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Generazione bit. Il fantasy islandese e il Game of Thrones del Made in Japan, musica sulla neve, ma anche il rock che diventa un gioco di ruolo, il nuovo horror di Mike Klubnika, i 40 anni di Gradius e di Boulder Dash

Generazione bit. Il fantasy islandese e il Game of Thrones del Made in Japan, musica sulla neve, ma anche il rock che diventa un gioco di ruolo, il nuovo horror di Mike Klubnika, i 40 anni di Gradius

di Riccardo Anselmi

25 Agosto 2025, 15:37

ECHOES OF THE END (Deep Silver, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Due personaggi a tutto tondo e una natura potente, ricca di contrasti, di ghiaccio e di fuoco, reimmaginata nel mondo fantasy di Echoes of the End, che segna l’esordio di Myrkur Games, studio indipendente di Reykjavik. Lo stesso titolo è evocativo, nel sottolineare come si viva ormai in uno spazio e in un tempo che sono soltanto labili reverberi di ciò che è stato, mentre ci si illude non sia così. In Echoes of the End debutta anche una nuova eroina femminile, Ryn, che parte per l’impresa di salvare i suoi cari e la sua terra, trovando un inaspettato sodale e compagno di viaggio in Abram, a lei complementare, spiritoso e razionale, senza che la passione per gli studi e la storia gli impedisca di passare all’azione quando necessario. Ryn racchiude in sé ulteriori echi dalle mitologie nordiche nel suo essere una Vestigia, testimonianza vivente della pratica di arcane magie che solo pochi superstiti sanno ancora padroneggiare, accolti dalla diffidenza e dalla paura altrui. Sia Ryn che Abram hanno dietro di sé qualcosa che vorrebbero dimenticare, incalzati da un’attualità che intanto chiede loro di non farsi paralizzare da quanto già successo. Il fratello di Ryn è finito nelle losche mani di un impero dittatoriale privo di scrupoli e lei vuole a tutti i costi salvarlo, emendando così anche una colpa che la perseguita. Abram ha scoperto che qualcosa di enorme cova nell’ombra. Insieme i due dovranno comprendere i termini di quella che sembra una vasta cospirazione, decisa a trascinare le terre di Aema nella spirale di una guerra devastante, quando ancora non si sono rimarginate le ferite dei precedenti eventi bellici. Partecipa a questo appassionante incontro/scontro di personalità, di civiltà, di saperi e di superstizioni il paesaggio iconico offerto dall’Islanda, in una rilettura fantasy delle sue spiagge di basalto, le distese nere di lava, il profilo del monte Kirkjufell (immortalato pure nelle stagioni 6 e 7 di Game of Thrones come il rilievo dalla forma a punta di freccia che si ergeva oltre la Barriera e teatro di una violenta battaglia tra Jon Snow e gli Estranei), le cascate, il ghiacciaio di Solheimajokull… Luoghi raggiunti dagli sviluppatori per effettuare riprese con il drone, poi tradotte grazie alla fotogrammetria negli scenari iperrealistici del gioco realizzati attraverso lo spettacolo visivo dell’Unreal Engine 5, come documentato nel canale Youtube di Myrkur Games, che ha voluto imprimere alla sua opera di debutto un’impronta profondamente islandese, coinvolgendo popolari attori del Paese nordico, dal veterano Karl Agust Ulfsson alla stessa protagonista, interpretata da Aldis Amah Hamilton. Echoes of the End si approccia al digital entertainment enfatizzando proprio il carattere cinematografico della produzione, nel solco di cult come Hellblade o God of War, ma da una prospettiva islandese, che torna a più livelli, nella radice dei nomi e nei richiami al folclore dell’isola. Per gli sviluppatori, il rapporto tra il videogame e l’Islanda è simile a quello che venutosi a creare tra la Nuova Zelanda e il Signore degli Anelli di Peter Jackson, evidenziando ulteriori similitudini con il viaggio di Frodo e Sam e il peregrinare di Ryn e Abram, tra alti e bassi, momenti drammatici e attimi di serenità, nel saldarsi di un’amicizia che aiuta a conoscere meglio sé stessi e gli altri. In Echoes of the End si combatte, si esplora, si risolvono enigmi, in un alternarsi di dinamiche specchio della complessità di destini spinti sull’orlo del baratro in cerca di una possibile redenzione.

