Editoriale
Il Pnrr sembrerebbe aver aperto un vaso di Pandora e drammatizzato l'attenzione su una esercitazione che dovrebbe essere considerata, come ritengo sia, sana ed utile al paese. Il dibattito che alla fine lo anima verte su delicate posizioni: saremo in grado di utilizzare questo credito che l'Ue ci ha messo a disposizione tenuto conto della qualità, competenze e lentezze operative delle nostre amministrazioni centrali e periferiche? e la dimensione e struttura del piano di investimenti concordato con la Commissione Europea dal precedente governo Draghi sono corrette e rispondenti alle priorità del Paese? Ritengo essere un confronto utile perché, al di là delle inevitabili scelte politiche che ci possono stare, permette alla fine di portare la pubblica opinione a confrontarsi su due questioni di fondo: sono davvero utili e necessarie tutte le opere previste? È stato esaminato con oculatezza il ritorno atteso dagli investimenti che, non va dimenticato, andranno ad incrementare sia il nostro già vasto debito pubblico che i costi per la manutenzione della macchina dei servizi e delle infrastrutture che saranno immessi sul territorio?
Il Pnrr in discussione prevede interventi certamente utili, quali quelli rivolti
alla digitalizzazione del settore pubblico, al miglioramento della giustizia, della macchina sanitaria, della scuola ed istruzione superiore assieme ad altre opere tese ad avviare e gestire i cambiamenti conseguenti alla transizione ecologica. Ma altri potrebbero risultare discutibili ed alcuni anche dannosi perché utili solo a finanziare progetti elettoralistici.
Già l'avvio sembra non dei più felici, come le gare andate deserte per i treni a idrogeno o per la inadeguatezza al rispetto delle regole a presidio della piantumazione gli alberi o sul vasto, delicato e non più rinviabile tema della concorrenza. Peraltro, un attento esame, al netto delle inevitabili speculazioni e scelte politiche a seguito dell'avvicendamento di governo, farebbe emergere un aspetto inquietante: per rispettare i tempi imposti dalle procedure europee, sembra che diversi Ministeri, Regioni e Comuni abbiano inserito nel Piano proposte giudicate non strategiche che da tempo vagavano in polverosi cassetti ed ora inserite nella lista non perché diventati progetti prioritari ma per accedere alla disponibilità degli oltre 200 miliardi di euro - che potrebbero salire a oltre 300 milioni con il Mes ancora in discussione - potenzialmente messi a disposizione dall'Ue per aiutare il nostro paese a diventare migliore e più efficiente.
Se così fosse, un ulteriore controllo potrebbe rivelarsi necessario quanto meno per eliminare il sospetto di non aver rispettato quel principio di sana gestione che vuole prima la definizione delle opere necessarie, prioritarie e con adeguati ritorni - sia che siano realizzate con contributi a fondo perduto che con il ricorso al debito - e, solo successivamente, l'avvio della richiesta dei relativi finanziamenti. Il risultato di questo esame critico sarà in grado di certificare la lista dei progetti utili e necessari per la crescita del paese che si misura, e ne è la conseguenza, con la qualità dei progetti realizzati e non dalla dimensione degli investimenti.
L'esame delle priorità da rispettare va condotto con molta attenzione e razionalità in una visione complessiva di Paese che includa anche la corretta lettura del confronto competitivo con altri paesi che alcuni indicatori internazionali ci segnalano: per esempio, lo European Innovation Scoreboard del 2022 che classifica l'Italia fra i paesi meno innovatori assieme a Spagna, Portogallo e Grecia. Posizione che sembra stridere con le esportazioni, sempre del 2022, arrivate a 625 miliardi - nonostante il forte calo verso la Russia - per attestarsi al 3% della quota mondiale che ci pone fra i primi 8 paesi esportatori mondiali dimostrando che la forza delle nostre Pmi e la qualità del nostro artigianato possono competere con successo con le economie di scala; l'indicatore Ipsos, che declina la notorietà dei paesi, pone l'Italia al terzo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti e Gran Bretagna, ma prima di Francia e Germania. Mentre EuroTrad segnala che la lingua italiana, nonostante sia parlata solo da circa l'1% nel mondo, è oggi la quarta lingua più studiata all'estero, in 115 paesi, e ha superato anche il francese. Senza perdere di vista un'altra realtà: la qualità ed il credito di tanti nostri connazionali, laureati, ricercatori e tecnici che si affermano nel mondo assieme ad avanzatissime tecnologie, alla robotica industriale e alla componentistica delle nostre produzioni meccaniche allocate in tanti Centri di ricerca di eccellenza mondiale ed in primarie aziende multinazionali. Questi pochi esempi, ma altri potrebbero essere aggiunti, richiamano la responsabilità del gestore politico del Pnrr a garantire un equilibrato sistema politico, a mantenere un accettabile clima economico, a definire con severità le priorità ed assicurare un alto livello di formazione per mantenere la competitività nell'economia digitale verso la quale il paese si sta inserendo a fatica.
Penso che, quello richiamato, sia un paradigma, che potrebbe essere tenuto in conto anche per la nostra città se si esamina con attenzione, nel rispetto delle posizioni e senza spirito precostituito, il dibattito in corso sulle infrastrutture e, in particolare, attorno al miglioramento - o rifacimento? - dello stadio Tardini. Forse è in atto qualche affinamento su un dibattito inizialmente avviato da una proposta, legittima, di un imprenditore privato che, a fronte di una concessione di 99 anni, si è offerto di completare e gestire a proprie spese, per circa un secolo, quel progetto infrastrutturale sollevando l'Amministrazione da un gravoso onere.
Personalmente, tenuto conto della qualità della nostra città, avremmo guadagnato molto tempo se si fosse, sin dall'inizio, seguita una diversa e, credo, più corretta procedura: un’Amministrazione comunale che ritiene prioritario dotare la città di un nuovo stadio presenti il proprio progetto che, come una vasta partecipazione di cittadini ha poi dimostrato di preferire, potrebbe anche riguardare lo spostamento su un'area disponibile e immediatamente periferica e ne faccia oggetto di ampio dibattito.
È la scelta della città a dover prevalere quando è in gioco l'utilizzo di suolo pubblico, un bene comune, non la posizione aprioristica del Comune che autogiustifica il percorso prescelto con la supposta mancanza di risorse - che sono sempre disponibili per finanziare progetti validi e condivisi - per appiattirsi aprioristicamente sull'offerta “prendere o lasciare”, che ripeto legittima, di un imprenditore. Sarà poi la cittadinanza a decidere la strada da percorrere: mantenere, e valorizzare, per goderne come lo riterrà, la completa disponibilità del proprio territorio - se il caso anche con la responsabile scelta di una operazione a debito - oppure scegliere di spossessarsene per 99 anni a favore di un privato che legittimamente si è assunto l'onere di provvedervi.
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