×
×
☰ MENU

HI-TECH

Generazione bit. Arc Raiders e la lunga scia horror di Halloween

di Riccardo Anselmi

03 Novembre 2025, 16:30

ARC RAIDERS (Embark, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Verrebbe da dire che ci vuole coraggio a uscire nel momento clou della stagione, tra un Battlefield e un Call of Duty, i due pesi massimi degli sparatutto multiplayer. Alla fine però potrebbe rivelarsi proprio Arc Raiders l’avversario da battere. L’opera di Embark non è solo una delle più papabili hit online in corsa per la statuetta di game of the year, ma una produzione con le carte in regola per rivoluzionare l’intera scena, aprendo la strada a un nuovo fenomeno. Arc Raiders un po’ come l’Halo degli extraction shooter, il capolavoro di Bungie che ormai un quarto di secolo fa ha portato al successo su console il genere degli sparatutto in soggettiva allora in voga essenzialmente su computer. Embark con Arc Raiders, il progetto dei sogni accarezzato a lungo in cui gli sviluppatori dello studio svedese si sono gettati anima e cuore, ha compiuto qualcosa di simile ripensando a misura di joypad, in maniera minuziosa per la platea globale, l’ultima tendenza cresciuta su Pc attorno a titoli come Escape from Tarkov. Anche il cambio di prospettiva appare significativo: la terza persona enfatizza gli accenti adventure di Arc Raiders in luogo di quelli shooter, contribuendo a rendere unica e più accessibile l’esperienza PvPvE. Sembra di vivere, in tutte le sue dinamiche, un film o una serie tv post-apocalittica in cui si sperimentano sulla propria pelle anche certi risvolti sociali dell’ambientazione, con gli elementi multiplayer che costituiscono essi stessi l’ossatura del racconto di ciascuna partita. Nel futuro di Arc Raiders ciò che resta dell’umanità sopravvive nascosto, mentre in superficie dominano le macchine che si aggirano tra le rovine, nemici potenti in grado di incutere un sincero senso di timore, complessi e difficili da abbattere senza l’aiuto degli altri giocatori. L’ideale sarebbe quindi collaborare, persino tra sconosciuti, ma ci si può ridurre a farsi la guerra a vicenda e a scontrarsi in bande, trasformandosi in predoni e sciacalli disposti a qualunque sotterfugio pur di ottenere il massimo delle risorse, obbiettivo alla base delle varie sortite, dove si parte a esplorare la mappa con la speranza di tornare sani e salvi dopo aver racimolato abbastanza bottino, quasi in una versione online di Stalker. Embark, già dietro il popolare The Finals e i cui fondatori vantano una carriera in Dice, è riuscito a ricreare per Arc Raiders un’atmosfera incredibile, di forte stampo cinematografico e dall’immaginario fantascientifico di grande impatto, tra l’altro inserito in una cornice che si ispira dichiaratamente a località italiane. Infuso della passione di un team comunque importante, composto da centinaia di persone, Arc Raiders rappresenta un assoluto punto di riferimento anche per la qualità della produzione. Curatissima in ogni ambito e stupefacente sul piano audiovisivo, con un sonoro da Oscar e un’attenzione ai dettagli che sa genuinamente meravigliare, impreziosisce ulteriormente uno dei kolossal digitali più spettacolari dell’anno. A questo giro Embark non teme nessun rivale.


BYE SWEET CAROLE (Maximum Entertainment, per Pc e console)

