di Riccardo Anselmi
Ci sono videogiochi profondamente figli del nostro tempo, anche se raccontano storie apparentemente lontane, come Wolfenstein: Youngblood, quarto capitolo per Pc e console della serie reboot aperta da Wolfenstein: The new order (2014), con cui la major statunitense Bethesda e lo studio di sviluppo svedese Machinegames hanno reimmaginato, nel vivo di questo decennio, il più classico degli sparatuttto. La seconda guerra mondiale degli episodi degli anni ‘90 ha quindi lasciato il posto a un’ucronia, dove i nazisti hanno vinto sugli alleati e dominano crudelmente il pianeta. O, almeno, era così fino a Wolfenstein II: The new colossus (2017), perché intanto la Resistenza, guidata dall’eroe della saga, il nerboruto B.J. Blazkowicz, è riuscita a liberare molte aree finite sotto il giogo del nemico, arrivato a conquistare persino gli Usa.
Il cuore dell’Europa resta invece occupato ed è qui che, nella Parigi degli anni ‘80 alternativi di Wolfenstein: Youngblood, si mettono all’opera, all’insegna del girl power, le figlie di B.J., seguendo alla lettera la massima del padre, che quando vede una svastica non nutre alcun dubbio: l’unico nazista buono è quello morto. Machinegames non va per il sottile nell’inscenare la loro carneficina, in pieno stile pulp. Al di là della chiave fantascientifica, il gusto dei nuovi Wolfenstein rimanda d’altronde alla scuola tarantiniana di Bastardi senza gloria, che guarda caustica l’orrore in faccia ponendolo anche in ridicolo, lungo una parabola dove non manca un certo, sanguinolento, humour nero.
Oltre a Youngblood, che si caratterizza per l’enfasi sulla modalità co-op, nella quale si possono affrontare le missioni insieme a un amico, ciascuno nei panni di una delle due gemelle Blazkowicz, Bethesda ha pubblicato lo spin-off Wolfenstein: Cyberpilot, dedicato invece ai possessori di visore per la realtà virtuale (Psvr su Ps4 o Vive su Pc).
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