TRIANGLE STRATEGY (Square Enix, per Pc e console)

Il mondo fantasy di Triangle Strategy, capace di rivelarsi umano, molto umano, intensamente umano, aveva esordito nel marzo 2022 come esclusiva per Nintendo Switch, cui qualche mese dopo, in ottobre, si era aggiunta la versione per Pc. Nel 2024 era arrivata l’opportunità di immergersi nella realtà virtuale con il visore Meta Quest e adesso uno dei migliori gdr strategici a turni è finalmente approdato anche sulle console Ps5 e Xbox Series, pronto ancora una volta ad affascinare per lo splendido stile artistico, la trama avvincente e le originali modalità di gioco che spingono a riprendere ripetutamente in mano i fili del discorso per assistere a ulteriori sviluppi sulla base delle diverse scelte compiute. Dietro il successo di Triangle Strategy di Square Enix e Artdink c’è la mano esperta del produttore Tomoya Asano, a capo di un suo team all’interno di Square Enix, per la quale aveva già concepito e realizzato le hit Bravely Default e Octopath Traveler. In quest’ultimo era stata sperimentata positivamente la cosiddetta grafica HD-2D dove una pixel art memore dell’era Snes si fonde con scenografie 3D in alta definizione, unendo nostalgici richiami rétro e applicazioni innovative. Una soluzione poi ripresa da Triangle Strategy, che trasporta nel continente di Norzelia, spartito in tre entità territoriali: il Sacro Impero di Sabulos, che ha il monopolio del sale, il Granducato di Aesglast, che possiede il ferro, e, in mezzo, il Regno di Glenbrook. In passato sono insorti conflitti per accaparrarsi le materie prime vitali, culminati nella battaglia di Saltiron (ossia saleferro), conclusa con la firma di una fragile pace e la condivisa gestione delle miniere. Trent’anni più tardi, una repentina invasione provoca il risvegliarsi di odi e ostilità. In questo clima il protagonista Serenoa Wolffort con i suoi compagni deve mettersi in cammino per placare gli animi ed evitare di precipitare in un devastante caos. Ogni componente del gruppo ha proprie abilità e caratteristiche da sfruttare nei combattimenti, nonché una propria vicenda personale da approfondire per cogliere meglio il senso del comportamento dei singoli e antefatti dal respiro più ampio. Conoscere per capire è il leimotiv per districarsi nei bivi che impongono di decidere in che parte andare e da che parte stare. Ciascun personaggio interpellato esprime un parere e si va ai voti, con la possibilità per il protagonista di provare a convincere gli altri ad appoggiare la sua proposta. Man mano che si procede le questioni in campo sono sempre più ardue, chiamando in causa valori morali ed evidenziando così quanto gli eventi bellici mettano troppo spesso di fronte all’opzione tra un male più grande e un male minore, che sempre male è. Nell’ombra si annidano intrighi, cospirazioni, covano desideri di potere e di vendetta a rendere più complicato il groviglio che rischia di incendiare pericolosamente Norzelia. Non è consigliabile procedere dritti e spediti alla meta, perché è esplorando i dintorni che si può incappare in personaggi non giocanti che hanno tanto da raccontare e conviene porsi in un atteggiamento di ascolto, per ottenere rivelazioni in grado di dimostrarsi preziose. Gli scontri, in una riuscita rivisitazione light dei canoni immortalati dai cult Fire Emblem e Final Fantasy Tactics, sono sfide che vanno impostate tatticamente, fin dalla posizione sul terreno che influenza notevolmente l’esito delle sortite. A emergere in Triangle Strategy è comunque l’intreccio dinamico di una narrazione interattiva che, a dispetto di quanto l’estetica stilizzata potrebbe lasciare pensare, sposa più la tavolozza cupa e spietata di Game of Thrones. Per permettere a tutti di calarsi nei misteri e nello sviluppo delle vicende di Serenoa e dei suoi amici c’è volendo un ulteriore livello difficoltà, Molto facile, che mette in secondo piano i combattimenti per privilegiare il racconto del viaggio degli eroi, quasi in una nuova reincarnazione dei topoi del Romanzo dei Tre Regni, il classico della letteratura cinese amatissimo dai videogame.

