Ci sono rivoluzioni silenziose che finiscono per fare più rumore di quelle cruente. Ne stiamo vivendo una proprio ai giorni nostri: è la "quarta rivoluzione industriale", sintetizzata nella formula 4.0 perché da alcuni anni, quasi senza accorgercene, ci siamo ritrovati a scandire ogni cosa con il linguaggio che un tempo era solo dell'informatica.
Cos'è - qualcuno si chiederà - la quarta rivoluzione industriale? Le nostre aziende migliori, che l'innovazione ce l'hanno nel sangue, lo sanno fin troppo bene e anche ieri il vento di questa "rivoluzione" ha soffiato alla Cft dove gli imprenditori si sono confrontati sul futuro prossimo venturo (ne leggete a pagina 5). Eppure la vetusta categoria della «casalinga di Voghera» probabilmente resiste anche nel 2017 e si domanderà, dunque, di cosa diavolo stiamo parlando. E' difficile raccontare un cambiamento epocale quando ci si trova proprio nel mezzo e per di più quando corre sulle ali veloci e impalpabili della digitalizzazione, però facendo una sintesi abbastanza violenta possiamo dire che dopo la prima rivoluzione industriale delle macchine a vapore (XVIII secolo), quella dell'elettricità e della produzione di massa (XIX secolo) e quella dell'elettronica e dell'informatica che ancora abbiamo negli occhi dal secolo scorso, nel nuovo millennio è la digitalizzazione a rivoluzionare i processi di produzione, a ridisegnare il rapporto tra uomo e macchina, ad automatizzare i processi, a dialogare e competere con l'universo mondo in tempo reale. Se ne parla dal 2011, quando Berlino lanciò il piano Industry 4.0: le implicazioni e le applicazioni sono infinite e se siete allergici all'inglese magari dure da digerire (cloud computing, big data, sistemi ciberfisici, intelligenza artificiale, stampanti 3d, smart manufacturing) però il futuro di tanti posti di lavoro passa necessariamente da lì.
Anzi, sarà proprio questa la sfida da vincere: se ogni innovazione mette storicamente a rischio l'occupazione (il luddismo è roba di fine '700 e di mestieri che spariscono è zeppa la storia) le società evolute sono quelle che riescono a sfruttare l'innovazione e non a subirla, a creare nuove competenze e a mettere l'uomo al centro. Sarà banale, ma una sorta di "umanesimo" anche nel più tecnologico degli stravolgimenti, resta la bussola a cui ancorarsi.
Occorre uno scarto culturale, certo, ma per chi è in prima linea - le aziende - anche azioni concrete. E per una volta ci rendiamo conto che la politica, capace solitamente di rallentare i processi a colpi di burocrazia o di sbandierare provvedimenti populisti e ben poco sistemici (vogliamo parlare degli 80 euro?), mette sul piatto opportunità uniche: il piano di sviluppo Industria 4.0 varato dal precedente governo - spinto, va detto, dall'azione di Confindustria - esce dalle vecchie logiche degli interventi dall'alto per seguire quelle di una politica per le imprese e le persone. C'è un anno di tempo per cogliere al volo opportunità importanti per gli investimenti e del resto la velocità al giorno d'oggi è tutto. L'industria - e il mondo del credito, come dimostra l'accordo Confindustria-Intesa Sanpaolo - se ne è accorta. Chi invece pare nuovamente distratto è proprio la politica: da una parte volano gli stracci, dall'altra si cerca affannosamente un leader, e invece sarebbe meglio pensare già al 5.0. Perché state sicuri che arriverà, magari prima di quanto possiamo immaginare.
atagliaferro@gazzettadiparma.net
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata