Editoriale
Qual è la posta in gioco nella tragica strage messa in moto da Vladimir Putin, giusto 288 giorni fa?
La risposta è una sola, semplice parola: vittoria. Certo, si tratta di una parola che può essere declinata in vari modi e, tra essi, c’è la constatazione che l’Ucraina sin qui ha vinto tutte le battaglie campali ingaggiate con i russi, salvo quella di Mariopol e che ha inferto gravi perdite alla marina avversaria e alle forze aeree. E questo è accaduto benché l’assistenza militare americana e britannica sia stata dosata in modo da limitare le capacità dell’esercito ucraino. Per esempio, i micidiali lanciamissili 142 Himars, capaci di lanciare contemporaneamente sei razzi a guida elettronica su obiettivi diversi, sono stati forniti in versione “limitata”, cioè con una gittata ridotta per impedire l’attacco al territorio russo.
In ogni caso, lo strapotere del sistema militare russo è stato ridimensionato, ma non è cessato.
La vittoria ucraina è una vittoria allo stato delle cose e non comprende la riconquista della Crimea e delle due repubbliche fantoccio del Donbass. Né la può comprendere in futuro, visto che alla vittoria ucraina ha corrisposto una sconfitta russa che, peraltro, manifesta il limite della sopravvivenza del regime di Putin.
Se la Crimea e le repubbliche del Donbass passassero di mano tornando a Kiev, a Mosca, non potendo accettare di essere sconfitto più di quanto non lo sia già oggi, Putin potrebbe-dovrebbe mettere in campo l’arma atomica.
L’ha dichiarato lui stesso mercoledì scorso, in modo indiretto, ma per questo non meno chiaro.
Dobbiamo considerare che il fronte interno russo non è mai stato compatto e non lo è ora. Il segretario stampa del Cremlino Dmitry Peskov il 6 dicembre ha dovuto esortare i russi a ignorare i "messaggi provocatori" pubblicati su piattaforme di social-media come Telegram in merito a una seconda ondata di mobilitazione. La dichiarazione di Peskov è probabilmente volta a screditare la crescente influenza dell'opposizione russa (quella che vorrebbe già da mesi il ricorso all’arma atomica e la liquidazione definitiva dell’Ucraina) e dei canali Telegram a favore della guerra, che hanno costantemente riportato indicatori dell'intenzione del Cremlino di riprendere la mobilitazione nel 2023. Il presidente russo Vladimir Putin sta inoltre aumentando le misure per impedire agli uomini mobilitati e alle loro famiglie di lamentarsi dei problemi di mobilitazione. Putin, ad esempio, ha firmato una legge che vieta le manifestazioni negli edifici governativi, nelle università, nelle scuole, negli ospedali, nei porti, nelle stazioni ferroviarie, nelle chiese e negli aeroporti, probabilmente per sopprimere le rivolte e le proteste tra gli uomini mobilitati e le loro famiglie.
Sintomi di debolezza.
Anche se la guerra continua aspramente e in modo circoscritto, anche se le attrezzature ucraine sono nettamente migliori di quelle russe (i soldati di Kiev sono in tenuta artica, quelli di Mosca in una insufficiente tenuta invernale), la stagione del gelo e quella del disgelo sono le meno idonee alle grandi operazioni belliche nelle immense pianure dell’Est.
Ed è questo, quindi, il momento in cui le diplomazie americana e cinese possono lavorare dietro le quinte per ottenere un cessate il fuoco, primo inevitabile passo per un raffreddamento del conflitto.
Un accordo di questo genere comporta che le truppe si fermino nelle linee in cui sono adesso, come accadde tra la Corea del Nord e quella del Sud alla fine della loro guerra sanguinosa.
Quindi, per l’Ucraina una vittoria consistente nell’avere conservato la propria sovranità sul territorio rimastole dopo l’aggressione del 2014, per la Russia una vittoria consistente nel consolidamento delle conquiste del 2014.
Zelenskji non può nutrire ulteriori illusioni. Se combattendo determinasse la sconfitta del regime di Putin, al Cremlino arriverebbero forze e gruppi di potere più determinati alla distruzione dell’Ucraina e all’immediato uso delle armi nucleari.
Perciò dovrebbe fermarsi e accontentarsi di una garanzia di indipendenza fornita da USA, Regno Unito e Unione europea.
Sta a Biden e Xi Jinping convincere e costringere i propri alleati ad accettare un cessate il fuoco subito e dopo un armistizio.
Non la pace, ma una pace.
www.cacopardo.it
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata