BRUXELLES - L'identikit delle forze di stabilizzazione, le mosse di Hamas, la composizione del Consiglio di Pace. Al di là del prossimo rilascio degli ostaggi israeliani, dei primi segni di quotidianità a Gaza, del rilascio dei prigionieri palestinesi, c'è un cono d'ombra in cui i tanti attori del piano di Donald Trump sono chiamati a muoversi. La fase due, sulla quale il presidente americano ha lasciato un filo di ambiguità, resta quella più delicata. Quella sulla quale, probabilmente, il vertice di Sharm El Sheikh dovrà dare risposte a quesiti finora rimasti irrisolti.
LE FORZE DI STABILIZZAZIONE. E' un punto dirimente per il futuro prossimo di Gaza e per permettere che con il ritiro delle truppe israeliane non riemerga il caos. Finora c'è una sigla, Isf (International Stabilisation Forces) e poco altro. Chi ne farà parte? A chi faranno capo? Quale sarà il suo mandato? Gli Stati Uniti hanno escluso l'invio di un solo loro soldato nella Striscia. Sulla loro presenza in Israele invece i feedback sono contrastanti. L'idea che si è fatta avanti è che l'Isf possa essere composto da militari dei Paesi arabi e musulmani (dal Qatar alla Turchia), abbia una sede di coordinamento in Israele e sia dispiegato su modello delle forze di peacekeeping dell'Onu.
L'Egitto sta lavorando alla messa a punto della formazione e del coordinamento di 5mila palestinesi da schierare a Gaza e si è detto disponibile ad inviare suoi militari "in un perimetro specifico" a patto che ci sia il mandato dell'Onu. I tempi sono stretti e le ombre restano. "Ci sono così tanti modi in cui il piano potrebbe fallire, perché ovviamente Hamas continuerà a essere presente a Gaza", ha ammesso un diplomatico occidentale al Financial Times, osservando: "Nessuna delle parti ha ancora deciso cosa vuole: una missione di pace delle Nazioni Unite con tutti i crismi o qualcosa di molto più modesto?".
LA PRESENZA DI HAMAS. Le incertezze che avvolgono il dispiegamento dell'Isf s'intrecciano con i dubbi sul futuro dei miliziani nella Striscia. I report da Gaza raccontano che Hamas abbia già mobilitato migliaia di combattenti per ristabilire l'ordine e riprendere il controllo delle strade. "Accettiamo che le nostre armi non siano utilizzate ma la loro consegna è fuori questione", ha sottolineato una fonte di Hamas. C'è un dato a complicare ulteriormente la situazione: le divisioni interne all'organizzazione, non solo tra chi è nella Striscia e chi opera all'estero ma anche tra clan rivali che si sono formati tra le macerie di Gaza. Il rischio caos è tangibile e il governo Netanyahu potrebbe gettare benzina sul fuoco. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha annunciato che dopo la liberazione degli ostaggi Israele ha intenzione di "distruggere tutti i tunnel terroristici".
IL BOARD DI GAZA. Sullo sfondo resta l'interrogativo che, sin dal primo momento, ha accompagnato il piano di Trump. Il punto nove del piano spiega che il governo della Striscia sarà affidato a un "comitato palestinese tecnocratico e apolitico", sotto la supervisione di un organo internazionale di transizione presieduto da Trump. Ma all'interno di questa cornice si naviga tra i dubbi. Ancora incerto è il peso concreto che avrà Tony Blair, indicato da Trump come vicepresidente del Consiglio di pace per Gaza. Altrettanto fumoso è il ruolo che potrà avere l'Autorità Nazionale palestinese. Ad Amman il vicepresidente dell'Anp Hussein al-Sheikh ha incontrato proprio l'ex premier britannico. E' stato un colloquio "esplorativo", ha spiegato una fonte palestinese parlando di un periodo di transizione che di prevede di un anno. E sottolineando come sia ancora presto per parlare di un ruolo politico dell'Anp a Gaza che comunque si dichiara pronta a collaborare per il futuro di Gaza.
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