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Per il ventennale della serie Trails era uscito in Giappone nel settembre 2024 l’inedito The Legend of Heroes: Trails Beyond the Horizon, noto anche come The Legend of Heroes: Kai no Kiseki - Farewell, O Zemuria, che Nis America porterà in Europa nel gennaio 2026. Nell’attesa i fan dei Trails, ormai diffusi in tutto il mondo e non più solo in Asia, hanno comunque qualcosa di importante da festeggiare perché l’arrivo di Trails in the Sky 1st Chapter equivale a una sorta di rinascita. Si tratta del remake di quello che all’epoca - nel settembre 2004 - si chiamava The Legend of Heroes: Trails in the Sky, con il quale lo sviluppatore Nihon Falcon dava avvio a una delle saghe più longeve e amate, sbocciata come un fecondo spin-off dell’inossidabile The Legend of Heroes, con cui alla fine degli anni Ottanta la casa di Tachikawa si era distinta tra i pionieri degli rpg nipponici. Quest’ultimo, un genere a sé, di solito è associato ai più conosciuti Final Fantasy e Dragon Quest, prodotti da una major come Square Enix. Nihon Falcom ha invece mantenuto dimensioni più contenute, continuando però a sperimentare e a creare, forte di un crescente interesse anche in Occidente per il suo lavoro, favorito da localizzazioni sempre più accurate pubblicate da Xseed, poi da Nis America. Caratteristica comune dei giochi di ruolo d’azione di Nihon Falcon è l’accento sull’impronta narrativa, che in Ys, un’altra serie diventata di culto pure negli Usa e in Europa, si addentra nella vita di un unico protagonista, Adol Christin. In Trails è sorprendente come il racconto riesca a dispiegarsi coerentemente di titolo in titolo costruendo una gigantesca epopea dove tutto è interconnesso. Con Trails in the Sky 1st Chapter si riesce a ripercorrerne le origini, venendo incontro ai desideri di chi si è appassionato agli ultimi capitoli della saga ma non ha potuto giocare al primo videogame. Anche coloro che vent’anni fa erano rimasti conquistati dalle gesta di Estelle Bright e del fratello adottivo Joshua potranno rivivere l’esperienza grazie a un rifacimento che è sì molto fedele, ma anche altrettanto rinnovato. Ai notevoli miglioramenti grafici corrisponde anche una diversa regia, che mette i personaggi in primo piano, eloquenti della loro espressività. Il passaggio al 3D in stile anime coinvolge il paesaggio, reso vivacemente nella sua vegetazione e nelle sue architetture, vivido ed esplorabile. Nel 2004 The Legend of Heroes: Trails in the Sky era stato diretto da Toshihiro Kondo, che aveva così dato il La a una sottoserie di The Legend of Heroes presto salutata dal successo internazionale. Adesso, succeduto nel 2007 al fondatore Masayuki Kato alla presidenza di Nihon Falcom, Kondo si è occupato di un remake che, nel rispetto del passato, infonde nuova linfa, aggiungendo aree, missioni, combattimenti e ridoppiando completamente il gioco, in giapponese e in inglese. Gli sviluppatori hanno stimato che il tempo per intraprendere l’intera avventura sia raddoppiato, anche perché, pur essendo il cast numericamente inferiore rispetto ai più affollati titoli della serie Trails venuti dopo, è stato calcolato che Trails in the Sky 1st Chapter abbia in assoluto il maggior numero di dialoghi interpretati dagli attori. Per esempio, i due protagonisti ora chiacchierano amabilmente durante il loro cammino, come è naturale aspettarsi tra due amici. È il padre di Estelle a recare alla figlia un regalo del tutto inaspettato, un bambino abbandonato, che diventa subito inseparabile compagno di avventure. Sulle orme del genitore, i due cominciano il loro percorso per diventare Bracer, ossia membri di un’organizzazione non-governativa impegnata a difendere la popolazione civile, a mantenere la pace e a cacciare mostri di ogni risma. Scopriranno che niente è ciò che sembra, immergendo in un mondo a tutto tondo che cala anche nella quotidianità dei personaggi. Sul sito ufficiale è scaricabile in pdf un ricettario per preparare alcuni dei manicaretti gustati nel videogame. Nel 2004 il cliffhanger finale faceva presagire un sequel, pronto (in Giappone) due anni più tardi con The Legend of Heroes: Trails in the Sky SC, che dovrebbe a sua volta tornare - è l’auspicio - in versione remake per aiutare a capire cosa cosa abbia in serbo il futuro per Estelle e Jushua. Intanto Nihon Falcom con Trails in the Sky 1st Chapter ha fornito un’inequivocabile risposta ai tanti che chiedevano da che titolo cominciare a giocare una serie che ormai conta più di una dozzina di videogame principali suddivisi in quattro archi narrativi. Con Trails in the Sky inizia il ciclo di Liberi, dal nome del regno situato nella parte sud-occidentale del continente di Zemuria, con le sue trentasette regioni teatro di tutti i Trails, finora ambientati anche nella città-stato di Crossbell, nell’impero di Erebonia e nella Repubblica di Calvard.
