Editoriale
«Tre indizi fanno una prova»: ancor più se sono qualcosa di più, cioè storia ed eventi. Parlo del Natale, del giubileo, della pace. Lo faccio da vescovo, con la convinzione della pienezza che è data dalla fede e, al contempo, del denominatore comune che è l’umanità, che tutti accomuna, visitata da questi tre «indizi».
«Tu scendi dalle stelle» è patrimonio universale e sintesi armoniosa del Natale. Una discesa sorprendente, oggi, quando molti alle stelle vogliono salire e si guarda con invidia alle “star” che ce l’hanno fatta. La voglia di innalzarci, di crescere, è bella e da incoraggiare se, realizzando sé stessi, si porta bene agli altri, prossimi o distanti, e non si calpesta nessuno. Diventa così opportunità di una crescita personale, sociale, di tutti. Quanti sono saliti in alto e hanno fermentato di progresso e di ben essere chi non ce la faceva e arrancava soltanto sulle vie piane del vivere? «Astro del Ciel» canta ancora il Natale, e subito aggiunge: «pargol divin»: l’altezza si sposa con il divenire piccolo, non dimentica il piccolo per condividere e amare. «In notte placida, dai campi del ciel disceso è l’amor», mentre oggi precipitano, in tante parti del mondo, droni, missili, morte.
Perché chi si ritiene o vuole essere «altissimo», più alto e potente di tutti, invece di servire si serve degli altri e, come Erode, non concepisce chi usa la potenza solo per amore. Salire in alto può dare vertigini pericolose e rischia di confondere il proprio io con Dio. Anzi, lo sostituisce. “Il Figlio dell’altissimo”, che Maria ha in grembo e che al nono mese deve portare per un tragitto impervio da Nazareth a Betlemme, traccia la via opposta e «al freddo al gelo» usa l’onnipotenza per amare. È l’unica via che abbiamo per saltare fuori dai conflitti, dalla distruzione che spesso parte, come un tragico pantografo, dal piccolo per fare danni nel grande. Con l’apertura della Porta Santa inizia il Giubileo. È gesto suggestivo, riprende tradizioni antiche, vuole indicare una sola cosa: la porta è Cristo. «Io sono la porta», si autodenuncia il Nazareno. La porta di un’umanità rinnovata, della quale tutti abbiamo bisogno. Il suono ridondante di un corno dava l’inizio dell’anno giubilare nel quale la terra tornava di tutti, gli schiavi e i prigionieri venivano liberati, la coscienza del male, personale e sociale, veniva purificata con il perdono.
Un annuncio antico risuona in un’attualità sconcertante. Liberare la terra dalla sopraffazione per chiedere di nuovo all’umanità di custodirla; farla godere a tutti è condizione, oggi, perché l’umanità stessa possa abitarla per il futuro. Un’esigenza che richiede e offre giustizia. Liberare la persona umana da quanto la tiene schiava. Tante le sfaccettature di un poliedro drammatico: la sopraffazione sugli altri – nel mondo e nelle relazioni personali – in forma fisica, mediatica: il rischio di essere incapsulati nell’intelligenza artificiale usata male, la schiavitù delle dipendenze. Mentre la domanda di senso e di futuro, sovente non verbale e acuta, delle nuove generazioni si accompagna con l’interrogativo lacerante sugli adulti, se mai abbiamo trasmesso significati credibili e dato speranza di lievitare un mondo migliore. Il rifiuto di generare del mondo occidentale e della nostra stessa città, forse, è già una risposta. Il suono dell’jobel, il corno del giubileo, giunge lontano e penetra nel profondo. Un segnale da seguire per darci tempo e coraggio di visitare il nostro mondo interiore, la nostra anima. Scoprire il giubileo è riconoscere, anche, la partecipazione personale al male che c’è nel mondo, causandolo, assecondandolo, disinteressandosi e rimanendo chiusi e sazi in sé stessi.
Il corno del giubileo risuona e offre una via non di fuga, ma di risoluzione, che parte proprio dall’interiorità di coscienze che vogliono rinnovarsi per una società capace di non fermarsi al fare e ad una narrazione rassicurante, per rimettersi a cercare il senso e le radici profonde dello stare insieme, riscoprendo un disegno che è iscritto nel cuore di tutti. La pace passa solo da queste vie, a volte, quasi strettoie.
Papa Francesco invita, nella Giornata della Pace del prossimo 1 gennaio 2025, alla remissione del debito per i Paesi in via di sviluppo, per avere pace. Debito spesso contratto in un contesto non equo e giusto; debito che li tiene al guinzaglio, favorendo al loro interno pochi e mantenendo altri nella miseria, mentre i soliti potenti si arricchiscono. Un gesto che riconosce la dignità delle persone e dei popoli e recupera l’uso universale dei beni della terra, libera. Il desiderio di pace è il terzo indizio che porta alla prova: la salvezza di tutti! Abbiamo bisogno di salvarci da questi mali e da un male profondo che li genera. Vogliamo vivere nella pace, nella libera espressione di noi stessi, per crescere insieme tutti: il mondo è una sola e grande famiglia. E non ce la facciamo da soli. Natale è questo: Dio viene, diventa piccolo per noi: fratelli tutti in Lui e con Lui.
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