Gusto
Le posate parlano… e dicono molto di noi. Dicono se siamo eleganti o improvvisati, se sappiamo vivere la tavola oppure no. Possono persino comunicare al cameriere se il piatto ci è piaciuto o se siamo solo stati educati. E questo senza emettere un suono. Già perché una tavola apparecchiata bene è come una stretta di mano sicura: accogliendo con stile racconta chi sei, senza urlarlo. Niente eccessi. Solo equilibrio, sobrietà e precisione.
Scopriamo allora la grammatica della tavola. Iniziamo dal piatto che va sempre al centro, come una regina. Il tovagliolo? A sinistra o sopra, mai nel bicchiere! Le posate si dispongono come in una coreografia elegante. Quelle che vengono utilizzate prima, vanno messe accanto al piatto in successione a partire dall’esterno quindi forchetta da antipasto più piccola, pasto principale, pesce e naturalmente vanno scelte secondo il tipo di portata. A destra avremo sempre il coltello, con la lama rivolta verso l’interno. A sinistra la forchetta con il cucchiaio solo se serve. Va anche aggiunto un coltellino per il burro da sistemare in orizzontale sul piattino da pane posto in alto a sinistra con il manico rivolto verso destra.
Una curiosità: l’uso della forchetta è molto tardivo. Nel XVI secolo, Monsignor Della Casa con il suo «Galateo» formalizzò le regole dell’etichetta, contribuendo alla diffusione della forchetta. Nel 1608, il viaggiatore inglese Thomas Coryat, in visita a Venezia, ne apprezzò i vantaggi igienici. Tuttavia, l’uso della forchetta fu a lungo osteggiato: Anna Maria d’Austria, moglie di Luigi XIII, ne vietò l’uso a corte e nel 1629 il divieto fu esteso in tutta la Francia. Alla corte di Vienna si mangiava con le dita fino al 1651. Anche Luigi XIV, il Re Sole, considerava la forchetta un cattivo esempio: cacciò il duca di Borgogna per averla usata a tavola, preferendo invece mangiare con le mani, che definiva «regali posate». Solo nel 1684 il sovrano cominciò a usare la forchetta.
Ma ritorniamo alla nostra tavola. In alto al piatto metteremo le posate da dessert che molti dimenticano. Infine le posate per frutta da servire dopo il dolce, ed il caffè vanno portate solo al momento in cui vengono serviti. I bicchieri seguono la linea: acqua, vino rosso, vino bianco. Piccoli, medi, grandi. Come le note di un accordo ben riuscito. Ma non è tutto: le posate hanno un galateo muto. Le incroci? Vuol dire che sei in pausa. Le apri a ‘v’ rovesciata? Il messaggio è chiaro: «Non mi è piaciuto». Le lasci parallele, sul piatto, ore 16:20? Hai finito. Le incroci verso il basso? Il piatto ti è piaciuto molto. Chi serve sa decifrare, chi è seduto dimostra stile.
Apparecchiare è un gesto d’amore. Una tavola ben pensata è un abbraccio con le posate al posto delle braccia. E no, non vale solo nei ristoranti con la stella. Non servono poi l’argenteria della nonna o il centrotavola scenografico. Bastano ordine, pulizia e coerenza. E un pizzico di cura, che è sempre fuori moda solo per chi non ce l’ha. Perché il galateo non è rigido, è gentile. Non impone, ma suggerisce. Come una persona di buon gusto che non ha bisogno di spiegarsi troppo.
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