Una fiaba molto cupa, creata da Little Sewing Machine come a calare in un contesto dark i grandi classici animati della Disney, ad acuire parallelamente la sensazione di orrore, frutto dell’accostamento tra il buio dell’anima e quanto invece evoca - per lo meno di primo acchito - l’incanto della bellezza e dei buoni sentimenti. Dietro Bye Sweet Carole ci sono i racconti ascoltati e i lungometraggi ammirati da un bambino, che nel frattempo è cresciuto e ha giocato anche a videogame come Resident Evil, Alone in the Dark, Clock Tower e Gris, citati dallo stesso Chris Darril, alias lo sviluppatore siciliano Mario Christopher Darril Valenti, già autore della serie cult Remothered, nonché ceo e fondatore della software house indie Little Sewing Machine, con sede a Catania. Nella magia digitale del 4K, lo stile vintage del nuovo progetto vuole ricordare proprio l’animazione rodovetro, per cui ogni fotogramma è stato meravigliosamente disegnato a mano, ottenendo inoltre, con la collaborazione del compositore Luca Balboni, una stretta sintonia cinematografica tra le scene e la colonna sonora. Se dentro Bye Sweet Carole batte dunque un cuore italiano, l’ambientazione trasporta invece nell’Inghilterra di inizio Novecento, che non si è ancora lasciata alle spalle le miserie umane e sociali così efficacemente descritte nei romanzi di Charles Dickens, con le sue storie di orfanotrofi lager, sfruttamento del lavoro minorile, adulti criminali sempre pronti ad approfittare dell’ingenuità, del candore, delle difficoltà di bimbi allo sbando che, anche provando a coltivare semi di solidarietà tra loro, tentano di uscire da una quotidianità di miseria e di dolore. La Carole del titolo vive a Bunny Hall, in un lugubre istituto per piccoli abbandonati o che non hanno più i genitori. La sua migliore amica, Lana Benton, sembra l’unica a preoccuparsi quando Carole svanisce nel nulla, coltivando più di un sospetto che non si sia trattato di una fuga volontaria, magari romantica con il misterioso corrispondente di lettere firmate il francese. Intanto accadono strani fenomeni, tutt’attorno si moltiplicano coniglietti scuri (quasi versioni opposte del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, l’eroina di Lewis Carroll portata ripetutamente sul grande schermo e un riferimento evidente in alcuni momenti del videogame). Del resto Darril, di formazione illustratore e graphic designer, appassionato delle tecniche dell’animazione tradizionale, non cela di aver unito ai videogame una spiccata predilezione per il cinema (e i classici Disney, dopo essere rimasto folgorato giovanissimo dalla visione de La bella e la bestia), sebbene quello che porta avanti sia poi un interesse che riguarda più in generale la complessità dei processi creativi. Fedele a questa linea, pur reiterando l’ossessione per le dinamiche nascondino di Clock Tower all’origine anche di Remothered, Bye Sweet Carole non è incasellabile in un unico filone, ma si avventura ad alternare puzzle, scontri, cambi di prospettiva, sequenze platform, assecondando quanto richiesto via via dalle esigenze narrative. Dichiaratamente, la scelta di un determinato periodo storico permette di far emergere le lotte per l’emancipazione femminile (si svolgeva nell’Inghilterra del 1910 un altro celebre film Disney, Mary Poppins), mantenendo il focus sulle risposte insufficienti fornite dagli adulti, spesso autoritari e oppressivi, alle vittime di bullismo, le cui ferite appaiono laceranti. Lana, che nell’aspetto richiama la fisionomia di Biancaneve e di Bella, è una ragazzina coraggiosa trascinata dal desiderio di verità in un inquietante incubo hitchcockiano, fino a scoprire il regno fantastico di Corolla. Tanto lugubre è Bunny Hall, tanto è splendente e prospero Corolla, ma in pericolo di trasformarsi nella sua antitesi. Lana affronta paure e fantasmi interiori, in un percorso di apertura al futuro e alla necessità di tornare giorno dopo giorno a vivere. Una parabola intensa e toccante, che rispecchia il periodo difficile sperimentato dallo stesso Darril in seguito a un grave lutto, scoprendo nei doni della creatività e dell’arte il cammino per riacquistare il sorriso. Una catarsi che in Bye Sweet Carole si traduce nell’accettazione di ciò che non si può cambiare e nella presa di coscienza di ingiustizie alle quali ribellarsi.


BORDERLANDS 4 (2K, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

La lunga scia di Halloween investe appieno il digital entertainment, che si colora in tema anche attraverso eventi ad hoc, come Horrors of Kairos, un aggiornamento di Borderlands 4 che fino al 6 novembre introduce effetti particolarmente sanguinolenti durante le battaglie con i boss accanto alla possibilità di ottenere come bottino due armi leggendarie, Murmur e Skully, reinterpretazioni macabre del fucile d’assalto Tediore e della granata Order. Per sbloccare gratuitamente un bizzarro copricapo a forma di zucca e una colorazione esclusiva dedicata all’equipaggiamento basta invece riscattare col proprio account Shift, che riunisce la community dei titoli Gearbox, il seguente codice: 3S6BB-ZXT93-KRT3W-BT3T3-JW6TZ. Dopo la pubblicazione avvenuta in settembre, Borderlands 4 si prepara a entrare nella fase due, con il supporto post-lancio e l’uscita di ulteriori contenuti per il capitolo next-gen che segna un profondo revival della saga cult, tornata tra le braccia di 2K insieme allo studio di Randy Pitchford. Pochi videogame possono vantarsi di aver (re)inventato un genere e Borderlands è uno di quelli, antesignano dei looter shooter che hanno reincarnato l’anima di Diablo negli sparatutto in soggettiva, con una riuscitissima ricetta dove si mischiano rpg e co-op, su console anche nella magia intramontabile dello split-screen. Borderlands 4 rappresenta oggi l’apice del filone, superando per molti versi persino l’indimenticabile Borderlands 2 una volta che, dito sul grilletto, ci si avventura nell’enorme varietà di statistiche ed evoluzioni disponibili, ancora più rifinite e aperte all’esplorazione della propria strada. Per una serie vastissima che ha fatto dei numeri tendenti all’infinito una ragione di vita, siamo di fronte a un nuovo inizio che va dritto a rifondare il fenomeno. Anche sul piano tecnologico. Inseguendo il massimo spettacolo di effetti, luci e colori, Borderlands 4 spinge all’estremo la caratteristica impronta cartoon tramite cui viene stilizzato il grottesco immaginario ultraviolento alla Mad Max del gioco, traslato in un futuro hi-tech multiplanetario carico di humour nero, tra satira e parodia, altro elemento del successo esplicitato sin dal titolo del primo di quattro episodi extra raccolti nel cosiddetto Pacchetto taglia, in progamma da qui a settembre 2026. Si (ri)comincia il 20 novembre con Come Rush salvò il Giorno del Mercenario, rivisitazione in chiave Borderlands di un classico natalizio di Dickens incentrato sul più recente idolo dei fan e che vedrà il giocatore impegnato con ogni mezzo, le buone ma soprattutto le cattive, a riportare in voga lo spirito delle feste nonostante l’opposizione di un novello Scrooge.


