Gusto
«Piccioni arrostiti in casseruola con i rosmarini e le patatine novelle, dolci, ma non troppo, e piccolette, ma di già un po’ sfatte, inficiate, queste, nel sugo stesso venutone da quegli stessi piccioni: farciti alla lor volta, secondo una ricetta andalusa, con l’origano, la salvia, il basilico, il timo, il rosmarino, il mentastro, e pimiento, zibibbo, lardo di scrofa, cervelli di pollo, zenzero, pepe rosso, chiodi di garofano, ed altre patate ancora, di dentro, quasiché non bastassero quelle altre messe a contorno, cioè di fuori del deretano del piccione; che erano quasi divenute una seconda polpa anche loro, tanto vi si erano incorporate, nel deretano: come se l’uccello, una volta arrostito, avesse acquistato dei visceri più confacenti alla sua nuova situazione di pollo arrosto, ma più piccolo e grasso, del pollo, perché era invece un piccione».
E ci si potrebbe fermare qui e seguire le indicazioni di Carlo Emilio Gadda (La Cognizione del dolore, Parte I, I) per preparare una ricetta deliziosa e dal ripieno barocco, come si addice alla poetica dello scrittore, con la carne di questo animale familiare e selvatico. Selvaggina, si potrebbe dire, ma non troppo, e allora forse, per meglio rendere l’idea, selvaggina domestica. Amato da nobili e popolani, prezioso nelle cucine di casa e in quelle dei cuochi dei grandi ristoranti, il piccione ha carne raffinata e saporosa, amata da chi ne coglie la singolare eleganza, rifiutata da chi non ne sa apprezzare il sapore inconsueto.
Si cacciava il colombaccio selvatico «di passo», quello domestico si allevava nelle torri annesse ai castelli degli aristocratici, mentre nelle case coloniche ci si adattava a ricavare nidi nei solai o nelle colombaie costruite apposta -e così si fa ancora oggi. Quello selvatico ha carni saporite e rustiche che necessitano di cotture lunghe; quello domestico matura un sapore intenso attorno ai sei mesi di vita, quando ha raggiunto il pieno sviluppo e le carni sono ancora tenere e raffinate. I gourmet più incalliti sostengono che il meglio siano i piccioni novelli che stanno cominciando a volare e che sono allora perfetti, ad esempio, per la bomba di riso. Selvatico o domestico ha ottime proprietà nutrizionali: elevato contenuto proteico (17% su 100g), buone quantità di ferro, fosforo, potassio, vitamine del gruppo b, limitato apporto calorico (142).
In casa lo si cucina, secondo tradizione, in tegame, al forno, per chi ne è attrezzato allo spiedo o alla creta e sempre con cotture caute, attente, a bassa temperatura «arcaica», come usava una volta e anche in salmì a pezzi e macerato nel vino poi con spezie e verdure. La pelle non va mai tolta, perché il sapore dei piatti ne perderebbe; è meglio usare un buon burro e bardare il piccione con lardo o pancetta affinché non si asciughi troppo; il fegato, i durelli, il cuore vanno messi a parte e, sminuzzati, daranno forza alle farciture.
Artusi ne riporta sette ricette e ricorda come Niccolò Machiavelli, nella Clizia, consigliasse al vecchio Nicomaco di mangiarne uno «grosso, arrosto... che sanguini un poco» per trovarsi «abile a una giostra amorosa». Roberto Pongolini (Il Cerchio bistrot a Collecchio), ricorda il brodo che ne faceva la nonna e del piccione ama particolarmente «le carni tenere e saporite, veramente molto prelibate: preferisco -dice- cucinarlo intero e in modo semplice per metterne in rilievo la grande qualità». Ecco come: per 4 persone occorrono 2 piccioni interi, 2 spicchi d’aglio, sale, olio evo, salvia, rosmarino, timo, alloro, pepe macinato, burro, lardo di maiale nero, mollica di pane, vino bianco secco, Cognac, le interiora del piccione. Rosolare i fegatini del piccione nel burro con aglio e spezie, salarli leggermente, aggiungere un goccio di Cognac e vino bianco, mettere tutto nel frullatore con la mollica di pane e frullare: questo composto serve per riempire il piccione. Frullare tutte le spezie con il sale e il pepe, massaggiare il piccione con questo composto, lasciarlo in frigorifero per 2/3 ore. In una teglia mettere olio, aglio, sale e vino bianco e appoggiare sopra il piccione ricoperto di lardo di maiale nero. Cuocere in forno a 130° per 10 minuti poi portare il forno a 200° e cuocere ancora per 9 minuti. Il suo sapore ricco e deciso ha bisogno di un vino rosso con una buona acidità, un Pinot nero ad esempio, che con le sue note morbide accompagni la tendenziale dolcezza e al contempo anche le sfumature amarognole della carne.
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