SALUTE
Da queste colonne ho insistito spesso per spiegare che una buona parte delle notizie sensazionali, anche quando pubblicate dalle migliori riviste scientifiche e che fanno i titoloni sui quotidiani, debbono essere prese con le pinze.
Ora anche il consumo di carne rossa pare non essere poi così sicuro che sia dannoso e la ragione è sempre la stessa... gli unici studi che non hanno fattori confondenti sono quelli randomizzati, qui come già detto tante volte, mentre la quasi totalità dei dati circa, ad esempio, le abitudini alimentari provengono invece da studi osservazionali, cioè studi che tentano di trovare un flebile segnale in un mare di rumore confondente.
I trial randomizzati controllati sono infatti il modo migliore per distinguere la «causa» dalla mera «correlazione». Un esempio: se prendessimo i soggetti che vivono ai Parioli a Roma concluderemmo che sono molto abbienti. Questa è una correlazione, ma non è che vivere ai Parioli di per sé faccia arricchire (causazione). Ma purtroppo gli studi randomizzati non sono possibili nella maggior parte delle questioni legate al consumo alimentare a lungo termine.
È quindi frequente, in questi studi osservazionali, che i due gruppi (in questo caso mangiare tanta carne o poca carne) differiscano per mille altre caratteristiche, e sono queste differenze - non il cibo in questione - che spiegano gli esiti disparati.
La novità è che una recente rianalisi dei dati sul consumo di carne rossa e durata della vita svela un altro fattore confondente, oltre al tipo di studio, che pregiudica il risultato, cioè la modalità statistica scelta nell’analizzare i dati, che può portare a risultati sorprendentemente opposti.
Non scendiamo nei particolari, ma i ricercatori hanno molte scelte su come analizzare tutti questi dati.
Recentemente, un gruppo dell'Università McMaster (in Ontario, Canada) ha confermato il problema delle scelte analitiche, utilizzando la questione del consumo di carne rossa e la mortalità.
La loro idea era semplice: poiché ci sono molti modi diversi per analizzare un insieme di dati, non dovremmo scegliere un metodo; piuttosto, dovremmo sceglierne migliaia, combinare i risultati e vedere dove sta la verità. Un altro nome per questo approccio è analisi «multiverso».
Per il loro articolo, ironicamente intitolato «Grigliamo i dati», hanno utilizzato ben 15 studi sulla carne rossa non trasformata e la mortalità precoce. Gli studi inclusi in questa revisione riportavano già 70 modi diversi per analizzare l'associazione.
Hanno calcolato un totale di 10 quadrilioni di possibili analisi disponibili. Un quadrilione è 1 seguito da 15 zeri! Ne hanno usati poi «solo» 1200, riconosciuti più validi da esperti epidemiologi per condurre le analisi.
Il risultato medio era che la carne e mortalità non sarebbero associate (né bene né male). Delle 48 analisi considerate statisticamente significative, 40 indicavano che il consumo di carne rossa riduceva la mortalità precoce e otto al contrario indicavano che mangiare carne rossa portava a una maggiore mortalità. Questo è ciò che ci si aspetterebbe se la carne rossa non trasformata banalmente non avesse in realtà alcun effetto reale misurabile sulla longevità.
Questi epidemiologi hanno mostrato che ci sono migliaia di modi plausibili per analizzare i dati, e questo può portare a conclusioni molto diverse.
L'epidemiologia nutrizionale trarrebbe grandi benefici da questo approccio «multiverso». Sospetto che il numero di associazioni falsamente positive e conseguentemente di titoloni assolutisti sui quotidiani diminuirebbe. E questo non sarebbe una cosa negativa. Non esistono poi tante certezze al mondo, inutile fingere che sia così nella scienza.
Nicola Gaibazzi
Responsabile Coordinamento attività cardiologiche ambulatoriali dell'ospedale Maggiore.
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