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editoriale

L'umanità va difesa sempre tutta e non a pezzi

L'umanità va difesa sempre tutta e non a pezzi

di Pino Agnetti

30 Agosto 2025, 19:59

Facciamo finta che gli appelli degli artisti (o degli intellettuali in senso lato) siano serviti anche una sola volta a qualcosa. Non dico a fermare una guerra o una carestia, ma almeno ad alleviarle. Facciamo anche finta che gli appelli medesimi non siano sempre, soprattutto in Italia, politicamente ultra targati salvo rarissime e a maggior ragione lodevoli eccezioni “bipartisan”. Dopo di che, prendiamo in esame la «lettera dei 1.500» su Gaza indirizzata ai vertici della Biennale e della Mostra del Cinema di Venezia.
Lì per lì, non ci avevo trovato nulla di scandaloso. Solo, però, nella sua versione iniziale poi misteriosamente modificata con tanto di perentoria ingiunzione a ritirare l’invito a due star hollywoodiane (a loro volta implicitamente sollecitate a tenersi alla larga dal red carpet del Lido). Una - Gal Abot - «rea» di essere una ex soldatessa delle forze di difesa israeliane meglio note come Idf, nonché – udite, udite! – di essersi fatta riprendere insieme ai parenti di alcuni degli ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas (e qui mi scuso subito con la “voce” della Gialappa’s, Marco Santin, per essermi permesso di tornare sull’argomento da lui cristianamente liquidato come “tutte cazzate!”).
L’altra – l’attore scozzese Gerard Butler - colpevole di essere stato in passato fra i promotori di una raccolta fondi a favore delle già citate Idf (che per chi non lo sapesse sono formate in buona parte da riservisti, cioè da privati cittadini come noi e come tali privi di uno stipendio e di un alloggio fissi garantiti dal Paese che in qualsiasi momento possono essere chiamati a difendere, come per altro accaduto innumerevoli volte nel caso di Israele). Ad aggravare la posizione di entrambi, il fatto che la prima sia sta pure Miss Israele (che si fa, mettiamo al bando tutte le reginette ebraiche passate, presenti e future?). Mentre la fedina penale del secondo risulta oltremodo macchiata dai ruoli da “macho” interpretati abitualmente anche se nell’ultimo il nostro eroe, evidentemente punto dalla zanzara del “politicamente corretto”, finisce per fare liberare un criminale in quanto appartenente alla categoria protetta dei diseredati per di più di colore). Stavo giusto documentandomi sulla “lettera-manifesto” dei 1.500 e sulla annessa manifestazione pro-Gaza indetta proprio per oggi sempre al Lido, quando, spinto da mera curiosità, sono andato a spulciare le cronache delle precedenti edizioni delle due prestigiose rassegne veneziane. Scoprendo così che, del massacro infinito dei civili ucraini iniziato ormai più di tre anni e mezzo fa, come pure dell’orrida carneficina di 1.250 ebrei, i più fortunati dei quali ammazzati subito a raffiche di mitra a differenza di molti loro compagni di sventura violentati e mutilati prima di essere finiti come tante bestie da macello, non vi era e non vi è traccia alcuna. Avete capito bene: nulla! Nemmeno dei discendenti di Davide infilati ancora infanti nei microonde sotto gli occhi disperati dei genitori. O dei circa 350 giovani convenuti nel deserto del Negev per un festival musicale del tutto simile ai rave che si tengono normalmente anche dalle nostre parti e a loro volta scannati senza pietà dai prodi miliziani di Hamas finanziati e armati dagli ayatollah di Teheran (altra bella combriccola di pendagli da forca evidentemente del tutto dimenticata dai ProPal lagunari). Dopo essermi cosparso nuovamente il capo di cenere, mi chiedo e chiedo: che differenza c’è fra un bambino palestinese e uno ebreo? E fra le migliaia di civili inermi sepolti sotto le macerie della loro abitazione a Gaza, o sotto quelle di un villaggio dell’Ucraina? Questione, forse, di numeri? Se è per questo, nel 2023 i missili russi rasero completamente al suolo il teatro della città martire di Mariupol, nelle cui viscere si erano ammassati sperando di trovarvi salvezza 10.000 fra anziani, donne e bambini. Tutta roba vecchia e passata? Non proprio. Secondo le stime più recenti, infatti, i civili ucraini ammazzati finora dalla guerra di Putin (e non della Nato o dell’Europa come invece continuano a raccontarci, in perfetta assonanza fra gli opposti, i vari Orsini, Scanzi, Vannacci e compagnia cantando) sono stati circa 60.000. Tanti quante le vittime di Gaza! E non mi si venga a dire che il segnalarlo nasconderebbe il subdolo tentativo di relegare in secondo piano i crimini israeliani compiuti nella Striscia. Semmai, quello è lo sport preferito (a parti rigorosamente invertite) dai ProPal lagunari. Ma il punto era e resta un altro. Ben riassunto in una recente intervista dal grande scrittore spagnolo Javier Cercas, al quale l’Ucraina di oggi ricorda terribilmente la Spagna del 1936, abbandonata al golpista fascista Franco e ai suoi alleati Hitler e Mussolini dal resto degli europei convinti, in quel modo, di poterla passare liscia. Si sa come andò a finire: con un’altra guerra mondiale e con quasi l’intera Europa sottoposta a una dittatura spietata. Strano che un appello firmato soprattutto da artisti, registi, attori e giornalisti (tutta gente che si presume solitamente informata più della media) non ne faccia il minimo cenno. Ancora più strano, visto un paio di “notiziole” fresche fresche. A cominciare dal diluvio record di bombe e di missili in corso proprio in questi giorni sulle città ucraine, compresa la capitale Kiev (unico risultato per ora certo e verificato dello “storico” summit Trump-Putin in Alaska). Per proseguire con la condanna di una diciannovenne russa a due anni e mezzo di carcere duro per avere pubblicato via social alcuni versi del poeta ucraino, Taras Shevchenko. Quei versi dicono: «Seppellitemi sulla collina e poi levatevi in piedi. Spezzate le vostre pesanti catene e innaffiate con il sangue dei tiranni la libertà che avete conquistato». Inutile aggiungete che oggi, alla manifestazione ProPal di Venezia, nessuno leggerà questo grido straziante. Ed è e sarà una sconfitta per tutti coloro che credono sinceramente nel diritto di ogni popolo a vivere in pace e in libertà entro i confini del proprio Stato. Quindi, per la stessa causa palestinese! Perché l’umanità va difesa sempre tutta. E non a pezzi o a intermittenza in base alle simpatie e alle convenienze, più o meno nobili, del momento. Il solito giochino stucchevole e irresponsabile che tanto ha giovato, come la Storia insegna, al trionfo finale dei tiranni.

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