Una morte sospetta. Che potrebbe essere direttamente collegata ai maltrattamenti subiti. Ci sono dubbi inquietanti da fugare sulla scomparsa di una delle anziane ospitate a Villa Alba, così il giudice dell'udienza preliminare, Sara Micucci, ha dato il via alla perizia medico-legale. Un accertamento che ieri è stato affidato ad Anna Antonietti, specialista degli Spedali Civili di Brescia. Al suo fianco lavorerà anche lo psichiatra Pierluigi Pischedda. Nessuna riesumazione della salma dell'87enne morta il 19 gennaio 2016: gli esperti lavoreranno sulle cartelle cliniche e sulla documentazione sanitaria relative alla donna, sul cui corpo non è mai stata effettuata alcuna autopsia. Ma, secondo la consulenza disposta dal pm Fabrizio Pensa, quel decesso è collegabile agli abusi subiti nella casa famiglia, tanto è vero che alle tre operatrici della struttura è stata contestata la morte come conseguenza dei maltrattamenti. Nei guai la titolare della casa famiglia, Maria Teresa Neri, la sorella Caterina (che è anche accusata di aver rubato materiale sanitario al Maggiore) e la madre Concetta Elia, che collaboravano nella gestione della struttura di via Emilia Ovest.
Un'anziana fragile, certo, ma che non sarebbe state assistita e curata in modo adeguato. In particolare, secondo quanto messo in luce dal consulente della procura, alla donna non sarebbero state fatte alcune flebo necessarie per l'idratazione. O perlomeno, quelle somministrazioni non risultano, così come dovrebbero, dalla documentazione clinica dell'anziana, che comunque sarebbe morta anche a causa di un grave stato di disidratazione.
Un quadro inquietante, almeno secondo quanto emerge dall'ipotesi della procura. Inizialmente, infatti, alle tre operatrici non era stata attribuita l'aggravante della morte. Ma saranno proprio i risultati della perizia, in cui verranno valutati sia gli aspetti medico-legali che le condizioni mentali evidenziati dalle cartelle cliniche, che stabiliranno il destino processuale delle tre donne. Nel caso venisse accertato il collegamento diretto tra maltrattamenti e morte, la pena sarebbe pesantissima.
Per quasi tre mesi, dal novembre 2015 al febbraio del 2016, le «cimici» piazzate dalla polizia avevano captato lamenti. Rumori di percosse. Richieste d'aiuto strazianti. Un problema tecnico aveva impedito di piazzare le telecamere tra le stanze della casa famiglia. Ma erano state intercettate implorazioni come questa: «C'è qualcuno per favore che mi viene a liberare? - diceva una delle anziane immobilizzate a letto -. Non sono mica una ladra».
E poi insulti. Dileggi. Come quella donna che una delle operatrici sbeffeggia facendole il verso del cane. Ma c'era stato anche l'allarme lanciato da una 97enne portata fuori dalla struttura. Parole fondamentali per la ricostruzione della vicenda. Per dare voce anche agli altri ospiti della struttura. Persone che, secondo gli inquirenti, erano completamente soggiogate dalle operatrici. Difficile andare in bagno senza il «permesso», ma anche spostarsi in altre stanze della casa famiglia.
Oltre ai familiari di alcuni ospiti, si sono costituiti parte civile anche il sindacato Spi Cgil e l'Azienda ospedaliera. Ci vorranno almeno tre mesi prima del deposito della perizia. Il bivio del processo. G.Az.
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