×
×
☰ MENU

HI TECH

Generazione bit. Demon Slayer e il manga di Arc System Works, tornano i vecchi cult di Raven, un classico di Obsidian e l'ultima novità co-op, dalle Canarie l’erede di P.T.

Generazione bit. Demon Slayer e il manga di Arc System Works, tornano i vecchi cult di Raven, un classico di Obsidian e l'ultima novità co-op, dalle Canarie l’erede di P.T.

di Riccardo Anselmi

12 Agosto 2025, 18:43

DEMON SLAYER: KIMETSU NO YAIBA - THE HINOKAMI CHRONICLES 2 (Sega, per Pc e console)

L’11 settembre è atteso nelle sale italiane il primo capitolo della trilogia cinematografica Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba - Il Castello dell’Infinito, a calare il sipario sul celebre manga dei cacciatori di demoni ambientato nel Giappone del periodo Taisho, tra il secondo e il terzo decennio del secolo scorso. In patria è già stato salutato come un evento, con numeri da record al box office. Intanto, a quattro anni dal videogame Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba - The Hinokami Chronicles, che combinava combattimenti, azione e avventura nell’adattamento della prima stagione della serie anime e del primo film tratti dal fumetto, con l’aggiunta di personaggi dello spin-off Junior High and High School!! Kimetsu Academy Story, è arrivato il sequel, Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba - The Hinokami Chronicles 2, che abbraccia gli archi narrativi del quartiere dei piaceri, del villaggio dei forgiatori di spade e dell’allenamento dei Pilastri, ossia la seconda, la terza e la quarta (nonché ultima) stagione degli anime, ciascuna suggellata da un lungometraggio. A sviluppare il videogame è ancora CyberConnect2, la casa fondata a Fukuoka, ma con sedi anche a Tokyo e a Osaka, già stretta collaboratrice di Namco Bandai nelle serie .hack e Naruto. Fukuoka è anche la città natale dell’autrice di Demon Slayer, della quale si conoscono solo il luogo e la data di nascita, ma la vera identità rimane celata dietro lo pseudonimo Koyoharu Gotoge. La misteriosa mangaka è artefice di un successo planetario, partito dal Paese del Sol levante, dove Demon Slayer (in giapponese Kimetsu no Yaiba) è tra i fumetti più venduti, trasposto in cartoni e film d’animazione, nonché in spettacoli di teatro Kyogen. Il primo lungometraggio animato, Demon Slayer - Il treno Mugen, pluripremiato, ha segnato il maggior incasso ai botteghini a livello globale nel travagliato 2020 della pandemia, per la prima volta andato a una produzione non statunitense, e rimane il più visto di sempre in Giappone, surclassando il record detenuto dal 2001 da La città incantata di Hayao Miyazaki. Un fenomeno quindi che può vantare un’enorme schiera di fan, ai quali si rivolge The Hirokami Chronicles 2, accessibile anche a chi non sia pratico di fighting game, ma voglia comunque calarsi nei panni dei suoi beniamini, con l’opportunità anche di creare un ammazzademoni personalizzato in ogni suo aspetto. C’è comunque materia pure per gli esperti di fighting games, con demoni particolarmente insidiosi e potenti da affrontare in duelli dalle scenografiche coreografie oppure orde di nemici come nei musou. Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba - The Hinokami Chronicles 2, alternando registri comici, altamente drammatici e attimi di serenità contemplativa, pone un deciso accento sulla storia. Il protagonista Tanjiro Kamado è un adolescente coscienzioso e responsabile, costretto dopo la morte del padre a sobbarcarsi il peso del sostentamento della famiglia. Quando una notte vengono tutti sterminati, con l’unica superstite della strage, la sorella minore Nezuko, trasformata in un demone pur mantenendo in parte la sua precedente umanità, a Tanjiro non rimane che intraprendere una lotta senza quartiere per salvare la ragazza e vendicarsi dell’entità oscura colpevole della morte di tanti innocenti. Tra una battaglia e l’altra, si esplorano i dintorni, trovando suggerimenti su dove dirigersi per procedere e molti mini-giochi, come un rhythm game in cui misurarsi con lo shamisen. In viaggio con gli amici ammazzademoni Zenitsu Agatsuma e Hashibira Inosuke si visitano così luoghi iconici di Demon Slayer, dalle pendici del monte Fujikasane, nel tripudio perenne della fioritura dei glicini, alle vie di Asakusa, distretto dell’area metropolitana di Tokyo sorto come quartiere dei divertimenti dell’antica Edo, in una scintillante e fedele rivisitazione di un immaginario nutrito dal ricco folclore locale e da temi universali, come il dolore per la perdita dei propri cari, i legami familiari, la pietà anche nei confronti di chi mostra il proprio lato più sgradevole e terribile, la possibilità di una redenzione, la forza di resistere alle prove più dure superando anche i traumi più devastanti.