OFF (Fangamer, per Pc e Switch)

Uscito, in sordina, nel 2008 su alcuni forum e diventato presto un cult, Off, opera dello sviluppatore belga indipendente Mortis Ghost (pseudonimo di Martin Georis), ha trovato ora un editore che ne ha curato e pubblicato la versione rimasterizzata su Steam e Nintendo Switch: rivista nelle meccaniche dei combattimenti, aggiunge zone e boss inediti, oltreché una nuova colonna sonora composta da Camellia, Morusque e Toby Fox (autore di Undertale e di Deltarune, sorta di eredi spirituali proprio del filone post-moderno aperto idealmente da Off) al posto delle musiche di Alias Conrad Coldwood presenti nella prima versione. Il videogame originale continua comunque a essere disponibile gratuitamente nel web, dove vanta un’ampia platea di fan, conquistati da questo fenomenale rpg, liberamente ispirato ai classici giochi di ruolo tipicamente giapponesi e a serie come Earthbound (Mother, nel Paese del Sol levante). Surreale ed enigmatico, Off ha per protagonista il Battitore, in divisa da baseball immacolata, affiancato dal Giudice, un gatto dal perenne sorriso con funzione di mentore nell’impresa di purificare il mondo, diviso in zone monocrome popolate di fantasmi e altre mostruose creature, tutte destinate a finire sotto i colpi della mazza del nostro eroe. Quando apparve quasi vent’anni fa, se ne parlò tanto, specie dopo la diffusione della traduzione amatoriale in inglese del titolo, disponibile inizialmente in francese. Attraverso il suo approccio dirompente nei confronti della narrazione e dell’estetica degli rpg, ma non solo, Off è stato capace di influenzare enormemente tutta la scena indie successiva. I primi spunti erano ronzati in testa a Mortis Ghost dopo la lettura di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, attingendo quindi al proprio archivio di disegni da fumettista per tratteggiare i suoi personaggi. L’intreccio criptico si svela a poco a poco, con il Battitore consapevole di essere uno strumento nelle mani di chi tira i fili, mentre quella sorta di Stregatto che lo accompagna si dimostra curiosamente conscio di stare all’interno di un videogame, conferendo un ulteriore effetto straniante a Off, velato di un’ironia pungente e rivelatrice sulla reale natura dell’incarico del Battitore. Gli elementi associati a ogni zona - fumo, metallo, plastica, carne e zucchero in luogo dei tradizionali terra, acqua, fuoco, aria ed etere - richiamano gli effetti disastrosi dell’inquinamento industriale sugli ecosistemi, in un titolo dai molteplici piani di lettura, in parte metaforico, in parte metafisico, in parte metareferenziale, dove il passaggio del Battitore trasforma in maniera irreversibile l’ambiente circostante sottolineando quanto le conseguenze di certe azioni possano essere permanenti, in un richiamo universale alla responsabilità.

GRADIUS ORIGINS (Konami, per Pc e console)

La tentazione di indicare Salamander III come il piatto forte di Gradius Origins appare più che legittima. Si tratta d’altronde di un capitolo inedito, il primo dopo diciassette anni per la serie Gradius di cui Salamander rappresenta l’apprezzatissimo spin-off, completamente nuovo nonostante il perfetto stile rétro. Solo per questo, tanto di cappello a M2, il team nipponico specializzato in restauri digitali che ha compiuto un miracolo degno della macchina del tempo. Sembra di stare ancora negli indimenticabili anni ‘90, all’apice di un fenomeno, quasi che l’epopea degli shoot ’em up avesse continuato per la sua strada, incurante del resto, proseguendo lungo una dimensione parallela. Eppure c’è molto di più in una raccolta magnifica che celebra il quarantennale di un mito dei videogame. Per riportare Gradius sugli schermi Konami si è affidata ai maestri riconosciuti di questo genere di operazioni, lo studio M2, che in passato ha già avuto modo di collaborare con la casa giapponese, tra gli altri, per le collection di Contra e di Castlevania, oltre ad aver curato le riproposizioni anche di diversi classici di Sega e di Taito. Emulare nella maniera corretta vecchi titoli sui dispositivi attuali non è un’occupazione banale come si potrebbe credere, perché al balzo in avanti tecnologico non corrisponde necessariamente l’assoluta fedeltà ricercata invece da M2, che non trascura nessun dettaglio. In Gradius Origins funziona tutto a meraviglia. L’esperienza di allora viene comunque arricchita da opzioni pensate per aiutare chiunque a godersi appieno il proprio tuffo nella nostalgia senza patema d’animo. Adesso si possono sfruttare i salvataggi rapidi, funzioni come il riavvolgimento dell’azione e addirittura attivare l’invincibilità, anche se l’aggiunta più interessante per i cultori degli sparatutto a scorrimento, di cui i Gradius costituiscono uno storico pilastro rimanendo a distanza di anni tra le massime espressioni sempre amate dalla community, capace di accumulare migliaia di ore a caccia della testa delle classifiche, risulta la modalità allenamento, che permette di modificare varie impostazioni nell’ottica di un training personalizzato. Come il titolo lascia intendere, Gradius Origins non copre l’intera saga, ma appunto le origini, con gli episodi arcade degli anni ‘80 e ‘90, vale a dire essenzialmente i primi tre Gradius e i due spin-off Salamander, però in tutte le versioni possibili, per un totale di 18 videogame contando l’extra Salamander III. Ogni riedizione mostra piccole o grandi differenze agli occhi dei fan. Anche nel passaggio dal Giappone all’adattamento internazionale non cambia appena la lingua: il caso estremo è il nordamericano Life Force, in pratica un gioco nuovo rispetto all’originale Salamander dal quale si discosta completamente per trama e livelli. Tra le chicche la versione perduta e ritrovata di Gradius III mostrata all’AM Show di Tokyo, una fiera di settore, prima dell’uscita e caratterizzata da altre peculiarità.

TEKKEN 8 STAGIONE 2 (Bandai Namco, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Giro di boa per la Season 2 di Tekken 8, che questa estate ha accolto la pubblicazione del secondo dei previsti quattro lottatori aggiuntivi, anche in bundle con due livelli extra tramite il relativo Character & Stage Pass. Dopo l’affascinante restyling della femme fatale Anna Williams, volto storico della saga di fighting game capace di tagliare il ragguardevole traguardo del trentennale sempre in ottima forma, tocca a un altro ritorno, con il possente Fahkumram, che anticipa quello che agli occhi dei fan rappresenta il piatto forte del pass. Nella seconda parte della stagione, tra ottobre e dicembre, arriveranno il veterano Armor King, popolarissimo wrestler mascherato anch’egli pronto a essere riproposto in una veste nuova, e la new entry Miary Zo, giovane combattente nativa del Madagascar che introdurrà in Tekken 8 uno stile di lotta ispirato alle arti marziali africane, a cominciare dal moraingy, il pugilato tradizionale originario dell’isola. Fahkumram, che ha appena debuttato accanto a un surreale ring effetto pixel per i 45 anni di Pac-Man, l’iconica mascotte di Namco, è invece un campione di muay thai, la boxe tailandese. Inserito per la prima volta nel cast esteso di Tekken 7, si presenta come un energumeno alto più di due metri, per qualcosa come 170 kg di muscoli. Lo si può considerare una sorta di risposta della serie supervisionata da Katsuhiro Harada all’archetipo di Sagat di Street Fighter. Come il personaggio dei picchiaduro di Capcom, anche il lottatore di Tekken ha il corpo segnato da enormi cicatrici, in questo caso causate da un fulmine che lo ha colpito da bambino, con l’elettricità trasformata in un tema ricorrente tanto nell’estetica, quanto nelle mosse più potenti del lottatore. Considerato alla stregua di un eroe nazionale, Fahkumram viene coinvolto nel torneo del pugno di ferro inizialmente contro la sua volontà, per proteggere la moglie e la figlia. Gli autori hanno curato nei dettagli ogni aspetto dello sviluppo del personaggio, usando per il motion capture veri atleti di muay thai, come Nadaka Yoshinari, più volte vincitore delle competizioni organizzate nelle prestigiose arene di Rajadamnern e di Lumpinee a Bangkok. Una simile attenzione riguarda ornamenti e tatuaggi, profondamente legati alla pratica del muay thai e alla cultura tailandese, dai richiami alla figura mitica di Garuda, simbolo del Paese, passando per Mongkhon e Pra Jiad, copricapi e bracciali indossati durante i combattimenti e ammantati di un valore sacro. Sulla schiena Fahkumram ha lo Sak Yant, un disegno protettivo creato apposta da un monaco per il videogame.

FRESH TRACKS (Buffalo Buffalo, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Arriva dallo studio canadese Buffalo Buffalo di Vancouver l’originale rhythm game con elementi roguelite Fresh Tracks nel quale, agganciati gli sci agli scarponi, ci si lancia nell’impresa di salvare dall’oscurità le distese innevate di Norwyn, minacciate da Mar, la regina del terrore, tanto da costringere il patheon degli dei, a sua volta riletto in tema musicale (dal God of Metal ai Gods of Orchestra, fino alla Goddess of Pop), a superare antiche divisioni per combattere il nemico comune. Alla base di Fresh Tracks c’è l’osservazione degli sviluppatori sul fatto che praticare lo sci alpino o lo sci di fondo implichi comunque adottare per i movimenti un certo ritmo, magari coincidente con quel motivo impossibile da togliersi dalla testa. Partendo dunque dalle tante piste della loro provincia, la Columbia britannica, i Buffalo Buffalo hanno congegnato un titolo in cui gameplay, estetica e colonna sonora si uniscono in un’esperienza fluida e incalzante. Pensando ai fondisti e alla vita all’aria aperta anche nel più rigido clima invernale, viene da sé l’associazione con la mitologia nordica espressa sul piano narrativo, perché al di là della musica, di segmento in segmento, con Fresh Tracks si viene trascinati in un racconto. Alla penisola scandinava il titolo è inoltre debitore per il modo stilizzato di rappresentare il paesaggio, in particolare rifacendosi all’opera di pittori come il norvegese Theodor Kittelsen (i cui quadri sono stati riprodotti anche sulle copertine di album di gruppi di black metal e di folk metal) e lo svedese John Bauer, entrambi affascinati sia dalla neve sia dal retaggio del folclore. Suggestioni adattate nelle sfide a tutta velocità, piene di bivi e di modificatori, di Fresh Tracks, dove superare uno dietro l’altro gli ostacoli e sconfiggere le creature che cercano di sbarrare il cammino o ricominciare, provando una strada diversa, mentre il sonoro si sincronizza dinamicamente con l’azione tradotta in una sorta di spartito in sovrimpressione, che dice quali tasti premere al momento giusto, in un vortice ritmico che cattura. Le tracce - una trentina - abbracciano svariati generi, dalla dance e dal pop alla classica e al metal, fino ai canti della tradizione mongola, con ogni divinità che vanta una personalità caratteristica, che si riflette sul brano abbinato per l’occasione.

S.P.L.I.T. (Mike Klubnika, per Pc, Mac e Linux)

Una struttura misteriosa con uno strano macchinario e, aiutato da due colleghi, l’hacker Alex, che vuole violare la rete informatica per introdurvi un malware, lottando contro il tempo. S.P.L.I.T. è il nuovo titolo horror dello sviluppatore e compositore estone Mike Klubnika, evidentemente a proprio agio nel genere, al quale appartengono anche le sue precedenti fatiche: Carbon Steel, The Other Side e soprattutto Buckshot Roulette, dove quattro persone si sfidano alla roulette russa, mettendo sul banco il rischio di non riuscire a sopravvivere alla scommessa. Temi forti e tragici sono anche alla base di S.P.L.I.T. Vietato usare il mouse, si possono inserire comandi solo tramite una tastiera, in una specie di versione del vecchio sistema operativo Dos o di Linux. Chiuso nella sua stanza, davanti ad alcuni monitor, Alex si confronta in chat con gli altri pirati su come procedere per individuare la falla da cui accedere nei gangli delle connessioni di un regime distopico e contemporaneamente prosegue a digitare le informazioni testuali in codice per lanciare l’attacco. Per chi fosse a digiuno di una materia che rimanda ai principi della programmazione, basta scrivere Help per ottenere un’utile legenda, con la quale ci si impratichisce poi piuttosto agevolmente. La tensione è costante in un’ambientazione minimalista, a bassa definizione, che rispecchia l’atmosfera cupa e opprimente nella quale si consuma, in un’ora circa, la missione del protagonista, con due possibili finali. Essere scoperti non è contemplato: qualora succedesse, non basterà cancellare le tracce, ma si sarà costretti a ricorrere a gesti radicali per proteggere un progetto vitale ed estremamente delicato. Avido lettore di horror e di fantascienza dove la paura è psicologica, senza bisogno di introdurre creature mostruose per comunicare un terrore esistenziale, Klubnika si colloca con S.P.L.I.T. in questo alveo, riversando in un contesto di angoscia sconvolgente anche le influenze delle serie tv Black Mirror e Mr. Robot, il film Pi - Il teorema del delirio, la storia interattiva Emily is Away.

ABYSSUS (The Arcade Crew, per Pc)

La Svezia è da anni una fucina di talenti che hanno preso d’assalto il digital entertainment. Studi di ogni foggia e dimensione, protagonisti assoluti della scena. A elencarli, pensando per di più che si tratta di un Paese di appena dieci milioni di abitanti, facile rimanere a bocca aperta. Lì, per dirne una, è nata la serie blockbuster Battlefield di Dice, ma è anche la casa degli strategici di Paradox, dei raffinati horror firmati Frictional, dei bestseller online di Fatshark, delle narrazioni in first-person shooter di Starbreeze prima, MachineGames poi, degli open world di Avalanche, dei kolossal di Massive Entertainment e delle avventure cooperative di Hazelight, di Thunderful come di Embracer, senza contare il fenomeno Minecraft di Mojang. È lo stesso humus dal quale esce ora Abyssus, il nuovo progetto di DoubleMoose (fondato da ex di Goat Simulator e già dietro l’esilarante Just Die Already) che punta a farsi largo nell’arena degli sparatutto co-op, sebbene in questo caso non sia necessario giocare insieme altre persone per godersi il titolo. Rispetto a produzioni simili dalla vocazione multiplayer, che in Abyssus contempla un massimo di quattro amici a partita, le mappe si possono affrontare dall’inizio alla fine tranquillamente da soli, grazie a una gestione dinamica che regola il tasso di sfida a seconda del numero di partecipanti, quindi nessun passaggio impossibile o limitazione dei contenuti. Dove in co-op spiccano affiatamento e sinergie, in solitaria a emergere è ancora di più l’elemento roguelite di Abyssus, che richiede di sbloccare potenziamenti e di studiare accuratamente la build del proprio personaggio, come in un gioco di ruolo, prima di lanciarsi in missione. La struttura si basa sulla ripetizione di diversi livelli a difficoltà crescente, che rappresentano la discesa negli abissi di una squadra di esploratori, a caccia di salamoia. Custodita da un’antica civiltà, è la sostanza che alimenta il mondo del videogame, definito dagli autori brinepunk, fondendo il tipico immaginario steampunk con il tema oceanico dell’acqua salmastra che si riflette in armi e scafandri capaci qua e là di rievocare Bioshock.

FRETLESS - THE WRATH OF RIFFSON (Playdigious Original, per Pc)

Un rpg a turni in pixel art tutto, ma proprio tutto, a base di musica: musicisti i personaggi, strumenti musicali e le loro parti intercambiabili (pick-up, corde, ponti, pedali) le armi a disposizione, interamente musicale il contesto, in un sovrapporsi di ironiche, inventive trasfigurazioni dell’attività di una rock band, con piena sintonia tra colonna sonora e game design. Frutto di otto anni di lavoro portato avanti dal programmatore Jeff Linville di Ritual Studios, in collaborazione con il polistrumentista e Youtuber Rob Scallon, sul cui canale YouTube è caricato un documentario dedicato allo sviluppo del videogame, Fretless vede il prode chitarrista Rob provare a ristabilire l’armonia nel mondo, corrotta da criminali che invece introducono inascoltabili stonature agli ordini del malvagio Rick Riffson, a capo dell’etichetta discografica Super Metal Records. Quando, con la copertura di un concorso al quale partecipano i migliori musicisti, la società comincia a intrappolarli grazie a contratti ingannevoli, a Rob non resta che mettersi in viaggio insieme alla sua band, per sventare i loschi piani dello scaltro manager, affrontando ostacoli e nemici, sempre e rigorosamente a tema musicale, che si frappongono tra l’eroe e la sua meta. Rob attacca, a colpi di riff, con la sua chitarra acustica, il primo strumento di cui dispone e al quale se ne aggiungono di ulteriori (un basso, un synth, una chitarra elettrica a otto corde), da sbloccare nel corso dell’impresa, dove ci si sfida in un mix di deck-building strategico e rhythm game: a seconda del tipo di strumento, cambiano le carte del mazzo e le combinazioni per infliggere danni o ricevere protezione. Dai giochi musicali viene reiterato il principio del premere i tasti al momento giusto, con l’effetto in Fretless di potenziare le mosse, in un crescendo fino all’assolo che richiede di eseguire un’intera sequenza di note mentre scorrono sullo schermo un po’ in chiave Guitar Hero. Niente di troppo complicato, in realtà i virtuosismi restano più un vezzo stilistico e si può steccare senza grosse ripercussioni, nella convinzione degli autori che la musica debba essere alla portata di tutti.

BOULDER DASH 40TH ANNIVERSARY (BBG Entertainment, per Pc, Mac e console)

I grandi classici sono per sempre ed è vero anche per Boulder Dash, che torna dopo quarant’anni, in un’edizione commemorativa pensata per appassionare la platea più ampia, riscoprendo così un pilastro dei puzzle game del tipo labirinto, un genere molto in voga negli anni ‘80. All’originale del 1984 seguirono presto altri capitoli, spin-off, un’infinità di porting e di cloni, una storia raccontata anche sul sito ufficiale boulder-dash.com dove è ancora possibile giocare, tramite browser internet, al primo Boulder Dash e al sequel Boulder Dash II del 1985, gli unici episodi curati direttamente dall’autore Peter Liepa, che li sviluppò per gli home computer dell’epoca, come l’Atari 8-bit e il Commodore 64. Chi era giovane in quegli anni lo avrà probabilmente incontrato in una qualche sua forma, perché attorno a Boulder Dash, eletto Game of the Year da diverse pubblicazioni, pubblicizzato sui maxi schermi di Times Square e considerato la più riuscita interpretazione del filone aperto da titoli quali il celeberrimo Dig Dug e il meno noto The Pit, crebbe un fenomeno. La ricetta è quella di un assoluto evergreen che dietro l’azione di scavare tunnel nasconde elaborate logiche da rompicapo. Il protagonista Rockford deve muoversi con attenzione, eliminando blocchi per farsi strada entro un tempo limite fino ai diamanti da collezionare, senza che altre pietre gli cadano addosso man mano che, togliendo la terra, si modifica progressivamente lo scenario in maniere via via più intricate. In Boulder Dash 40th Anniversary quella formula indovinatissima non ha perso smalto, risultando oggi come allora in grado di conquistare subito il pubblico di tutte le età. L’operazione revival è stata orchestrata dalla tedesca BBG Entertainment con tutti i crismi, compreso un torneo alla Gamescom di Colonia, per enfatizzare l’importanza del videogame nell’ambito della scena competitiva. I contenuti della riedizione si pongono a metà tra la raccolta e il remake. Per la gioia dei vecchi fan, ci sono i 60 livelli classici di Boulder Dash, di Boulder Dash II e dell’apocrifo Boulder Dash III rimasterizzati in perfetto stile vintage, a scelta tra il display del C64 o dell’Atari 400/800, mentre a occuparsi ex novo del sound design, dalle musiche agli effetti sonori, è stato chiamato nientepopodimeno che il mago del synth Chris Huelsbeck, il Vangelis del divertimento elettronico. La portata principale si dimostrano però i 180 livelli inediti, suddivisi in varie ambientazioni, che sfruttano un moderno motore grafico e fisico, introducendo ulteriori dinamiche e sfide, in una veste coloratissima capace di dare una bella rinfrescata al gioco mantenendo intatta la classica atmosfera arcade. Ciliegina sulla torta la possibilità di aggiungere all’elenco infiniti altri livelli, realizzati da sé per mezzo dell’editor a disposizione oppure scaricati tra quelli condivisi online dalla community.

THE SCOURING (Orc Group, per Pc)

Si possono guidare sia gli eserciti degli uomini che le orde degli orchi, ma che ci sia un po’ di simpatia da parte dello sviluppatore per questi ultimi lo rivela già il nome del team, Orc Group. Orchi e uomini sono, almeno per ora, le due fazioni di The Scouring, lo strategico in tempo reale uscito in accesso anticipato e dunque con in serbo ancora parecchi aggiornamenti, considerata la natura work in progress. Frutto del fascino per il fantasy e nato come omaggio alle pietre miliari del genere, quali i vecchi Warcraft, The Scouring è la prima prova sul fronte degli rts di un programmatore di esperienza, Pavel Zagrebelnyy, che entrato in Saber Interactive si era fatto le ossa sugli sparatutto in soggettiva e in terza persona, per poi dedicarsi anima e corpo a coltivare un progetto tutto suo, Spintires (2014), un simulatore realistico che metteva alla guida di grossi mezzi su terreni sterrati, anche in condizioni proibitive. L’idea ebbe successo al punto da dar vita a diversi sequel, tra cui MudRunner (2017) e SnowRunner (2020), entrambi sviluppati da Saber. Più di tre anni fa Zagrebelnyy ha girato di nuovo pagina concentrandosi, inizialmente da solo e ora con l’aiuto di una manciata di colleghi per altri aspetti della produzione (dallo stile artistico al sonoro), sulla sua personale rilettura del cosiddetto techno fantasy, appunto nel solco dei classici di Blizzard. Del retaggio del passato ha mantenuto quella che in futuro dovrebbe diventare una caratteristica saliente di The Scouring, ossia la grande apertura offerta ai giocatori di modificare e personalizzare l’epica lotta tra razze ostili attraverso il modding, sull’esempio di quanto già sperimentato in Spintires. The Scouring spicca intanto fin da subito per la qualità della grafica e per l’estrema attenzione ai dettaglio, in un riuscito tentativo di rinverdire la formula aulica all’insegna dell’easy to learn, hard to master dei cari, divertentissimi strategici di una volta, dalla raccolta di risorse alla costruzione delle basi, alle battaglie qui impreziosite da una fisicità unica.

