Tutta Parma
E' l’unico personaggio parmigiano, al quale è stato dedicato un borgo, ad essere chiamato con il nome di battesimo. Infatti i «pramzàn dal sas», il borgo intitolato all’illustre medico Giacomo Tommasini, non lo pronunciano per intero, ma solo «borgo Giacomo», meglio ancora, «bórogh Giàcom». Un borgo calato nel cuore antico di Parma che vuole ricordare un insigne medico nato nella nostra città nel 1768 e morto nel 1846. Laureatosi giovanissimo nel nostro Ateneo dopo un praticantato nel nostro Ospedale - come riporta Roberto Lasagni nella sua preziosa opera «Dizionario biografico dei parmigiani» (Pps editore - 1999) - ottenne borse di studio per corsi di perfezionamento nelle più importanti università italiane, divenendo, anni dopo, medico di fama europea.
Nominato professore di fisiologia e patologia medica, le sue lezioni erano molto apprezzate dagli studenti. Durante il primo impero francese, nonostante la fama eccellente che si era conquistato il nostro Ateneo, l’Università di Parma subì un decreto di soppressione in seguito ad un piano di ristrutturazione degli istituti di insegnamento superiore. La città diede allora l’incarico a Tommasini, al conte Filippo Linati ed al banchiere Giuseppe Serventi di recarsi dall’imperatore Napoleone Bonaparte per chiedere la revoca del provvedimento. E fu proprio Tommasini che, perorando la causa con particolare eloquenza, riuscì ad ottenere la sospensione del decreto. E, questo, per quanto attiene la vita e le gesta medico-scientifiche e politiche del personaggio al quale il borgo fu dedicato nel 1882.
Seguendo le citazioni tratte dai volumi «Parma nel nome delle sue strade» di Giuseppe Sitti (Officina Grafica Fresching 1929) ed «I borghi di Parma» di Giovanni Ferraguti (edizione Battei 1981) ripercorriamo le varie fasi dell’antica toponomastica del borgo che, prima dell’intitolazione a Giacomo Tommasini, riportò alcuni toponimi. Iniziamo da Vicolo Toccoli, che prese il nome dall’antica famiglia parmigiana.
Si ha infatti memoria di questa nobilissima famiglia in un antico monumento o arca sepolcrale di stile gotico tutt’ora presente nell’angolo di Piazzale Cervi e che sorgeva all’interno della soppressa chiesa di San Siro. Borgo Tommasini si chiamò anche Sant’Apollinare come l’ omonima chiesa, sempre ubicata nel borgo, e poi soppressa, eretta dai parmigiani in ricordo del Santo che, per primo, predicò il Vangelo nella nostra città. In seguito, un'altra dedica al borgo, ancora ad un santo, San Salvatore, dal nome della chiesa che sorgeva in fondo al borgo con annesso monastero, eretta nel XVII° secolo dalle canonichesse lateranensi. La chiesa fu parrocchiale fino al 1630 e, nel 1810, soppressa insieme al monastero.
Dopo essere stata adibita ad officina meccanica ed a magazzino, la chiesa, venne convertita in chiesa evangelica come lo è tutt’ora. Infine, al borgo, venne attribuito un nome bizzarro, strano: «Borgo della Chiodinella», forse proveniente da una famiglia parmigiana di cui non sono state lasciate tracce. Alcuni ipotizzano che, come «borgo della Canadella» (attuale via Primo Groppi un tempo attraversata da un canale che scorreva nella parte antica della città per arrivare in Borgo Carissimi), «chiodinella» fosse un termine che si riferisse a qualche attrezzo utilizzato in questa paludosa parte della città in quanto il borgo si intersecava con «Borgo della Rane» (attuale Borgo Riccio) così chiamato per la presenza di rane e girini. E poi i palazzi storici ed aristocratici che si affacciavano sul borgo: Tarasconi, Belloni, Roncoroni, Sanguinetti, Gambara (dove fu tramata la congiura che il conte Sanvitale ordì all’indirizzo di Ranuccio I° Farnese che fallì e portò alla condanna a morte nella Piazza Grande, il 19 maggio 1612, lo sesso conte Sanvitale ed altri nobili tra i quali Barbara Sanseverino).