GROUNDED 2 (Xbox Games Studio, per Pc e Xbox Series)

Può venire subito in mente il blockbuster Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi oppure, perché no, I viaggi di Gulliver, perché hanno in comune il tema di come siano relative le idee di grande e di piccolo, in un invito a mettersi dall’altra parte della barricata, per sperimentare quanto sia complicata la vita dei lillipuziani. Non si tratta infatti solo di percezione: ciò che sembrava ininfluente si configura come un ostacolo insuperabile se si è minuscoli. Un contesto familiare assume connotati irriconoscibili. Obsidian Entertainment, lo studio di Star Wars: Knights of the Old Republic II: The Sith Lords, Neverwinter Nights 2, Fallout: New Vegas, Dungeon Siege III, South Park: The Stick of Truth, Pillars of Eternity I e II, Tyranny e dei più recenti The Outer Worlds e Avowed, aveva già tradotto questi concetti nel survival Grounded che adesso torna, con il sequel Grounded 2, uscito con la formula dell’accesso anticipato, costringendo i personaggi a misurarsi con un’ambientazione ancora più vasta e varia. Dal precedente cortile di casa, i nostri eroi sono finiti infatti in un parco dei divertimenti, per essere ancora una volta miniaturizzati contro la loro volontà a causa di folli, avventate sperimentazioni. Sono trascorsi appena due anni dalla precedente avventura e adesso tocca loro ricominciare daccapo la lotta per la vita, cercando di adattarsi alla nuova situazione. Chiusa da tempo, la struttura nella quale si ritrovano Max, Willow, Pete e Hoops è stata riconquistata da una natura rigogliosa e irruente, ricostruita graficamente nella sua lussureggiante ricchezza e varietà. Il gruppo di ragazzini si lanciano nell’esplorazione, potendo contare anche sulle nuove cavalcature che hanno a disposizione, ossia volonterosi insetti. Questa classe di organismi è particolarmente numerosa in Grounded 2 e ricostruita digitalmente con accuratezza. L’effetto finale del gioco, realizzato con la collaborazione di Eidos Montreal, rimanda un po’ agli anni Novanta, quando al cinema altri giovanissimi si facevano coraggio l’un l’altro per vivere strabilianti epopee non lontano dalle loro abitazioni, spostandosi pedalando veloci in bicicletta, mentre adesso se ne stanno in precario equilibrio a cavalcioni della corazza di esseri viventi con i quali stringere alleanze vantaggiose. Gli insetti si rivelano utili fin nei combattimenti o per raccogliere risorse e aiutare a costruire il nostro rifugio. Ci si può divertire da soli o, meglio, con gli amici, considerando quanto siano agguerriti i nostri nemici, per cui l’unione può veramente fare la differenza. Grounded 2 è comunque un gioco per tutta la famiglia, dove genitori e figli possono agire di comune accordo per superare i pericoli e salvare i quattro sodali ridotti alle dimensioni di una formichina. Mentre ci si inoltra nella sfavillante galleria di biomi, tra cui quello alle basse temperature del furgoncino dei gelati, si impara a vedere la fauna e la flora con occhi differenti, lasciando una sensazione di aumentata consapevolezza di quanta biodiversità si celi non lontano da noi. L’umorismo è profuso a piene mani e le scoperte sono continue in questo ambiente ingegnosamente e spiritosamente reinventato.

DEAR ME, I WAS… (Arc System Works, per Switch 2)

Commovente, intenso: Dear Me, I Was… è un inno all’arte e alla vita, che scorre troppo veloce, anche se all’occorrenza, come insegna il filosofo Bergson, il tempo sembra lentissimo, come se non dovesse finire mai. Eppure basta un’ora e siamo già ai titoli di coda di un’esperienza multimediale dal carattere più contemplativo e riflessivo che non attivo, eppure capace di toccare corde profonde nel mettere in scena una sorta di album dei ricordi che hanno segnato in modo indelebile la quotidianità di un’esistenza. Arrivati sulla soglia del tramonto, cosa vogliamo salvare? Cosa ha contato veramente qualcosa per noi? È qui che emerge la sensibilità del racconto diretto da Maho Taguchi (Another Code Recollection), prodotto da Ryohei Endo e condotto attraverso una sequenza di vividi acquerelli animati con la tecnica del rotoscopio. L’art director è Taisuke Kanasaki, già regista delle acclamate avventure Another Code: Two Memories (e artista del sequel Another Code: R - A Journey into Lost Memories per Wii), Hotel Dusk: Room 215 e Last Window: The Secret of Cape West per la console Nintendo Ds, quando ancora era in forze a Cing, software house di Fukuoka chiusa nel 2010. Successivamente Kanasaki è entrato in Arc System Works, la casa di Yokohama che si è fatta un nome blasonato nel panorama dei fighting games, grazie a serie come Guilty Gear e BlazBlue, nonché a titoli su licenza, contribuendo inoltre allo scenario dei beat‘em up e allargando poi lo sguardo a ulteriori generi. Un’apertura di vedute confermata ora dallo sviluppo di Dear Me, I Was…, opera delicata e poetica che sfugge a facili classificazioni. Disegnata efficacemente come un anime, essendo priva di dialoghi affida al tratto, alle pennellate e ai colori il compito di descrivere, o meglio di evocare, tutto un mondo di emozioni, di sensazioni, di sentimenti. Ogni capitolo inizia con il presentare il vassoio della colazione, sempre diverso, specchio di gusti e di abitudini mutati. I giorni portano con sé gioie sincere e tragedie dolorose. Ci sono oggetti che ritornano dal passato e funzionano da ancoraggio per memorie scritte sull’acqua, però impossibili da dimenticare, perché ci hanno resi ciò che siamo. Più si avanza, più prevale l’accettazione di fronte all’imponderabile, che bussa insistentemente alla porta del personaggio principale. È una storia dalle tante sfumature, dove nessuno basta a sé stesso: si torna a sorridere nell’abbraccio dei familiari, nelle amicizie e negli amori, nell’accogliere animali abbandonati e indifesi, nel prendersi cura degli altri, ma anche nel non trascurare i propri talenti, magari chiusi in un cassetto dopo una delusione o una ripicca. Aiutano a ricucire i legami con il proprio io interiore e con gli affetti, nell’incanto sospeso di quel miracolo chiamato vita.

NEVERWINTER NIGHTS 2: ENHANCED EDITION (Aspyr, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Dici Obsidian e pensi ai giochi di ruolo. Di tutti i tipi, ma profondamente legati all’idea stessa di crpg. Entrata a far parte degli Xbox Game Studios insieme a varie case storiche acquisite una dopo l’altra da Microsoft, ha guadagnato oggi le luci della ribalta di chi è diventato il fiore all’occhiello di una major, cominciando a guardare anche altrove: la serie Gounded, un survival co-op, ne costituisce l’esempio lampante. Vent’anni fa, quando lo studio fondato da ex della leggendaria Black Isle muoveva i primi passi senza neppure un vero ufficio, ma nella soffitta del ceo Feargus Urquhart, il mito era ancora da costruire. Nonostante produzioni dalle vicende spesso tormentate, il talento non è acqua e Obsidian riuscì presto a conquistare il cuore degli appassionati. Agli occhi dei fan gli sviluppatori del team americano si sono dimostrati subito e sono rimasti a lungo tra i più abili e originali autori del genere. Già il debutto, nel 2004 con Star Wars Knights of the Old Republic II: The Sith Lords, contribuì ad accendere i riflettori sullo studio, che si sarebbe riconfermato qualche anno più tardi firmando di nuovo il sequel di una saga ereditata da Bioware, cioè Neverwinter Nights 2, del 2006, cui seguirono una sfilza di titoli, in pratica tutti cult. Da Alpha Protocol a Fallout: New Vegas, da Dungeon Siege III a South Park: The Stick of Truth, da Tyranny ai Pillars of Eternity, fino ai più recenti The Outer Worlds, Pentiment, Avowed non c’è una singola uscita che non abbia lasciato il segno o che non valga la pena di (ri)scoprire. Proprio l’operazione compiuta adesso da Aspyr, particolarmente impegnato sul fronte delle riedizioni rimasterizzate dei classici. Sue le antologie dedicate a Tomb Raider e a Soul Reaver, accanto ai graditi ritorni dei videogame di Star Wars, compresi gli adattamenti per Nintendo Switch dei due Knights of the Old Republic, quello di Bioware e quello di Obsidian. Ora all’elenco si aggiunge Dungeons & Dragons Neverwinter Nights 2: Enhanced Edition. Per la prima volta disponibile su console, si tratta della raccolta completa e aggiornata per funzionare sui computer odierni, compatibile anche con Steam Deck e rinfrescata da qualche miglioria qua e là, dalle texture all’interfaccia. Oltre all’avventura principale, integra le tre espansioni ufficiali Mask of the Betrayer, Storm of Zehir e Mysteries of Westgate. Come accadeva all’epoca, ognuna mette sul piatto variabili che la distinguono nettamente dall’esperienza offerta dal gioco base, ma soprattutto Mask of the Betrayer - un capolavoro assoluto forte di meccaniche peculiarissi e di un complesso intreccio narrativo capace di spingere all’estremo il concetto ruolistico delle scelte e conseguenze sotto la direzione di George Ziets – risulta imprescindibile, perché continua e per certi aspetti conclude la trama di Neverwinter Nights 2, un’epica impresa dalla scrittura avvincente che sfrutta appieno la licenza fantasy di Dungeons & Dragons e in cui ci si può facilmente far trasportare per centinaia di ore, giocando e rigiocando la campagna in mille modi diversi grazie alla traduzione minuziosa dell’apprezzatissimo regolamento di D&D in versione 3.5 che lascia un’enormità di opzioni per cucirsi addosso l’avventura, interpretando il protagonista che si vuole, al fianco di personaggi ben caratterizzati inseriti nelle dinamiche di una compagnia eterogenea influenzata da molteplici fattori. Si coglie il rapporto strettissimo tra l’opera digitale di Obsidian e il gioco di ruolo vero e proprio, con colpi di scena e momenti in grado di rievocare una partita gestita da un dungeon master in carne e ossa. D’altronde non manca un sistema che, per mezzo dell’apposito DM client, consente in multiplayer – dove già tutte e quattro le campagne di Neverwinter Nights 2 sono percorribili in co-op - di vestire persino quei panni, con tanto di mondi persistenti, e insieme ai mod(uli), cioè la possibilità di creare e di condividere avventure fai-da-te usando gli strumenti del videogame, ha mantenuto viva attorno al titolo una longeva community.