Per il quarantacinquesimo anniversario del folgorante debutto di Pac-Man, Bandai Namco ha organizzato per la sua popolarissima mascotte un anno di eventi, che hanno preso avvio con il prologo nel dicembre 2024 a Harajuku, il quartiere di Tokyo della moda alternativa, e si concluderanno il 22 maggio 2026, la data del test iniziale avvenuto in Giappone nel 1980 del primo gioco con protagonista il famelico mangiapalline. L’uscita per il grande pubblico si tenne nel Paese del Sol levante in luglio, preannunciata - come raro all’epoca per un videogame - sul grande monitor tv dello Studio Alta di fronte alla stazione della metropolitana di Shinjuku. Da allora il globo giallo ha continuato la sua perenne fuga dai fantasmini che però, in modalità power-up, finiscono diritti per contrappasso nella bocca dell’iconico personaggio dell’era delle sale giochi, imbattuto detentore del Guinness dei primati come arcade più redditizio di sempre, protagonista negli Usa di una febbre contagiosa tale da trasformarlo presto in un fenomeno della cultura pop. Dal lancio nel 1980 al 1999 si è stimato che Pac-Man abbia registrato entrate per 3,5 miliardi di dollari, macinando successi su successi. Sul sito ufficiale Pacman.com è stata allestita una cronologia interattiva che consente di ripercorrere questa lunga storia. In corrispondenza del 1999 ecco l’arrivo rivoluzionario del 3D con Pac-Man World per festeggiare il ventennale del personaggio, impegnato stavolta a salvare i suoi amici affrontando una mirabolante avventura, tra navi dei pirati e rovine misteriose. Nel sequel Pac-Man World 2, del 2002, l’azione si spingeva fin nelle profondità oceaniche, alla guida del Pac-sottomarino, dove proseguire la lotta contro i fantasmi responsabili in Pac-Land del furto del mitico Frutto d’oro. Collezionando i Namco Coin si poteva accedere ai bonus che permettevano di giocare a Pac-Man, Ms. Pac-Man, Pac-Mania e Pac-Attack, perché già all’epoca i fan si sentivano di voler abbracciare anche il passato del loro beniamino. Un’esigenza diventata ancor più sentita adesso che i vecchi titoli sono non solo introvabili ma inutilizzabili per motivi tecnici sulle console odierne. Per questo il remake di uno dei Pac-Man più amati, Pac-Man World 2, è diventato fin qui uno dei regali per il 45° compleanno più graditi dagli appassionati vecchi e nuovi del celebre personaggio. E la qualità dell’operazione non ha deluso. Pac-Man World 2 Re-Pac, sviluppato da Now Production, risveglia un senso di sana nostalgia, unito all’aggiunta di varie innovazioni e migliorie, tra cui la modalità cooperativa locale, per un massimo di due giocatori, inedita nella serie Pac-Man World. Ci si può così dare manforte per combattere le armate di dispettosi fantasmini che hanno involontariamente liberato il malvagio Spooky rubando dal Pac-Villaggio i frutti d’oro e sconvolgendo la pace di Pac-Land. Il nostro eroe ha a disposizione la sua variegata gamma di azioni per sconfiggere il nemico, con in più l’opportunità, saltando al ritmo giusto, di ricevere potenziamenti ulteriori. Il paesaggio dove Pac-Man scorrazza senza sosta appare arricchito di elementi che lo rendono meno austero e più piacevole da attraversare. Tutti i personaggi sono doppiati in inglese e quindi più vivaci e intriganti pure per la platea internazionale. Il villaggio dove abita Pac-Man, sfondo nel 2002 del tutorial, è altrettanto vivido: un posto dove si vagabonda volentieri e, riconquistando un Frutto d’oro dopo l’altro, i rampicanti soffocanti scompaiono mentre riprendono a crescere rigogliosi i frutteti, gli abitanti tornano e progressivamente il borgo viene restaurato. È qui che sono stipati i costumi sbloccabili portando a termine le missioni ed è qui che sono riuniti i cabinati arcade dove giocare, usando l’opportuno numero di gettoni, i Pac-Man classici.
