EDITORIALE
Qualcuno l'ha definita «l’insostenibile leggerezza del cloud», prendendo spunto da un celebre romanzo. Riguarda i nostri gesti quotidiani, come assegnare un like a un post, o fare una videochiamata, ma anche spedire una mail o le tante e infinite call, spesso inutili. Stiamo parlando del mondo virtuale che tanto lieve non è. In realtà è fatto di cavi sotterranei pesanti, di enormi megastrutture che custodiscono migliaia di server, di oggetti fisici con transistor microscopici che richiedono materiali rari da estrarre nelle miniere. Dopo le giornate della Green Week a Parma e il confronto necessario sul futuro del pianeta è importante riflettere anche sull’impatto dell’universo digitale in termini ambientali.
La nostra vita sempre più iperconnessa ha numeri impressionanti: ogni sessanta secondi si connettono a Facebook 1,3 milioni di persone, si registrano 4,1 milioni di ricerche su Google, sono visualizzati 4,7 milioni di video e si spendono 4,7 milioni di dollari sui siti di e-commerce. Tutto questo avviene in un solo minuto. E tutte queste azioni richiedono energia elettrica. Il solo sistema del Bitcoin, re delle criptovalute, consuma la stessa energia dell’intera Danimarca.
Un giornalista francese, Guillaume Pitron, descrive questo scenario in un saggio recente intitolato Inferno digitale. Come sta avvenendo per il Metaverso, più aumentano le potenzialità della rete e dei suoi prodotti, più cresce la domanda di energia. Ad esempio, il peso di una pagina web si è moltiplicato di 115 volte tra il 1995 e il 2015, e la potenza richiesta per scrivere un testo raddoppia ogni due o tre anni. Questa corsa sfrenata ha un prezzo altissimo in termini di impatto ambientale. Basti pensare che se solo 70 milioni di internauti abbassassero la qualità di riproduzione dei video che guardano si potrebbero evitare 3,5 milioni di tonnellate di CO2 ogni mese nell’atmosfera, ossia l’equivalente delle emissioni generate dal 6% della produzione di carbone negli Stati Uniti.
Oggi il settore dell’Ict consuma il 10% dell’elettricità mondiale, ma la domanda specifica dovrebbe duplicare entro il 2025, raddoppiando la produzione di CO2.
Se tutto l’universo digitale fosse un paese sarebbe il terzo a più alte emissioni dopo Cina e Stati Uniti: insomma, come quanto fa oggi l’India. Il futuro? A proposito di Metaverso, stando alle previsioni, non è per niente rassicurante. Tanto per dare un’idea, uno studio recente stima che l’addestramento di un solo modello di intelligenza artificiale utile in questo nuovo spazio virtuale potrebbe generare 284 tonnellate di anidride carbonica, ovvero più di cinque volte la quantità di gas serra emessi da un’automobile nel corso della sua vita. L’ennesima rivoluzione del nostro tempo avrà bisogno di immagini ad alta risoluzione, di tecnologia cloud gaming necessaria per la realtà virtuale, di centri dati e servizi in remoto: tutte azioni che necessitano di una grande quantità di energia. Pensiamo solo ai videogames in streaming, con cui già oggi ragazzi di ogni nazione giocano insieme. La differenza tra quelli tradizionali e i nuovi arrivati pronti per il Metaverso è che questi ultimi faranno impennare, secondo le stime, i consumi di elettricità dei dispositivi.
Una ricerca della Lancaster University ha rilevato che se il 30% dei giocatori passerà a piattaforme di gioco cloud entro il 2030, ci sarà un aumento del 30% delle emissioni di carbonio di questo comparto. Non solo. L’impatto ambientale della rivoluzione digitale non è solo misurabile in termini di anidride carbonica, ma anche come produzione fisica e pesante di materiali e strumenti che ci servono per accedere alla rete.
Esistono oggi 34 miliardi di apparecchi digitali in circolazione, che pesano complessivamente circa 223 milioni di tonnellate: come 179 milioni di auto berline. Non si tratta di prodotti fatti per durare, ma destinati all’obsolescenza programmata, con tempistiche sempre più ravvicinate. Questi device non si possono aggiornare più di tanto e così finiscono in discarica. Addirittura, secondo alcuni studi, la contaminazione dei terreni con la componentistica dei rifiuti elettronici sepolti, come pc, smartphone, tablet e tutto ciò che ci permette di accedere alla rete, sta alterando la composizione geologica della crosta terrestre. Esagerazioni, allarmismo eccessivo? Non si tratta di demonizzare uno strumento della modernità, ma di imparare ad usarlo affinché diventi sostenibile. Una riflessione è doverosa, serve equilibrio. Speriamo che arrivi un giorno in cui ridurremo il nostro uso di Internet non perché le reti non ci consentiranno di ampliarlo, ma perché la preservazione della specie, dell’ambiente e di certi valori lo richiederà.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata