EDITORIALE
Il caso della chiusura della banca americana, la Silicon Valley Bank, mostra ancora una volta la fragilità “naturale” (ontologica, direbbero i filosofi) del sistema finanziario. La finanza è indispensabile per lo sviluppo di un paese, perché è il ponte che unisce il risparmio delle famiglie con l’investimento degli imprenditori. Che la finanza sia indispensabile è immediato: senza investimenti l’economia non va avanti, e di conseguenza non cresce il benessere della gente. La Cina, per ricordare l’esempio più eclatante degli ultimi 50 anni, è cresciuta tanto perché ha investito tanto, anzitutto in infrastrutture e costruzioni, residenziali e industriali.
Che la finanza sia fragile, invece, è un discorso ben più articolato. Nel fare finanza si assumono (almeno) due rischi intrinseci e di fatto ineludibili. Il primo è che gli intermediari finanziari (in primis le banche) ricevono depositi (passività del proprio bilancio), che devono - se richiesto - restituire in tempi brevi (qualche giorno). D’altro lato le banche investono (attività) in prestiti, titoli (e incerti casi immobili). Attività che hanno una liquidità (cioè convertibilità in denaro contante) non altrettanto rapida. Così c’è il rischio di scadenze temporali diverse tra attivo e passivo.
N ormalmente questo rischio è un rischio di liquidità (la banca va bene, ma mancano i soldi per fronteggiare le scadenze immediate), che può essere superato con l’intervento delle banche centrali, che prestano i soldi per superare la crisi, in attesa di realizzare le attività in portafoglio.
Diverso e ben più grave è un altro rischio: quello che le attività in cui ha investito la banca perdano di valore.
Perché un prestito non viene restituito, oppure perché i titoli scendano di valore. Quest’ultimo accade in modo automatico per i titoli a reddito fisso (chiunque sia l’emittente, anche il Tesoro americano) quando aumentano i tassi d’interesse. La perdita di valore dell’attivo dev’essere coperta dal patrimonio aziendale (di solito il 10 per cento dell’attivo), oppure deve intervenire un aumento di capitale. Nel caso non accada la banca va in bancarotta.
Negli anni ’30 la bancarotta delle banche italiane (salvate poi dal neocostituito Iri) era accaduta per la perdita di valore delle quotazioni azionarie delle industrie possedute; la Lehman nel 2008 è fallita per il crollo dei valori delle proprietà immobiliari possedute.
La Silicon Valley Bank ha incocciato in entrambi i problemi. I depositanti (principalmente le imprese della Silicon Valley) hanno ritirato i depositi per pagare gli stipendi in una fase di crisi delle imprese e start up tecnologiche; i valori dei titoli d’investimento (buoni del tesoro americani) sono scesi per effetto dell’aumento dei tassi.
Il fallimento della Silicon Bank ha riaperto per l’ennesima volta il dibattito sulle banche americane. Non altrettanto sulle banche europee che sono soggette a controlli molto più restrittivi.
Non è solo un problema di controlli, nella cultura imprenditoriale americana il principio è che ci debbano pochi controlli (per non imbrigliare gli Animal Spirits degli imprenditori), severe punizioni per chi sbaglia (Madoff per il suo schema Ponzi - senza aver ucciso nessuno - aveva ricevuto una condanna di 150 anni di carcere e 170 miliardi di multa), e attenzione massima richiesta per i depositanti che devono valutare attentamente “in anticipo” le proprie scelte. Un sistema imperfetto ma molto flessibile, con periodicamente non pochi problemi.
Ma il problema più serio, in questa fase di dibattito, riguarda la praticabilità da parte delle banche centrali di questa politica di rialzo dei tassi d’interesse, con l’obiettivo di ritornare ad un’inflazione del 2 per cento. La domanda è: questa politica è praticabile senza danneggiare la condizione delle imprese (incluso il settore finanziario) e penalizzare la crescita economica?
Tenuto anche conto che la “classe politica” ha adottato con grande fervore ideologico un programma di aggressione forte al cambiamento climatico. Programma sacrosanto, ma che richiede una vastità enorme di investimenti, pubblici e privati. Quanto costa l’efficientamento del sistema energetico, dalle case alle auto?
La domanda ovvia che ne consegue è: con quali soldi si affronta la transizione del sistema economico in funzione del cambiamento climatico, con una politica di rialzi dei tassi d’interesse?
Tenuto anche conto che in tutti i paesi avanzati (Cina inclusa), l’andamento demografico gioca in senso contrario, con l’aumento della popolazione anziana rispetto a quella lavorativa. I sistemi pensionistici saranno sufficientemente resilienti?
Se a questi fattori d’incertezza si aggiunge la nuova geopolitica globale, conseguente la guerra in Ucraina ed il confronto americano-cinese, si coglie immediatamente che l’Europa ha davvero bisogno di tutta la sua unità.
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