Un incantevole mondo in miniatura 2D dove personaggi (partendo da zero o da uno dei novanta modelli preimpostati), ambienti (per dar vita a una città ideale con tanto di scuola, bar e magari un tempio shintoista giapponese) e persino le musiche sono tutti personalizzabili: è la magia di Cladun (che sta per Classic Dungeon), accentuata dalla pixel art d’antan a 8 bit che dona un fascinoso tocco rétro. Sviluppato da Nippon Ichi Software, Cladun x3 è in verità il quarto titolo della serie, dopo Cladun: This is an RPG del 2010 per Psp, Cladun x2 del 2011 per Psp (e su Pc l’anno successivo) e Cladun Returns: This is Sengoku! per Psp, Ps4 e Pc del 2016 - 2017. A otto anni di distanza dall’ultima uscita e nel quindicesimo compleanno della serie, ecco Cladun x3 portare di nuovo il giocatore nelle terre di Arcanus Cella, create dalla malvagia strega Despina. In questo rpg d’azione pieno di humour si viene così catapultati in una strana realtà che dà accesso a un infinito dedalo di sotterranei da esplorare nei panni di un cattivo tra i cattivi in stile chibi, messi gli uni contro gli altri per concorrere a un gioco letale con l’obiettivo di ottenere nientemeno che la pace globale. Per proseguire si devono liberare i dungeon dai mostri che li popolano, guadagnando esperienza e bottini, facendo attenzione alle trappole disseminate un po’ ovunque, ma si tratta di operazioni che in genere si compiono velocemente, in sessioni di gioco fulminee, a patto di non soccombere con la perdita di quanto conquistato sino ad allora. Si combatte seguendo la tipica sequenza di muoversi, attaccare, difendersi e sfruttare le abilità, che dipendono dalla scelta iniziale del nostro alter ego, pescando tra dieci diversi mestieri: guerriero, mago, mercante, guardiano, ninja, sciamano, ecc. che determinano le prestazioni, le armi preferite, il cerchio magico al quale prendere parte. La meccanica del Magic Circle - ce ne sono più di 200 a introdurre una vasta gamma di variabili - aiuta un personaggio principale a rafforzarsi sfruttando le doti dei personaggi di supporto, che mentre emanano mana, potente risorsa magica, attivano manufatti posti lungo la circonferenza del raduno che a loro volta conferiscono ulteriori poteri. I dettagli che si possono modificare a piacimento in Cladun x3 sono in numero impressionante, ma l’eliminazione dei nemici è soltanto una faccia della medaglia. Dialogare con gli interlocutori che si incontrano, tra eroi in incognito e cavalieri erranti, presentati in brevi sketch comici, è altrettanto utile e interessante per scoprire il passato di queste lande misteriose. In quindici anni la serie ha guadagnato lo status di cult, con schiere di fedelissimi. Nis America adesso con Cladun x3 ne prepara il rilancio, con lo sguardo ai principianti assoluti dei dungeon crawler. È infatti il titolo più accessibile dei Cladun, dove l’aspetto in apparenza semplice nasconde dinamiche molto complesse, che bisogna imparare a padroneggiare per ricavare il massimo da un’esperienza dalla grande rigiocabilità.
Un dream team per immergere nelle atmosfere surreali di un horror che unisce sfondi realistici a personaggi in stile anime, così come al mondo dei disegni animati rimanda la vivace tavolozza: per realizzare Hotel Barcelona ci sono voluti l’idea iniziale e il mondo narrativo di Goichi Suda, in arte Suda51, cui ha dato corpo Hidetaka Suehiro, noto come Swery, con il suo studio White Owls, che ha voluto accanto a sé la fidata squadra con la quale aveva lavorato da The Missing: J.J. Macfield and the Island of Memories in avanti, arruolando inoltre come art director Atsushi Kawasaki (messosi in luce per l’apporto a titoli come Lord of Vermillion e Sakuna: Of Rice and Ruin), affidando la direzione del suono a TECHNOuchi (il compositore e musicista Yuji Takenouchi, autore del sound design dei Dark Souls), gli artisti Saho Nanjo (Chainsaw Man e Beastars), per le sequenze animate disegnate a mano, e Hiroaki Hashimoto, alias Hiroaki (Tekken 8, Street Fighter 6 e The King of Fighters) per il character design. Hiroaki era già stato coinvolto in Deadly Premonition e nel sequel/prequel Deadly Premonition 2, che tanto hanno contributo alla fama di Swery così come No More Heroes, The Silver Case e Killer7 hanno analogamente consacrato Suda51 tra gli autori cult di un digital entertainment bizzarro e stravagante. Hotel Barcelona è anche il risultato di viaggi reali e metaforici partiti da Shibuya, il quartiere speciale di Tokyo dove batte forte il cuore della cultura pop nipponica. Qui nel 2019 Suda51 aveva voluto Swery suo ospite in un evento live-stream del programma di wrestling Travis Monday Nitro e quasi per scherzo si erano ripromessi di lavorare insieme. Del resto, accanto ai suoi progetti originali, Suda51, fondatore e ceo della software house Grosshopper Manufacture, ha una consolidata tradizione di collaborazioni, da James Gunn per Lollipot Chainsaw a Makoto Shibata per Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse, fino alla sceneggiatura del radiodramma Snatcher insieme a Hideo Kojima, ispirato all’avventura cyberpunk dell’artefice di Metal Gear e Death Stranding. Da Tokyo i due sodali si erano ritrovati tra le nevi di Banff in Canada, in un paesaggio evocativo di Shining, che nel pantheon di Swery occupa il posto di migliore pellicola horror in assoluto, predilezione confermata dalla lettura e rilettura del romanzo di Stephen King. Hotel Barcelona è in effetti una dichiarazione d’amore per il genere, a 360 gradi, trasferita nelle sette location, ciascuna modellata su una diversa declinazione dell’horror, dagli slasher degli anni Ottanta (il decennio di Venerdì 13) a iconici film degli anni Novanta (quelli di Scream, di The Blair Witch Project, di Ringu e della mini-serie It), fino a opere più recenti, passando per l’assassino con la motosega di Non aprite quella porta al terrore cosmico dello spazio profondo. La meta definitiva è però la Pennsylvania, dove si immagina esista l’inquietante albergo di Hotel Barcelona, nei pressi di Pittsburgh, con la mente rivolta alla cittadina rurale de I morti non muoiono di Jim Jarmusch. Dietro la lussuosa struttura circondata da una fitta foresta ci sono anche suggestioni dalla regione montagnosa degli Appalachi, vista al cinema in The Blair Witch Project, Wrong Turn o Tucker & Dale vs Evil, variazione sul tema degli horror cabin in the woods, che abbinano la spensieratezza delle agognate vacanze in campeggio e la paura verso l’ignoto esemplificato dalle località isolate e dalla natura selvaggia. In Hotel Barcelona questi topoi attraversano l’incubo in cui precipita Justine, un’inesperta ufficiale federale che, a causa di uno strano incidente automobilistico, finisce intrappolata in un mondo angosciante, ma per uscirne non le resta che affrontare i serial killer che abitano un remoto albergo. Impresa non facile, se non fosse per l’aiuto che le dispensa il Dottor Carnival, un pluriomicida che Justin scopre di avere dentro di sé. E forse non si tratta di consigli disinteressati.
