Gusto
Al suo arrivo in sala, l’effetto è simile a quello che si ha col carrello dei bolliti: quando lo scalco estrae le carni fumanti e comincia a tagliare, tutti ne vogliono. Lo stesso accade col carrello dei formaggi: la varietà delle forme, i colori, gli aromi, e in alcuni casi qualcosa di più, stuzzicano i sensi e molti scoprono di avere una piccola voglia, ancora uno spazio per concludere il pranzo. C’è oggi un ritorno d’attenzione per questo che è stato una vera istituzione della ristorazione classica, emblema, specie in Francia, di quella cucina, detta «alta», scenografica, di lussoe molto costosa.
Fu probabilmente proprio per i costi elevati, insieme all’aumentato protagonismo dei cuochi e agli sprechi che la sua gestione inevitabilmente comporta, che il carrello dei formaggi progressivamente sparì. Ora, ridimensionato nel numero, senza più quei grandi vassoi (era un vero feticcio quello d’argento di Christofle) e puntando soprattutto sulla qualità, molti lo stanno riproponendo -e sono sontuosi quelli di alcuni grandi ristoranti italiani: «Villa Crespi» a Orta San Giulio, «Miramonti l’altro» a Concesio, «Pergola» a Roma, «Enoteca Pinchiorri» a Firenze, «Al sorriso» a Soriso, «da Vittorio» a Brusaporto... Nella nostra provincia sono interessanti quello del «Vèdel» (Vedole di Colorno) e quello, tutto dedicato a formaggi cremosi, della «Stella d’oro» a Soragna.
«Sono i formaggi che piacciono a me -dice Marco Dellabona, cuoco e proprietario di quest’ultimo locale- più che gli stagionati di cui ho solo alcune tipologie: dunque prevalentemente formaggi francesi, perché i nostri sono spesso di poca qualità. Ne propongo 10-15 che, insieme a un buon Parmigiano di 24 mesi, sono completamento del pasto, specie per chi non mangia il dolce. Ho perso l’abitudine di accompagnarli con miele e mostarde, perché credo che finiscano per nascondere la qualità del formaggio; preferisco il pane comune della bassa o il pain brioche sempre per non coprire i sapori. Per i vini bisogna seguire i gusti personali: consiglio un vino dolce, un nostro passito, un buon Marsala, niente bollicine che rovinerebbero tutto».
La degustazione è l’occasione per suggerire alcune linee guida per un ideale carrello dei formaggi: se ne parla con Alberto Spisni, già docente di chimica e biochimica dell’Università di Parma e qui come gourmet, Accademico della cucina italiana, Maestro assaggiatore di formaggi di cui è goloso appassionato. «Il carrello dei formaggi è sicuramente una parte importante di un ristorante di un certo livello. Credo dia un tocco di classe come sostitutivo dei dolci, non come un potenziale secondo, perché i formaggi si gustano soprattutto in ridotte quantità come appunto dei piccoli dolci. Mescolare formaggi italiani con formaggi di altri paesi, specie francesi, è di certo qualcosa di meno identitario, ma più attraente. Si dovrebbero proporre tre tipologie: stagionati a pasta dura, semi stagionati a pasta semidura, formaggi freschi. Comincerei con gli stagionati: un buon Parmigiano in due opzioni: 24-30 mesi e poi 46-50 mesi, specie con un vino di corpo, formaggi di montagna o pianura, di Vacche rosse “vere” o di Frisona e Bruna. Poi il Bitto di 24 mesi che dà esperienze molto interessanti: è un formaggio vaccino della Valtellina e il “Bitto ribelle”, prodotto secondo tradizione, è eccezionale. Poi, per contaminare coi francesi, ci vuole un Comtè di 30 mesi che è l’unico vero competitore del Parmigiano. Per la pasta semi dura andrei in Sardegna con un pecorino Maimone a caglio vegetale veramente straordinario; poi il Morlacco del massiccio del Grappa, vaccino, saporito e magro e il Monte Veronese, corposo e dal gusto particolare. Ora ci vuole un erborinato: un Gorgonzola e un Roquefort, di latte ovino, per un confronto. Si finisce con quelli a pasta molle: vaccini e caprini e pasta fiorita, una buona robiola o un Brillat-Savarin morbido e vellutato, che riempie e accarezza il palato. Amo il formaggio in purezza, magari con un po’ di frutta secca, purché non si copra mai il lavoro del casaro. Per il vino ne sceglierei uno di buona struttura tra Piemonte e Trentino o un Porto, un buon passito. Infine, sapere spiegare il formaggio èun momento decisivo e qui deve venir fuori la competenza e la passione del ristoratore».
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