HERETIC + HEXEN (Bethesda, per Pc e console)

Dopo quelli di Doom e di Quake, un altro restauro da incorniciare. Presentato a sorpresa come il piatto forte dell’ultima Quakecon che si è appena chiusa in Texas, la riedizione Heretic + Hexen riporta sugli schermi due grandi classici, proposti in una forma mai così smagliante. Non a caso per l’occasione il leggendario team id Software e gli autori originali di Raven Software hanno unito le forze con gli specialisti di Nightdive Studios, maestri assoluti quando si tratta di recuperare vecchie glorie. La loro cura ha fatto benissimo anche ai due cult degli anni 90 che aprirono la strada a un’accezione più ampia del termine fps. In Heretic prima, nel sequel spirituale Hexen ancora di più, i first-person shooter si fondono con una matrice fantasy, trasformando quelli che potrebbero sembrare canonici sparatutto dell’epoca in epiche avventure di stampo sword and sorcery, influenzate tanto dall’heavy metal quanto dalle partite a D&D. È proprio grazie a titoli del genere che la visuale in soggettiva, esplorata in maniera peculiare anche da System Shock e poi ulteriormente elevata da Half-Life, ha finito per affermarsi quale perno dalle infinite possibilità per l’intero settore. Pur coevi ai Doom, pur assomigliando ai Doom, Heretic e Hexen offrono un’esperienza unica e diversa. La raccolta pubblicata da Bethesda comprende il primo Heretic del 1994 e il suo seguito del 1995, Hexen, insieme alle espansioni ufficiali Shadow of the Serpent Riders e Deathkings of the Dark Citadel, oltre a due episodi extra inediti creati ad hoc per la riedizione, cioè Heretic: Faith Renewed e Hexen: Vestiges of Grandeur, in perfetto stile rétro, per un totale di - sommando i vari contenuti di Heretic + Hexen - addirittura 117 mappe per la campagna e 120 mappe per il deathmatch. A Nightdive è riuscita di nuovo la magia. Più che a semplici versioni rimasterizzate, siamo di fronte a veri e propri remake filologici e certosini, dalla fedeltà assoluta, apparentemente gli stessi indistinguibili di una volta eppure capaci di aggiornare numerosi dettagli dove serve, rendendo i videogame più appetibili al pubblico odierno senza snaturarli. Sia dal punto di vista delle tecnologie, tirate a ludico per godersi al meglio lo spettacolo degli anni ‘90 come non si poteva nemmeno sognare di farlo negli anni ‘90, grazie adesso al rendering in multithreading fino a 4K e 120 fotogrammi al secondo, in mezzo a effetti speciali potenziati e a una colonna sonora riarrangiata (opzionale), sia da quello della giocabilità, a scelta tra vintage e ribilanciata appositamente, il lavoro compiuto sotto ogni aspetto è enorme, approfondito e sostanzioso. E si potrebbe parlare a lungo anche delle funzioni di accessibilità (che non sono i cheats, sebbene ci siano pure quelli). Valore aggiunto, su Xbox Series, la compatibilità con Play Anywhere, che accanto alla relativa edizione per console sblocca le versioni Pc del Windows Store e Xbox Cloud, per una fruizione piacevolmente multiformato.