Due amici in un izakaya a parlare dei loro piani per il futuro e uno dei due che esprime il desiderio di lavorare a un nuovo videogame, osservando come anche in Giappone la scena indipendente abbia reso più semplice concretizzare progetti così. La proposta del produttore Kazuto Sakajiri allo sviluppatore Hiroyuki Kotani si è poi potuta concretizzare per l’entusiastico sostegno ottenuto dalla campagna lanciata su Kickstarter e adesso il frutto della loro collaborazione, Ratatan, si può cominciare ad apprezzare in accesso anticipato su Pc (le console arrivanno quando sarà concluso l’iter), con un primo importante aggiornamento atteso alla fine di ottobre. Gioco musicale e di strategia in tempo reale, sulle orme del rivoluzionario Patapon, di cui si candida a essere seguito spirituale, con un’affinità evidente sin dai titoli, entrambi dalle suggestioni onomatopeiche, Ratatan rivela un’impronta più virata verso l’azione roguelike. Quando si muore, si può comunque mantenere qualcosa dei progressi raggiunti. Uscito a pochi mesi dal bundle Patapon 1+2 Replay che comprende le versioni rimasterizzate di Patapon 1 e del sequel Patapon 2, Ratatan condivide alcuni aspetti con l’illustre predecessore, si discosta però da altri, a cominciare dal fatto che si controlla direttamente il Ratatan protagonista, il quale può muoversi libero. In comune i due videogame hanno soprattutto la creatività di Hiroyuki Kotani, artefice di Patapon e alla regia di Ratatan. La sua parola d’ordine è divertimento, da dispensare attraverso il gioco a persone di ogni età, puntando su un approccio intuitivo e piuttosto semplice. Una convinzione frutto anche dell’esperienza di Kotani quale giovane insegnante di scuola elementare, maturando lì la lezione che fosse meglio incoraggiare gli alunni invece di redarguirli perché, se felici, imparavano con maggior profitto. Per Kotani è bene dunque che i videogame trasmettano sentimenti positivi. Dalle fila di Patapon arriva anche il compositore Kemmei Adachi, mentre i testi dei brani sono dello stesso Kotani. Sviluppato da Tokyo Virtual Theory e Retata Arts, Ratatan vede il nostro alter ego, scelto tra altri Ratatan per le sue caratteristiche, impartire attraverso il ritmo gli ordini al suo esercito di creature dette Cobun, in un susseguirsi di emozionanti paesaggi sonori. Si può giocare in co-op online fino a quattro giocatori. Coloratissima la grafica, firmata da Nelnal, anche character designer di un’affollatissima tribù composta da oltre cento personaggi.
Una ragazza appassionata di supereroi. Un ragazzo estremamente geloso. Una ragazza scettica su tutto. Un ragazzo complessato per il suo aspetto fisico. Una ragazza mentitrice seriale. Un ragazzo invadente. Sono i sei protagonisti di Type-Noise: Shonen Shojo, avventura 2D dai finali multipli di DarkHearts diretta dall’illustratore e game designer Myu, affascinato dall’arte di Salvador Dalì per la sua capacità di fondere il mondo reale e quello filtrato dalla nostra percezione. I giovani, privi di memoria e sconosciuti gli uni agli altri, si ritrovano intrappolati all’interno di una città che non riconoscono, simile alla loro Tokyo eppure diversa, quasi fosse una proiezione dei meandri contorti della mente. Qui ci si riesce a mettere però nei panni del prossimo, immedesimandosi nei suoi problemi. Disegnato in stile anime come una visual novel, Type-Noise: Shonen Shojo si sviluppa come una sequenza di escape room, dalle quali fuggire risolvendo rompicapi che appartengono a svariate tipologie, dalla classica combinazione di oggetti a enigmi di carattere matematico, da un videogame di lotta dove combattere a una scena in tribunale sul modello di Ace Attorney. Ci sono più livelli di misteri da esplorare, quello della strana metropoli surreale, quello dei giovani che hanno tutti un trauma sepolto nel loro passato: un amore malato, genitori violenti, abusi subiti… Fardelli troppo pesanti da sopportare, errori troppo distruttivi da ammettere persino a sé stessi. Di stanza in stanza, ricche di dettagli che le rendono vivide, il percorso diventa una sorta di presa di coscienza per provare a sanare quelle ferite, nel difficile venire a galla di qualcosa che si era pensato di cancellare dimenticandolo. Incubi che riemergono attraverso gli indizi disseminati negli ambienti così da ricostruire la storia dei personaggi che, una volta guadagnata l’uscita dalla stanza-prigione, interagiscono tra di loro, permettendo di capire un po’ meglio la personalità di ciascuno. Le scelte compiute cambiano il finale e, per disporre di un quadro più completo, si può ricominciare dall’inizio prendendo decisioni alternative. Myu ha spiegato che i personaggi sono sei come le emozioni cui sono ispirati, legate al bonno, il concetto buddista dei desideri mondani secondo il quale è l’arrovellarsi interiore a creare ostacoli e a minare la serenità, di conseguenza non sono tanto gli altri a tormentarci, ma è l’attaccamento alle nostre passioni a farci soffrire. Ecco l’avidità, intesa come il desidero di possedere tutto; l’ira, ossia la tendenza ad arrabbiarsi per un nonnulla a causa del nostro comportamento egoistico; l’idiozia, che comporta il lamentarsi quando le cose non vanno come vorremmo; la superbia, associata a un cuore pieno di orgoglio e presunzione; l’insicurezza, che fa dubitare della verità; le visioni distorte che portano a vedere tutto in modo pessimistico.
