì il ritorno in Parlamento.
Ma all’orizzonte si sono già profilati nuovi guai: il Ruby Ter si sta già spacchettando in un’ulteriore inchiesta. A Bari è atteso dai giudici e dalla co-imputata signora D'Addario, premiata filmante le stanze da letto risuonanti di gemiti da coiti possenti («Presidente mi hai distrutta di piacere: ma come fai a essere un amante così potente e insaziabile?» gli chiese al risveglio sul lettone di Putin). Altre finissime signore notturne ospiti filmarono il filmabile, ricevendo una cospicua retribuzione, non in virtù delle loro prestazioni turistiche ma come contributo per le spese di viaggio, che si sa sono molto costose. Infine: c’è chi ricorda la norma del diritto: «Ne bis in idem», vale dire che nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto. Norma felicemente aggirata frazionando i processi. Durerà dunque in eterno la figura di Berlusconi leader più «odiosamato» del mondo, Qualche volta salvato dall’eccessiva fatica fatta dall’inquisitore per scoprire le date dei presunti pagamenti corruttivi: nel recentissimo caso romano, il Pm, per scoprire che il versamento di 160 mila euro era stato fatto in tempi non sospetti ha impiegato la bellezza di 10 anni. E i costi morali, civili e materiali di questo fallimento fenomenale, chi li pagherà mai? Berlusconi non gioisce più di tanto, sorride felice per Apicella che propone: «Jamme dotto', ce sta già o titulo della canzone «Graziaassaje do ritardo, vostroonore».
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