LUTO (SelectaPlay, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Un incubo nel quale i confini tra ciò che è e ciò che invece sembra esistere solo nella mente del protagonista Samuel arrivano a confondersi di continuo, alimentando un horror psicologico dove misteriose presenze si aggirano in una casa sempre più trasformata in una trappola dalla quale si vorrebbe fuggire, ma diventa al contrario impossibile uscire. A complicare la questione e a moltiplicare i sentimenti di inquietudine e di incertezza è l’accuratezza al limite del fotorealismo con cui ogni ambiente viene rappresentato, quasi si potesse toccare con mano ogni oggetto. Eppure tutto sfugge, appare, scompare, si modifica ripetutamente nella raffinata e sorprendente opera d’esordio di Broken Bird Games, piccolo studio indie delle Canarie, che ha voluto trasporre in quest’avventura anche riferimenti al folclore dell’arcipelago spagnolo. Luto (parola che si traduce in italiano con lutto) è anche un omaggio al teaser interattivo P.T. realizzato da Hideo Kojima insieme al regista Guillermo del Toro e pensato come reinvenzione della saga horror Silent Hill di Konami. In P.T. era palpabile la sensazione di sentirsi prigionieri proprio nel luogo deputato a configurarsi come un rifugio sicuro. Ed effettivamente l’abitazione del protagonista era stata un nido di felicità e di serenità fino a quando, purtroppo, non era accaduto l’irreparabile. Luto è un sottile sollevare veli di Maya, cercando di districarsi tra illusioni, finzioni e cruda realtà. Ci sono pesi difficili da sostenere: il riemergere di traumi del passato, il dolore per il vuoto incolmabile provocato dalla morte di una persona cara, la ripetizione di azioni negative in un circolo vizioso che non si riesce a spezzare. Il labirinto cangiante di stanze diventa specchio e metafora delle circonvoluzioni dell’inconscio di Samuel, non si sa quanto frutto di percezione distorta e quanto riflesso fedele del contesto circostante. Il narratore onnisciente provvede a orientare nella complessa matassa che non a caso ha tra le sue influenze letterarie fondamentali un romanzo sperimentale come Casa di foglie di Mark Z. Danielewski. Il viaggio nel lato oscuro di memorie di famiglia è inoltre debitore dell’immaginario di film come Hereditary - Le radici del male e Storia di un fantasma, con in più iconiche citazioni da The Others di Alejandro Amenabar. Il simbolismo che percorre la narrazione giunge da una fonte speciale: la serie di dipinti Poema dell’Atlantico del pittore modernista Nestor Martin-Fernandez de la Torre che ritraggono l’oceano nelle diverse ore del giorno e della notte. All’artista è dedicato un museo nella sua città natale, Las Palmas de Gran Canaria. Qui ha sede anche la software house cofondata da Borja Corvo Santana, che ha voluto tessere richiami al patrimonio culturale della sua terra, ponendoli al cuore di un percorso di auspicabile redenzione e riconquista della libertà.

GORN 2 (Devolver Digital, per Psvr2, SteamVr e Meta Quest)

La realtà virtuale resta uno degli enigmi del digital entertainment contemporaneo. Corsi e ricorsi storici, considerato che qualcosa del genere era già stato provato tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso. Tante aspettative, poi il futuro ha preso altre strade. Adesso che la tecnologia appare più matura e i visori hanno fatto balzi da gigante rimane comunque difficile scrollarsi di dosso la sensazione di trovarsi ancora agli albori di un’era, che guarda forse agli ipotetici sviluppi del metaverso. Se i grossi produttori sembrano un po’ aver tirato i remi in barca, a tenere alta l’attenzione sulla realtà virtuale ci pensano così soprattutto piccoli studi, incuriositi dalle possibilità di sperimentare e di esplorare territori diversi dal solito coi loro progetti. Ricette come quella alla base di Gorn, la serie di Free Lives che ha saputo imporsi come una delle novità più apprezzate e originali, al punto che il sequel Gorn 2, appena sbarcato su Psvr2, il visore da collegare alla Ps5, si è piazzato subito tra le hit estive della console Sony. Un gioco volutamente ridicolo e volgarotto, perché estremamente caricaturale, all’insegna dell’ultraviolenza dei cartoon, ma molto ben fatto, sia nella forma che nella sostanza, in grado di sfruttare le caratteristiche salienti del Psvr2 per imbastire un assurdo concentrato di puro divertimento. In pratica una parodia degli spettacoli gladiatori che - mentre il sangue scorre a fiotti riempiendo lo schermo come gli effetti speciali di una volta con la cara, vecchia salsa di pomodoro e si sussegue ogni genere di colpo proibito pronto a mandare letteralmente in pezzi gli avversari – è quanto di più simile a una catartica e soave battaglia coi cuscini, anzi a dire il vero molto meno pericolosa. Rispetto al capitolo precedente, Gorn 2 è cresciuto tantissimo: il classico numero due che espande e porta a compimento le idee del primo. Tutto si presenta più grande e variegato, dalle armi alle arene, dalle trappole alla struttura stessa del gioco, che mette in campo di continuo nuove sfide e situazioni, compreso un eccentrico cast di boss di fine livello. Ciliegina sulla torta lo stile irriverente dello studio sudafricano Free Lives, capace di rileggere in ambito videoludico la tradizione dell’adult humour più tagliente, quello reso famoso in tv dai Simpsons e da South Park. In Broforce piazzando sotto i riflettori l’ipermascolinità degli action movie americani; in Gorn riflettendo sulla violenza che, oggi come ieri, appassiona il pubblico e diventa uno show.

THE HOUSE OF DA VINCI 3 (Blue Brain Games, per computer e console)

Il Rinascimento italiano per l’eccezionalità dei suoi protagonisti ha da sempre alimentato attorno a loro anche un alone di mistero, a cominciare dalla figura del genio universale per antonomasia, Leonardo da Vinci, cui lo studio slovacco Blue Brain Games si è ispirato per un’appassionante serie di giochi basata su ingegnosi enigmi. The House of da Vinci è una trilogia, con in più l’esperienza immersiva di The House of da Vinci VR, che inserisce in una trama di fantasia sia personaggi realmente esistiti che totalmente inventati. Nel terzo capitolo, The House of da Vinci 3, tutti i complessi fili dell’intreccio giungono a sintesi, rispondendo alle tante domande affiorate nel corso degli eventi. Si può volendo iniziare proprio dall’avventura conclusiva per poi recuperare a ritroso le due precedenti, così da cogliere antefatti e dettagli capaci di assumere una luce diversa. Protagonista è ancora Giacomo, entrato nella bottega fiorentina di Leonardo come suo aiutante e diventato amico del maestro. Un’attività che si rivela presto irta di pericoli. Anche in The House of da Vinci 3 Giacomo finisce in una spiacevolissima situazione, imprigionato ingiustamente e con l’obiettivo di escogitare un piano di fuga. I rompicapo sono ben inseriti all’interno dello sviluppo narrativo, che dissemina qua e là gli indizi di una cospirazione su vasta scala. Cosa celi è dunque il terzo titolo che si incarica di svelarlo, in un crescendo. Al coinvolgimento contribuisce lo stile grafico adottato, che descrive o allude lasciando intuire le forme nel buio, che rende vivide e palpabili le strabilianti invenzioni dentro le quali sono racchiusi certi puzzle. L’Italia è costellata di luoghi che, verità o leggenda, sono associati a un che di arcano. The House of da Vinci 3 ne include alcuni, come la Sacra di San Michele in Piemonte, immortalata anche nel Nome della rosa di Umberto Eco quale archetipo dell’abbazia del romanzo, e Caste del Monte in Puglia, eretto da Federico II di Svevia consegnando all’architettura forti significati simbolici. Suggestioni che si inseguono nel videogame di una software house indie appassionata del lato meno conosciuto della storia del passato più remoto, ma anche risalente al secolo scorso. È il solco in cui si colloca anche la nuova fatica di Blue Brain Games, The House of Tesla, in uscita in settembre, con al centro gli esperimenti sull’elettricità dello scienziato Nikola Tesla, accompagnando nella futuristica città nella città di Wardenclyffe, per comprendere cosa abbia intralciato i piani di un’utopia che avrebbe dovuto migliorare ogni aspetto della vita dell’uomo e che invece è diventata soltanto una distesa di strutture abbandonate.

SONOKUNI (Kakehashi Games, per Pc e Switch 2)

Un gruppo hip-hop giapponese, Don Yasa Crew, che ha trovato nei videogame un’ulteriore via per esprimere con energia la sua voglia di ribellione, firmando il gioco d’azione in 2D Sonokuni, nel quale si riflette il contrasto tra vecchio e nuovo attraverso le radici affondate nella mitologia del Paese del Sol Levante unite alle frontiere della biotecnologia del mondo in cui si svolge l’avventura dell’eroina Takeru. Per i musicisti la svolta è stata in realtà quasi una scelta obbligata dalle circostanze quando nel 2020, con un album pronto al lancio e un calendario di concerti già fissati, la pandemia li aveva costretti a cancellare l’attività live e a sospendere sine die l’uscita del disco, polverizzando anni di lavoro e di impegno. Il fatto che con la gente obbligata a rimanere in casa sempre più persone giocassero con i videogame aveva poi suggerito alla formazione di compiere il salto in un settore che aveva sempre esercitato una forte attrattiva. Se la nascita della software house di Don Yasa Crew è avvenuta subito, nel maggio 2020, la loro creatura ha visto la luce nel 2025, con l’arrivo di Sonokuni, dove la tranquillità della comunità che dà il titolo al gioco è messa in pericolo dalle mire di una tribù confinante insediatasi di recente e diventata quasi immune alle malattie e alla morte grazie a una sorta di medicina. L’effetto di quest’ultima sui compaesani di Takeru è invece mostruoso: li tramuta infatti in organismi vagamente vegetali, aberranti e agguetriti, Sulla falsariga delle imprese dell’eroe armato appena di un’ascia ai primordi della leggendaria storia nipponica, ecco Takeru, un’assassina di professione, accollarsi il compito di eliminare i nemici per proteggere il suo villaggio. Disponendo solo di una spada, la giovane deve colpire in maniera ravvicinata, cercando al contempo di schivare gli attacchi altrui, comunque micidiali se vanno a segno e allora non resta che ricominciare daccapo. Sostenuti dal ritmo dei brani, in Sonokuni si corre verso un caos crescente, in labirinti dai colori al neon, stilizzati nel solco di produzioni come Hotline Miami, dove brillano le caratteristiche architetture di un passato con il quale convivere, restituendogli vitalità.

HEARTWORM (DreadXP, per Pc)

Dichiaratamente un omaggio a cult della fine degli anni Novanta come Silent Hill e Resident Evil reso anche attraverso la scelta della grafica low poly (con in più la pixelazione opzionale per ottenere un maggiore effetto rétro), il survival horror Heartworm è anche una sorta di diario autobiografico del suo autore, Vincent Adinolfi, nel tentativo di aiutare la giovane protagonista Sam a superare il dolore e la tristezza che erano anche i suoi, senza precipitare nel gorgo di sentimenti negativi che, specie nell’adolescenza, non si è mai abbastanza attrezzati ad affrontare. Sam soffre per la morte del nonno, la cui mancanza ha scavato un buco enorme nelle giornate della ragazza, che le riempie trascorrendo ore e ore al computer, sperando di trovare in internet la possibilità di incontrare di nuovo l’amato familiare. Le capita così, inseguendo le piste di fantasmi, di arrivare finalmente in una casa di montagna, dove i due mondi, terreno e ultraterreno, dovrebbero incontrarsi in una stanza, dalla quale però nessuno è tornato indietro per raccontare ciò che gli è successo. Per Sam è l’inizio di un incubo, contro il quale non ha armi per combattere, ma solo la fedele macchina fotografica. Un mezzo che allude anche a una delle principali ispirazioni estetiche dell’autore, ossia il fotografo Gregory Crewdson, con i suoi interni desolati e vissuti. Adinolfi ha firmato pure le musiche, sottilmente inquietanti. È un’esperienza di orrore soprattutto psicologico, dove si alternano visuale in prima e in terza persona, con richiami old school confermati pure dall’utilizzo degli angoli di ripresa fissi. Decisioni che vanno nella direzione di trasmettere fedelmente certe sensazioni, spingendo a immaginare ciò che un disegno semplificato e meno ricco di dettagli non descrive completamente. Spuntano ovunque videocassette con le loro registrazioni, perché uno dei temi di Heartworm è quello della memoria e di come veicolare e conservare i ricordi. Da qui l’importanza della macchina fotografica, che fissa l’attimo per sempre. Nel videogame, dove Sam si ritrova dalla stanza dei misteri nella periferia di una cittadina priva di abitanti nella quale fatica a orientarsi, le vhs hanno anche la funzione di fornire spiegazioni e disseminare indizi, ribadendo come quella dei videoregistratori è stata un’epoca lontanissima dall’attuale dello smartphone sempre a portata di mano per scattare foto e girare video con una facilità che magari va a scapito della consapevolezza del gesto compiuto.