È come se incantevoli case delle bambole prendessero vita insieme ai loro abitanti, collocate l’una accanto all’altra su un arcipelago di isole fluttuanti nello spazio tutte con un tocco di piacevole ricercatezza estetica. Un paradiso di diorami molto graziosi che in Twinkleby, sviluppato dal team svedese Might and Delight, possiamo decorare e migliorare a nostro piacimento, eventualmente anche liberandolo da ciò - case e giardini - non rispondono più al nostro gusto, fino a mandare tra le stelle vicini troppo importuni, muniti comunque di ombrellino per un atterraggio tranquillo chissà dove. Lo studio di Stoccolma si era già messo in luce per la sensibilità con cui aveva declinato nella serie Shelter il genere dei survival, immaginando la lotta per la sopravvivenza di specie animali per salvare i cuccioli dalle tante insidie nascoste nella natura. Con Twinkleby i ritmi sono invece quelli rilassati di un cozy game, dove tutto, dalle dinamiche del gioco all’aspetto di interni ed esterni, concorre a trasmettere un senso di serenità. Non è comunque solo un discorso di arredi e di progetto del verde: c’è sempre il preponderante fattore umano. Nella nostra isola arrivano di continuo nuovi abitanti, ciascuno con propri sogni e una spiccata personalità: cercare di intuirne le esigenze per rendere il più appagante possibile il trasferimento è fondamentale perché troveranno il modo di esprimere la loro gratitudine o la loro delusione. La gentilezza è la chiave per avere buoni rapporti con chiunque. Il riferimento per le deliziose dimore va alle case delle bambole ispirate all’epoca vittoriana, comprensibilmente oggetto delle mire dei collezionisti e i cui originali hanno trovato posto nei musei, come nei capolavori della sezione dedicata all’infanzia del londinese Victoria and Albert Museum. In Twickleby si hanno a disposizione, sbloccandole progressivamente, moltissime decorazioni per abbellire gli ambienti, da vivere nelle diverse ore della giornata, compresa la fase del sonno ristoratore. Per familiarizzare non c’è niente di meglio che un invito a prendere il tè, portando in tavola pasticcini o altre leccornie, in questo mondo in miniatura dove ci si può perdere tra le tante suppellettili e i cibi da selezionare. Nelle stanze si tiene anche conto del colore, pescando da una tavolozza virtuale, provando a verificare quanto il risultato sia in linea con ciò che si voleva realizzare. Se soddisfatti, possiamo scattare una foto ricordo. Anche il clima e lo scorrere delle stagioni influenzano la creazione dei diorami e il paesaggio sonoro che li accompagna. Immergersi in questo arcipelago è rilassante ed emozionante, rigenera e arricchisce, mentre si cerca di assicurare il benessere della minuscola comunità. Le stelle cadenti qui non si guardano soltanto per esprimere un desiderio affinché si avveri: raccolte, aiutano a scoprire luoghi secreti, oltre a poter essere spese nel negozio di antiquariato per ottenere oggetti unici.
Un telefono, uno sportello automatico, un’emettitrice di biglietti, schede di memoria e poco altro, ma soprattutto c’è una slot machine con la quale guadagnare abbastanza per salvare la propria anima e uscire dall’inferno in cui si è finiti non essendo riusciti a saldare i propri debiti. Cloverpit dello studio italiano Panik Arcade a pochi giorni dal lancio è subito entrato nella top ten di Steam, la piattaforma che lo distribuisce e dove alcuni bundle indicano già alcune affinità elettive: con Balatro, roguelike sul poker; con Inscryption, un gioco cupo di carte roguelike; con Buckshot Roulette, sorta di variante diabolica della roulette russa. In Cloverpit c’è semplicemente una slot machine, ma sui generis. Come sottolineano gli sviluppatori, non si tratta infatti di un simulatore della macchina per il gioco d’azzardo, anche perché in questa versione originale la slot machine può essere distrutta, mentre ingaggia una sorta di corpo a corpo con il giocatore, che rimane artefice del suo destino e della china in discesa che ha abbracciato. Gli autori Matteo Gonano e Lorenzo Tombesi sono reduci dal loro precedente successo, Yellow Taxi Goes Vroom (2024), omaggio coloratissimo e adrenalinico all’amata era del Nintendo 64. Un platform arcade che ha ottenuto il plauso di uno zoccolo duro di fedeli fan. Con Cloverpit torna l’effetto nostalgia, nella grafica rétro e nei suoni che ricordano i coin-op delle sale giochi, ma si abbandonano le atmosfere solari e luminose per calarsi all’opposto in un’inquietante e trascurata cella dalle pareti scrostate e scarabocchiate, con gli elementi in metallo sporchi e arrugginiti, con qua e là appoggiati oggetti dalla simbologia sinistra. Ogni round chiede di ripianare i debiti contratti, se ci si riesce bene e si sentirà lo squillo del telefono con alcune proposte tra cui scegliere, se no è la fine. Attenzione, la macchina può essere manipolata, anche grazie agli oggetti che possiamo acquistare, e poi eventualmente sostituire, comprati con i biglietti delle vincite. Le partite non si ripetono, però si può fare tesoro dell’esperienza acquisita per impostare la volta successiva una strategia più efficace, innescando quasi un meccanismo di dipendenza per un horror che sa far divertire.