STICK IT TO THE STICKMAN (Devolver Digital, per Pc e Mac)

Dimenticate ambizioni personali, passioni, valori etici, perché l’unica legge cui si obbedisce in Stick It To The Stickman è il profitto e nel suo nome non esistono remore di sorta. Uscito in accesso anticipato, il gioco di Free Lives, studio sudafricano di Città del Capo già pluripremiato per titoli come Broforce, Gorn, Cricket Through the Ages, Terra Nil e Anger Foot, una gemma dietro l’altra inserita nell’effervescente catalogo di Devolver Digital, ha per protagonista la scalata al successo di un omino stilizzato tanto carino quanto carognesco, esattamente come i suoi simili, dai quali differisce unicamente per il colore: lui blu, gli altri rossi, in questa ironica, graffiante e, purtroppo verrebbe da dire, esilarante messa in scena di un normale ambiente di lavoro, dove per far carriera si combatte tutti contro tutti, senza esclusione di colpi (bassi), senza nessun tipo di scrupolo. Il nostro Stickman in realtà arriva a esagerare un po’, armandosi di motosega o graffettatrice, sferrando calci acrobatici o pugni micidiali, lanciando sfere incandescenti in un picchiaduro basato sulla fisica, che si può intraprendere da soli o in compagnia di un sodale, naturalmente animato dalla stessa voglia di farsi largo con qualsiasi mezzo. Più si sale la gerarchia, più la lotta diventa dura, fino allo scontro con i concorrenti aspiranti amministratori delegati, ovviamente pari canaglie della peggior risma. Del resto è la stessa azienda a coltivare affari decisamente sporchi e a calpestare i diritti di chiunque pur di aumentare i dividendi per i soci, senza lesinare il ricorso a corruzione e tangenti. Coloratissimo, sempre sopra le righe, Stick It to the Stickman mette alla berlina uffici trasformati in arene bellicose dove omini stilizzati, versione 2.0 dei tranquilli travet di una volta, se le danno di santa ragione. La posta? Ciò che veramente conta, viene suggerito con amaro umorismo: uno stipendio maggiore, cioè soldi, soldi e più soldi, eliminando materialmente i rivali.

WHITE KNUCKLE (DreadXP, per Pc)

Anche per i videogame l’horror sta trovando un terreno particolarmente fertile tra gli indie, grazie a piccole produzioni decise a osare di più, se non proprio dal carattere sperimentale. Titoli così sono in grado oggi di raggiungere lo status di cult meglio di qualsiasi blockbuster del settore, come dimostra l’impegno profuso da editori quali DreadXP, che ha scelto di focalizzarsi sul fenomeno al punto da organizzare dal 2023 un appuntamento fisso, The Indie Horror Showcase, dove vengono racchiuse le nuove proposte più interessanti. Quest’anno cadrà il 24 ottobre, poco prima di Halloween, e sono ancora aperte le candidature. Nel 2024 erano stati presentati, accanto a molti altri, i trailer di alcune delle uscite più rappresentative di DreadXP, come la riedizione del bestseller The Mortuary Assistant, gli esordienti Vile: Exhumed e White Knuckle. Finito al centro di un polverone per la trama torbida che traduce in dinamiche adventure lo stile iperrealistico del mockumentary, anche se inteso dall’autrice come denuncia della violenza di genere, Vile: Exhumed è stato bandito dai principali store, optando poi per l’autodistribuzione gratuita sul sito di DreadXP. White Knuckle è invece stato lanciato con successo su Steam, attraverso il modello dell’accesso anticipato, che secondo i piani degli sviluppatori del team Dark Machine dovrebbe concludersi in primavera. La grafica, che rievoca il rudimentale 3D della prima Playstation, si inserisce in un preciso canone, condiviso con altri videogame del catalogo di DreadXP e in generale con la scena horror indipendente recente, che ama giocare con simili look stilizzati, i quali si prestano a una fotografia più sporcata, lasciando maggiore spazio all’immaginazione e donando all’insieme subito un non so che di misterioso. Estetica a parte, il vero colpo di genio di White Knuckle consiste nella capacità di costruire in maniera magistrale l’esperienza da brividi cui si riferisce l’espressione idiomatica contenuta nel titolo. Una corsa in soggettiva a scalare a perdifiato ambienti tenebrosi, aggrappandosi a ogni appiglio e saltando ricercando la precisione assoluta, con l’abisso che aspetta famelico là sotto il minimo errore, il tutto impreziosito da elementi roguelite pensati per sposarsi bene con la formula della ripetizione, sbloccando gadget che diventano fondamentali quando si imparano i livelli e si affinano i riflessi, sino a padroneggiare a occhi chiusi le varie dinamiche.

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