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EDITORIALE

Villa Pamphili: i tanti errori di una storia maledetta

Villa Pamphili: i tanti errori di una storia maledetta

di Filiberto Molossi

24 Giugno 2025, 15:12

È l'uomo dai mille nomi e dagli altrettanti volti. Parliamo tanto di lui, ma in realtà ne sappiamo poco o nulla. Tranne che non avremmo mai voluto incontrarlo. Charlie Francis Kauffman, alias Rexal Ford, alias Matteo Capozzi, alias Daniel Foster e chissà quanti altri ancora, si è spacciato per qualunque cosa fino a che i corpi inermi di una donna e di una bambina di pochi mesi - la sua compagna e sua figlia -, ritrovati a Roma, a Villa Pamphili, non ne hanno confermato, in modo implacabile, l'identità esatta, la vera natura: quella dell'assassino. Detenuto in Grecia, dove è stato rintracciato nell'isola di Skiathos, affollatissima meta turistica delle Sporadi, il 46enne Kaufmann, americano che adesso anche la sorella Penelope definisce uno psicopatico, un mostro («una volta ha quasi ucciso nostro fratello», ha detto), sosteneva di essere un regista: in realtà, è stato soprattutto un grande attore. Un istrione malvagio sul palco del diavolo, un incessante manipolatore: la cui crudeltà ha trovato terreno fertile nelle falle di un sistema fragile e imperfetto. Perché la tragedia di Villa Pamphili, il doloroso giallo dell'estate 2025, è anche una storia di mancanze, di errori, di valutazioni sbagliate o comunque superficiali.
Una storia sbagliata dalle maglie larghe in cui Kaufmann si è mosso agilmente e impunemente, tra controlli evidentemente (troppo) blandi delle forze dell'ordine e generosi e improvvidi finanziamenti da parte dei funzionari del ministero della Cultura. Tanto che quel che colpisce di più in questa vicenda - al di là della sorda crudeltà degli eventi - è proprio una certa sciatteria, quella noncuranza molto se non tutta, ci spiace dirlo, italiana; una sorta di approssimazione, di sommarietà che permette al Male di propagarsi invece di essere arginato, di correre libero come i cani neri del romanzo omonimo di McEwan.

Tre i controlli a cui la polizia ha sottoposto Kaufmann nella capitale, poco prima dei macabri ritrovamenti dei cadaveri della 28enne Anastasia, di nazionalità russa, e della piccola Andromeda: tre episodi, finiti in nulla, su cui ora farà luce un'inchiesta interna. Il primo incontro risale al 20 maggio: in via Giulia, nel centro di Roma, viene notato un uomo che «ubriaco e in stato di agitazione» strattona una donna. Con loro c'è anche una bambina. Sono le 22. L'uomo viene identificato come Rexal Ford, la donna è senza documenti: dice di chiamarsi Stella Ford. Per gli agenti basta così: non viene attivato il «codice rosso», forse non ne intravvedono gli estremi. E li lasciano andare. Un'altra pattuglia li rivede due ore dopo: a chiamare la polizia è un passante che ha visto un uomo, alterato, ferito alla testa. All'arrivo dei poliziotti Anastasia sta curando la ferita alla fronte di Kaufmann e parlando in inglese spiega che il marito, ubriaco, si era fatto male sbattendo contro lo spigolo di un muro. Per gli agenti è sufficiente: anche stavolta li lasciano andare. Quindici giorni dopo, il 5 giugno, il terzo controllo: l'americano è solo con la bimba, Anastasia probabilmente a quel punto è già morta. Viene notato in piazza Cairoli, poco distante da largo Argentina, mentre barcollante beve del vino da una bottiglia con in braccio la piccola che piange disperatamente. Ai poliziotti spiega che la moglie era andata via e che gli aveva lasciato la bambina: ancora una volta, incredibilmente, li convince. E dire che con un po' più di pazienza, con un controllo maggiormente accurato, avrebbero scoperto che l'americano aveva già alle spalle precedenti per violenza domestica e aggressioni. E che in passato aveva scontato 120 giorni di carcere «per aggressione».
Non c'è dolo, ci mancherebbe: ma disattenzione, «stanchezza», superficialità come dicevamo. Anche. certamente, nella concessione da parte dello Stato italiano al 46enne sedicente regista di un’agevolazione pari a 836mila euro per il film «fantasma» «Stelle della notte», di cui Kaufmann sosteneva di essere il produttore. Richiesta di denaro pubblico che era stata presentata con documenti falsi e utilizzando identità fittizie. Eppure. Eppure, il ministero della Cultura assegna a Kaufmann senza pensarci troppo il tax credit, cioè uno sconto sulle tasse come forma di finanziamento. Il falso regista sa essere evidentemente convincente e coinvolge nel suo piano un produttore italiano, Marco Perotti, che ora si dice «sconvolto». Al ministero arrivano alcuni spezzoni da visionare: tanto basta. Il finanziamento parte e arriva a destinazione: anche se ancora non è certo quanto di quella non banale cifra sia finito nelle tasche del 46enne millantatore.
Uno scandalo. Che però adesso rischia di prestare il fianco a pesanti speculazioni politiche. Lo strumento del credito d'imposta si è dimostrato utile in molteplici casi: ha supportato film italiani che altrimenti non avrebbero visto la luce e ha portato in Italia - con un ritorno anche di immagine non trascurabile - grandi produzioni come quelle di 007 o «Mission: Impossible», solo per fare due esempi. Si è trattato insomma di un'iniziativa positiva per il settore cinematografico. Ma a volte a benificiarne sono stati gli amici degli amici: gli abusi ci sono stati. E certamente il caso Kaufmann dimostra che nell'elargire denaro pubblico serve (molta) più attenzione e diligenza: quelle che in questa maledetta storia sono mancate a tutti i livelli.

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