Benvenuti a Gibbi Point, dove i Simmini sono pronti a evadere dal grigiore della quotidianità per intraprendere imprese per misurarsi con sé stessi e le forze della natura oppure per lasciarsi incantare dalla vita all’aria aperta o per vivere storie romantiche conquistando potenziali dolci metà. The Sims 4 All’avventura Expansion Pack è un concentrato di esperienze dove i personaggini della simulazione per antonomasia scoprono i benefici di un tempo libero trascorso prendendosi cura delle esigenze del fisico e dello spirito, pensando soprattutto alla necessità di rilassarsi cambiando i soliti orizzonti e respirando l’aria leggera di un contesto non inquinato. Uscito per la prima volta nel 2000, il videogame di Maxis aveva già lanciato, per festeggiare il suo venticinquesimo compleanno, il contenuto aggiuntivo The Sims 4 Natura incantata, per immergersi in una località magica dove vivere in sintonia con paesaggi da sogno. Adesso con The Sims 4 All’avventura Expansion Pack i Simmini possono programmare gite in luoghi memorabili o decidere di allenarsi nelle sedute di spinning, o con i pesi oppure sul tappetino per lo yoga così da migliorare il proprio aspetto fisico e raggiungere in generale un miglior equilibrio. Chi fosse alla ricerca dell’amore potrà invece mettersi in gioco in competizioni romantiche, in un locale elegante o a bordo piscina. Punto di partenza è Gibbi Point, una zona soggetta a un devastante cataclisma dove poi però la vegetazione è cresciuta rigogliosa, all’ombra di un geyser enorme e affacciata su una baia bioluminescente dove prosperano strane meduse. Conservando la possibilità di meravigliarsi che hanno i bambini, sono innumerevoli le occasioni offerte da The Sims 4 All’Avventura per lasciarsi stupire da ciò che si trova nei quartieri di Gibbi Point, personalizzando i rifugi secondo le nostre esigenze o magari preferendo invece il soggiorno in un bed and breakfast prestigioso o più spartane sistemazioni in campeggio. Le attività sono molteplici e veramente sarà difficile non riuscire a soddisfare qualsiasi sogno coltivato dai Simmini, di ogni età, per rigenerarsi e tornare alla normalità con tanti ricordi da incorniciare.
Umorismo nero a piene mani, ma anche una nuova declinazione di un filone fortunato, ossia i giochi che richiedono di pulire, mettere in ordine, sistemare, aggiustare. Nel nostro caso a dover ripristinare in condizioni ottimali il tutto è un goblin e il luogo dove gli tocca spazzare, eliminare rimasugli, lucidare è nientemeno che il tipico dungeon di un rpg. La domanda che si sono rivolti gli ironici sviluppatori di Crisalu Games, piccolo team indie i cui membri vivono in Uruguay e in Argentina, è stata: Cosa succede alle segrete dopo la mattanza compiuta dall’eroe di turno, che magari poi deve tornare lì? Ecco che entrano in campo, tra un atto e l’altro, le squadre di pulizie di cui fa parte il nostro goblin, che può eventualmente contare sull’aiuto di tre compagni in co-op online per dividersi i compiti, facendo però attenzione alla loro salute perché se muoiono gli tocca smaltire i loro resti e sobbarcarsi una fatica in più. L’ambiente di lavoro è infatti insidioso, basta una distrazione e si è fritti, in una penombra che cela rovinosi dislivelli e vere e proprie trappole micidiali, che vanno comunque rinfrescate e riattivate, per essere di nuovo perfettamente funzionanti all’arrivo degli eroi. Goblin Cleanup, uscito in accesso anticipato, è una rilettura dietro le quinte dei dungeon crawler del fantasy, che dalle vette di leggendarie epopee intrise di coraggio e di magia scende al livello terra terra di mansioni tanto umili e neglette quanto indispensabili. Gli attrezzi del mestiere si adeguano all’ottica scherzosa di questa operazione demistificante. Del resto chi se non il goblin tuttofare sa cosa occorra per togliere le tracce di laghi di sangue, arti mozzati e visceri spappolati, nonché di casse distrutte e barili ridotti in pezzi? Questa simulazione sui generis si svolge in una torre dove aleggia la figura di un oscuro signore che nella riattualizzazione concepita da Crisalu assomiglia al ceo della corporation The Dungeon che assolda la ditta del goblin per affidargli la mansione di preparare i sotterranei per il prossimo avventuriero. Anche i mostri uccisi vanno risuscitati, il che non è spesso immediato, ma la faccenda si complica perché non è bene restare troppo a lungo nel buio, in quanto altre creature potrebbero essere in agguato. Il laborioso goblin non attacca nessuno, può però essere vittima di agguati micidiali. I livelli, generati proceduralmente, comprendono diversi temi, per esprimere la coesistenza di diverse culture e tradizioni, da un castello cinese medievale a una gigantesca nave fantasma. Indipendentemente dall’abilità dimostrata, il protagonista guadagna comunque, in misura maggiore o minore, qualche soldo, che può usare per migliorare il suo aspetto. Goblin Cleanup non vuole infatti essere mai punitivo.
Talmente folle che però funziona. Viene dalla Corea uno di quei videogame che sembrano nati apposta per far parlare di sé e trasformarsi in fenomeni online. Anche se sulla carta si può affrontare anche da soli, Pizza Bandit si rivolge in primis alla platea multiplayer, nell’ottica della modalità co-op per squadre di quattro partecipanti attorno cui è strutturata al momento l’esperienza. Il titolo, firmato dal piccolo studio indie Jofsoft, appena sei persone con sede a Seongnam, si è guadagnato il supporto di un grande editore del peso di Krafton, una delle realtà più importanti del Paese asiatico, dietro a successi quali Pubg: Battlegrounds e inZOI, oltreché allo spettacolare The Callisto Protocol di Striking Distance, l’erede di Dead Space. Pizza Bandit si trova ancora all’inizio del suo percorso, inserito nella formula work in progress dell’accesso anticipato di Steam la cui prima fase di test viene stimata dagli sviluppatori in 6-12 mesi di lavori, durante i quali è possibile provare i contenuti via via disponibili che attualmente comprendono otto missioni di diverse tipologie, una decina di armi e gadget modificabili insieme al sistema di gestione del ristorante. Nonostante appaia per certi versi derivativa, l’opera di Jofsoft mette in campo una buona quantità di idee curiose per chi fosse stanco delle solite battaglie. Ciascuno interpreta uno chef con un passato paramilitare che torna utile quando decide di aprire il locale dei sogni imbarcandosi in una serie di azioni di guerriglia in aree presidiate da orde di mostri, dove resistere agli attacchi dei nemici mentre si completano obiettivi a tema culinario, si recuperano risorse e ingredienti, con i quali preparare i piatti da servire alla clientela che sboccano bonus per i match successivi e permettono di migliorare l’aspetto e le funzioni della base-ristorante. Un bizzarro mix tra sparatutto e cucina, Killing Floor e Overcooked in cui la mira va di pari passo con il multitasking, l’effetto comico e il gusto per l’assurdo.
Quando si parla di videogame tra appassionati si tende a escludere quella che, numeri alla mano, è volenti o nolenti la fetta più grossa della torta. Più della metà di un mercato che nel 2025, secondo Newzoo, genererà quasi 200 miliardi di dollari di ricavi appartiene alla sfera mobile, l’altra faccia del digital entertainment quantificata in circa tre miliardi di giocatori, contro il miliardo e mezzo della somma tra l’utenza Pc e console. Mondi diversi e raramente comunicanti, anche se è il salto che prova a fare adesso la polacca BoomBit. Dopo aver tagliato il traguardo del miliardo di download, l’azienda ha deciso di portare su Pc alcuni dei suoi maggiori successi usciti originariamente per gli smartphone. Un modo per rendere i titoli più fruibili, in tutti i sensi: i computer sono meno inclini all’obsolescenza tipica invece dei software dei telefonini e ci si può liberare meglio anche di certe logiche free-to-play, come la pubblicità, che a lungo andare limitano il divertimento. Tra i videogame proposti c’è Car Driving School Simulator, che si inserisce in un vero e proprio sottogenere alternativo rispetto ai classici giochi di auto. Non si tratta infatti di un racing, ma di una simulazione che ha l’obiettivo di far impratichire con le regole stradali, appunto qualcosa di simile a una scuola guida virtuale. Appena si sale in macchina ci si allaccia le cinture, si avvia il motore, bisogna mettere la freccia prima di svoltare, ci si deve fermare correttamente agli stop e ai semafori, accendere le luci e azionare i tergicristallo quando piove, parcheggiare ecc. Terminate le lezioni propedeutiche tra i birilli, la sfida si sposta in free roaming, muovendosi nel traffico di città ispirate a New York o a Tokyo, al volante di varie tipologie di vetture. Prima di diventare ceo dell’attuale BoomBit, nata nel 2010, Marcin Olejarz si era occupato con Aidem Media guarda caso di educational. Un’altra hit dal percorso parallelo è Build a Bridge!, ancora una rivisitazione di un filone piuttosto popolare, che prevede di realizzare ponti incastrando i pezzi in una sorta di gioco di costruzioni geometriche incentrato sulla fisica dove ogni livello rappresenta un piccolo rompicapo. Ce ne sono 86, in tutte le salse, addirittura in scenari esotici come lo spazio. Una volta varato, il ponte va collaudato dando il via al transito di determinati veicoli che ne testino la capacità, la quale può cambiare anche in base alla struttura scelta per il progetto: unire il punto A al punto B è solo l’inizio.
Come ogni anno, da ormai vent’anni, Call of Duty si conferma una delle uscite più attese per la stagione clou del digital entertainment che si avvia verso il periodo sfrenato dello shopping natalizio. Tra poche settimane toccherà a Call of Duty: Black Ops 7 fare gli onori di casa. Il nuovo episodio, previsto il 14 novembre, è già finito al centro del cambio di strategia del Game Pass, il servizio in abbonamento di Microsoft che, nella fascia più costosa, la Ultimate (recentemente portata a 26,99 euro al mese), consentirà di giocare subito proprio al blockbuster di Activision, anche se tutti possono comunque fortunatamente ancora acquistare il singolo titolo dove e come preferiscono nei classici formati Pc, Playstation e Xbox tenendosi stretti, server permettendo, i vari capitoli di una saga che ha scritto la storia dei videogame. Con Call of Duty: Black Ops 7 la serie torna a lambire i territori della fantascienza, in un futuristico 2035 che come trama si ricollega in maniera diretta ai primi due Black Ops (2010 e 2012). Activision ha imparato quanto single e multiplayer siano in realtà indissolubili in una hit del genere: indipendentemente da ciò che si possa pensare, non esiste l’uno senza l’appoggio fondamentale dell’altro, diversi ma responsabili in egual misura della creazione del mito di Call of Duty agli occhi di milioni di giocatori, che però poi passano la maggior parte del tempo a darsi battaglia nei match online. Nonostante rappresenti la quintessenza dei first-person shooter Made in Usa, Black Ops 7 promette uno sguardo affascinante al Giappone, omaggiato in alcune mappe che rielaborano per il multiplayer scenari della campagna e che, come Toshin, si possono provare in questi giorni, durante i test della beta aperta fino all’8 ottobre. Progettata per le sfide 6v6, Toshin è una mappa di medie dimensioni a più livelli realizzata su sfondo urbano ricca di passaggi, edifici, coperture pronti a stimolare la rapidità del combattimento ravvicinato. Piena di insegne, luci al neon, riflessi, architetture complesse, è anche emblematica della qualità raggiunta dai team Activision con la messinscena in un multiplayer spettacolare che, a suo modo, indirettamente, continua a raccontare le vicende di Call of Duty attraverso un’infinità di dettagli, come la monorotaia deragliata che si staglia nel quartiere commerciale dove in Toshin si susseguono gli scontri.
Flight Simulator non ha fatto in tempo a vivere gli anni più stravaganti delle cosiddette console war, che hanno invece infiammato i decenni scorsi. Serie storica dell’utenza Pc, con un pubblico diverso e più maturo rispetto a un’ampia fetta dei videogiocatori, è sbarcato solo di recente su Xbox - quello sì un vero cambio di passo - quando gli animi si erano già raffreddati e i vari big avevano iniziato, almeno a parole, ad andare d’amore e d’accordo. Quindi l’impatto sulle rispettive community, sempre che esistano ancora, non gode forse del risalto mediatico di altre rivoluzioni in chiave multiformato: in parte Forza Horizon, ma soprattutto Gears of War, che dopo essere stato a lungo un alfiere delle console Microsoft ha raggiunto in estate i lidi Playstation, segnando un po’ la fine di un’epoca. Eppure l’arrivo di Microsoft Flight Simulator 2024 su Ps5 fra un paio di mesi, ai primi di dicembre, vanta un peso specifico forse persino maggiore, perché si tratta di una produzione molto particolare, anche dal punto di vista squisitamente tecnico, basata com’è sulle infrastrutture online dell’azienda americana che permettono di ricostruire, per mezzo dei server cloud e dello streaming connesso, una mappa 3D in scala 1:1 dell’intero pianeta da sorvolare col simulatore ai comandi di ogni tipo di aeromobile. L’annuncio è stato dato all’ultimo Tokyo Game Show, dove Microsoft ha portato una rappresentanza delle sue uscite dal respiro nipponico, a cominciare dall’imminente Ninja Gaiden 4 e il prossimo Forza Horizon 6 che sarà ambientato proprio nel Paese del Sol Levante. Anche Microsoft Flight Simulator 2024, già disponibile per Pc e Xbox, ha colto l’occasione per farsi accompagnare da un World Update ad hoc, gli aggiornamenti che periodicamente si concentrano su determinate zone del globo virtuale, aggiungendo elementi caratteristici dello scenario e migliorandone tantissimo la resa grazie alla fotogrammetria. In questo caso si tratta appunto del Giappone, che guadagna 23 aree di interesse, 67 monumenti, le nuove versioni ultradettagliate di cinque aeroporti e delle città di Hiroshima, Kyoto, Osaka, Sapporo e Tokyo. Microsoft ha promesso un porting accurato. Microsoft Flight Simulator 2024 su Ps5 sfrutterà in maniera approfondita il feedback aptico del controller Dualsense e nel 2026 comprenderà la realtà virtuale del visore Psvr2, sulla carta una vera killer application.
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