Da non dimenticare - come ricorda Pier Paolo Mendogni nel suo «La Pamigianità tradizioni, dialetto e un'impronta europea» (2020)- che, attigui a Borgo Giacomo, esistevano due borghi denominati entrambi della Morte che correvano paralleli da borgo San Lorenzo a borgo San Silvestro lungo le due fiancate di Palazzo Provinciali, demolito insieme a quello del marchese Paveri per realizzare Piazzale Borri e poi gli attuali borghi Garimberti e Merulo. Tra i due borghi si trovava l'oratorio di San Claudio, chiamato volgarmente «della morte» (come le due stradine che l'affiancavano) in quanto costruito nel 1617 dai «Confratelli della morte» in una casa donata dal celebre musicista Claudio Merulo. Fu sconsacrato nel 1899 e ridotto ad uso profano. A questa antica fetta di Parma il pittore Baldovino Bertè realizzò uno stupendo olio su tavola nel 1872. Ma ora, in compagnia di un nativo doc di Borgo Giacomo, Emilio («Millo») Pagani, effettuiamo un percorso virtuale addentrandoci nel mondo piccolo «äd bórogh Giàcom» anni ‘50-’60 e ’70. Tanti i negozi e un formicaio di persone frequentava il centralissimo borgo. Ovviamente, a distanza di anni, nella memoria, che non è quella di un computer, affiorano i ricordi solo di alcuni negozi come quello di Pedrini (rasoi elettrici), la macelleria Bricoli, l’armeria Abati, la salumeria Grisenti, la libreria Capacchi, il meccanico di bici Gino Zannani, l’ortolana Antenisca, la drogheria Pelosi, gli ambulatori di due mitici medici, il dottor Gambara ed il professor Toscano. Ed ancora: la Pizzeria Genovese (che portò a Parma quel capolavoro della cucina ligure che è la farinata di ceci), l’orologiaio-orefice Nasuti, Alinovi e Tanzi, il garage Compiani, Masci mobili, gli ottici Silla Candi e Giorgio Cavazzini, la Latteria 51 di Ezio e Anita autori di una pizza spaziale, la scuola delle maestre Luigine, lo scatolificio Grolli e le sedi dell’Aci e del Rapid nel palazzo Tarasconi Smeraldi.
E, proprio in borgo Tommasini, a «Stopaj», uscì, forse, la più bella battuta della sua vita. In un caldissimo primo pomeriggio estivo, «Stopaj», dopo avere completato il «pieno» nel vicino bar trattoria «Giardinetto», era appoggiato al muro di una casa blaterando a voce alta parole senza senso. Da una finestra spuntò un catino colmo d’acqua che lo investì in pieno. Non fece una piega ma si limitò a dire: «Vót färom gnir méz vén?». Tra questa umanità varia troneggiava (sia per possenza fisica che culturale e spirituale) il parroco di San Vitale, il mitico monsignor Giuseppe Orsi, leggendaria figura di prete e di educatore.
Il borgo Du Tillot, a fianco della chiesa, era diventato, per i ragazzi di allora, il magico cortile per i loro giochi. Importante era evitare le rampogne di Tonino, «al campanär», che aveva il suo bel daffare a contenere anche le incursioni nel borgo del «mat Sicuri» con la sua bici colma di qualsiasi cosa. Il borgo del terzo millennio è sato arredato in modo insolito e un po' bizzarro, ossia è stato completamente tappezzato di specchi che riflettono le luminarie dei negozi.
C’è da augurarsi che in questi specchi si rifletta, non solo, il futuro di questa città, ma si possa scorgere anche quel passato del quale dobbiamo fare tesoro poiché, senza avere ben presenti le proprie tradizioni, una comunità, non va da nessuna parte.
Lorenzo Sartorio
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