HOLY SHOOT (Tale Era Interactive, per Pc)

Si sa, la strada dei titoli in early access è lastricata di buone intenzione, ma Holy Shoot è una di quelle novità che promettono davvero bene. Ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una hit indie capace di far parlare molto di sé, quando finalmente sarà pronto. Per adesso è stato pubblicato in una veste ancora incompleta, nella forma delle anteprime work in progress disponibili in accesso anticipato per Pc su Steam. Si tratta di uno sparatutto in soggettiva sui generis che propone una sua via originale, a partire comunque da influenze riconducibili ad almeno due mostri sacri del filone, il frenetico reboot di Doom e l’esuberante Borderlands. Lo spirito della produzione firmata dal team turco Tale Era si trova proprio a metà tra il revival arcade portato avanti da id Software e l’anima looter shooter, venata di action rpg, architettata per il bestseller di Gearbox. In cima Holy Shoot aggiunge l’ingrediente magico dei videogame contemporanei, cioè l’elemento roguelike, sorta di prezzemolo digitale in grado di insaporire qualsiasi genere agli occhi del pubblico più appassionato, con quell’enfasi sulla rigiocabilità data dalla presenza di variabili casuali che rendono ogni partita sempre un po’ imprevedibile. Oltre a poter contare già su meccaniche capaci di incollare allo schermo, per la serie un altro giro e poi smetto, il progetto d’esordio di Tale Era si caratterizza per un’atmosfera accattivante, che rilegge in commedia la guerra tra angeli e demoni, con tanto di bizzarro cast di eroi divini spediti all’inferno per combattere i sette peccati capitali incarnati da altrettanti boss e i loro scagnozzi. Lo humour la fa da padrone, non mancano scambi di battute, situazioni e personaggi bizzarri, all’interno di una veste grafica che segue di conseguenza, guardando agli insegnamenti di Borderlands per gli effetti e il disegno da fumetto, dove ogni livello, collegato all’hub centrale in cui riorganizzarsi, esprime un diverso tema.

BEAT ‘EM UP COLLECTION (QUByte, per Pc e console)

Quando si invecchia, è facile farsi prendere dalla nostalgia e anche un passatempo come videogiocare ha ormai una certa età. C’è però un valore intrinseco nella memoria, mentre da più parti, appassionati e addetti ai lavori, si interrogano sempre più su questioni non di poco conto, tra cui la preservazione del software in un ambito, come quello digitale, che presenta sfide inedite e complicate. Intanto gli editori hanno scoperto il fantastico mondo del retrogaming, che ha trovato una sua nicchia di mercato oltre la clandestinità e dove si sono affermate realtà specializzate nel recupero, se non proprio nel restauro, dei titoli di una volta. Tra queste i texani Piko e i brasiliani Qubyte, che hanno collaborato per riportare su computer e console i sette titoli della raccolta Beat ‘Em Up Collection (QUByte Classics), un tuffo negli anni ‘90 a 16-bit dei cosiddetti picchiaduro a scorrimento cresciuti all’ombra dei cult del genere, da Golden Axe a Final Fight. La Beat ‘Em Up Collection (QUByte Classics) contiene nomi meno noti, produzioni curiose insieme ad assolute rarità che, a dispetto di ciò che potrebbe sembrare, pur riflettendo la forte influenza del Made in Japan sull’epoca, sono nella stragrande maggioranza tutt’altro che giapponesi. L’unico videogame originario del Paese del Sol Levante è Gourmet Warriors di Winds, senza dubbio anche il più bizzarro della collezione. Ambientato in una metropoli del futuro costruita sul mito cibernetico uomo-macchina e in cui si combatte per mangiare a più non posso, colpisce per quel suo gusto folle e surreale, spesso ammiccante, tipico di talune espressioni della scena nipponica. A parte Water Margin: The Tale of Clouds and Winds dei taiwanesi Never Ending Soft Team, ispirato al classico della letteratura cinese I briganti, il resto della raccolta si concentra sulla produzione europea del periodo che strizzava l’occhio ai successi dell’estremo oriente, da Legend e Iron Commando dei francesi Arcade Zone alla saga dei Samurai (First Samurai e The Second Samurai) degli inglesi Vivid, fino a Sword of Sodan dei danesi Discovery Software. Tutti i titoli della selezione hanno il proprio interesse. Iron Commando per esempio è una chicca, essendo stato cancellato all’ultimo momento, dovendo uscire su Super Nintendo sotto etichetta Sony, quando però la casa giapponese scelse di interrompere il progetto e lanciare la prima Playstation. Al di là dei valori delle singole produzioni, Qubyte ha curato ogni aspetto della Beat ‘Em Up Collection, a cominciare dai menu e proseguendo con una serie di opzioni come cheat e filtri.

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI