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Una chiacchierata per i 30 anni della Francescana

Bottura al Massimo: lo chef tristellato era a Vinitaly, tra piatti e sogni

«Il cuoco del futuro è un cuoco che esce dalla cucina, ha una grande squadra, ma insegna e dà spazio ai giovani perché i giovani sono il nostro futuro»

Bottura al Massimo: lo chef tristellato era a Vinitaly, tra piatti e sogni

di Sandro Piovani

22 Aprile 2025, 11:35

Massimo Bottura sorride sotto la barba ormai bianca, i 30 anni della «Francescana» e i 10 anni di «Food for Soul» sono momenti di soddisfazione vera. E la sua filosofia è sempre più chiara, tra storia della cucina, sogni, gioventù e l'inesorabile trascorrere del tempo. Eppure, parlandogli, si ha una iniezione diretta al cuore di forza e ottimismo, di idee. La location è Vinitaly, nella calca della fiera del vino e dei distillati la chiacchierata è ancora più energizzante. Così come la sua cucina. Con il grande successo del suo ristorante a Vinitaly, «al Massimo». «Guarda, è poco più di mezzogiorno ed è tutto pieno. La gente viene qua a cercare il sogno, a vedere cosa significa sognare, crederci veramente. Questo è un messaggio molto importante per i giovani. Continuare a sognare perché sognare non costa niente e continuare a sognare significa creare il futuro. E i trent'anni dell'Osteria Francescana sono un traguardo molto importante. Abbiamo vinto tutto quello che c'era da vincere ma l'importante è il futuro. Perché nel mio futuro c'è sempre il futuro. Ed è questo che cerco di raccontare ed insegnare ai giovani. Tutti devono essere coscienti di questo: continuare a sognare per crearsi il loro futuro».

Tra l'altro all'ingresso del padiglione Emilia Romagna c'è scritto “non uccidete i sogni”...
«Per me è la cosa fondamentale questa. L'emblema, il simbolo di quello che è il futuro. E io vivo per il futuro, non per i premi e riconoscimenti che mi danno. Vivo per quello che succederà nel futuro. E il futuro cos'è? Sono i giovani, io da solo sono Massimo Bottura, con la mia squadra siamo l'Osteria Francescana. Questo fa la differenza».

Secondo te è così in tutte le brigate di cucina?
«Non lo so, io posso parlare per me stesso. Però posso dire che quando affermo che l'ingrediente più importante per il cuoco del futuro è la cultura, che genera conoscenza che apre la coscienza. E tra coscienza e senso di responsabilità il passo è molto breve. E quindi il cuoco del futuro è un cuoco che esce dalla cucina, ha una grande squadra, ma insegna e dà spazio ai giovani perché i giovani sono il nostro futuro».

E qui si vive un'idea di Emilia Romagna, magari fuori dalla cucina del ristorante ma immersi in questo territorio.
«L'idea dell'Emilia è unica perché l'Emilia è una terra unica al mondo. La gente dell'Emilia ha nella cultura la dedizione del lavoro e l'ossessione della qualità. Questo lo noti in ogni azienda, in ogni angolo della nostra regione».

E allora quanto è importante la storia? Che significato ha nella cucina?
«La storia e la conoscenza della storia sono fondamentali, soprattutto per l'Italia. L'arte davvero alta non è mai alta se non poggia sul passato. Questa idea di guardare il passatoin una chiave critica e non nostalgica, è fondamentale. Perché se tu sei critico prendi il meglio del passato e lo porti nel futuro. La tradizione è un trampolino di lancio importante ma la tradizione nostalgica degenera, la tradizione critica la rinnovi in cucina giorno dopo giorno».

Se l'Osteria Francescana compie 30 anni, Food for Soul ne compie 10...
«Un traguardo importante, soprattutto per «Food for Soul», che è un grande orgoglio. L'ho sognato a dispetto di tutti e qualcuno mi ha ascoltato e l'abbiamo realizzato. Ed ora il mondo intero parla di spreco alimentare. E di eccesso di produzione. Nel 2025 non è possibile che si produca cibo per 12 miliardi di persone visto che siamo 7,8 miliardi e quasi 900 milioni di persone non hanno nulla da mangiare e noi sprechiamo il 30% del cibo che produciamo dopo avere usato acqua, luce, elettricità e forza umana per produrlo, diventando la seconda causa di cambiamento climatico, dobbiamo cambiare. Quello che abbiamo fatto sino ad ora, a Milano, è qualcosa di straordinario. Con alcuni dei cuochi più influenti del mondo avevamo cucinato l'inevitabile spreco dell'Expo per la gente in difficoltà. Ora ogni ristorante che apriamo, dobbiamo aprire un refettorio. Abbiamo tredici ristoranti e tredici refettori. E sono tonnellate di cibo trasformate e cucinate per la gente in difficoltà. Che ora lavora nei refettori stessi e collabora».

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