TWO POINT MUSEUM (Sega, per Pc, Ps5, Xbox Series e Switch 2)

Nintendo ha determinato anche e soprattutto da sola, a suon di esclusive, il successo delle sue console. Ma il fenomeno globale cresciuto attorno a Switch ha ripreso a richiamare l’interesse di un numero maggiore di editori, come non accadeva probabilmente dall’epoca dello Snes. Sul fronte Switch 2 proprio l’antica rivale Sega si è dimostrata subito molto attiva nel supportare la neonata icona del Made in Japan. Fin dal lancio, portando al debutto sul nuovo dispositivo ibrido di Nintendo l’inedita versione Director’s Cut di Yakuza 0, l’episodio prequel, e forse il più amato, di una saga cult tra thriller e arti marziali che in novembre tornerà sulla console giapponese con Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2, gli acclamati remake dei primi due capitoli. Tutte le uscite principali di Sega, dai Sonic ai giochi di ruolo di Atlus, stanno ricevendo adattamenti. In questi giorni è toccato anche a Persona 3 Reload, rifacimento da Oscar che fa compiere un balzo in avanti decennale al classico Persona 3 (2006), ricostruito da zero con un efficace cambio look contemporaneo per porlo sullo stesso piano delle produzioni recenti e in particolare del bestseller Persona 5 Royal (2019), un fantastico jrpg visivamente affine a un anime. Poteva mancare un Two Point? Curata dall’omonimo team inglese, l’altra faccia della storica casa nipponica che vanta oltremanica diversi studi importanti, da Creative Assembly (Total War) a Sports Interactive (Football Manager), è una divertentissima serie di gestionali che ha raccolto l’eredità, e in parte gli autori, delle leggendarie hit di Bullfrog, come Theme Hospital (1997), rievocato in Two Point Hospital (2018), il capostipite dei Two Point dove bisogna amministrare l’ospedale più pazzo del mondo. Nel medesimo solco del British humour sono seguiti l’università di Two Point Campus (2022) e il museo di Two Point Museum (2025), quest’ultimo pubblicato adesso anche per Switch 2. Una manna dal cielo per chi desidera giocare il titolo in mobilità dato che, come hanno lasciato intendere gli sviluppatori, sarebbe stato difficile far funzionare il videogame sul precedente modello di Switch, essendo Two Point Museum in tutto e per tutto l’evoluzione della formula dei gestionali alla Two Point nell’ottica delle piattaforme next-gen: Pc, Ps5, Xbox Series e appunto ora Switch 2. Per molti versi Two Point Museum costituisce il capitolo più riuscito e rifinito della serie, il che potrebbe sembrare naturale, ma non è così ovvio. Anche a livello tecnologico muove un incredibile e indaffarato microcosmo che diventa via via più articolato mano a mano che si allestiscono le varie sale. Tutto da ridere e nello spirito caricaturale ricco di gag che ne rappresenta la cifra stilistica, senza dubbio uno degli ingredienti all’origine della fortuna delle simulazioni ambientate nella fittizia contea di Two Point che hanno saputo rinverdire i fasti di un intero genere, avvicinando con simpatia ai gestionali vecchi e nuovi fan. Two Point Museum scava più a fondo nelle dinamiche, piacevolmente sfaccettate, pur stando attento a non trasformarsi mai in un titolo ostico, anche quando l’obiettivo dichiarato è impiantare un’attività che deve far quadrare i conti. C’è spazio persino per esplorare note innovative con le spedizioni, il sistema tramite cui procurarsi un po’ strategicamente, un po’ a sorpresa, aiutati da novelli Indiana Jones, reperti rari in grado di attirare folle di visitatori nel proprio complesso museale, da progettare passo dopo passo, fin nei minimi dettagli.


PACIFIC DRIVE: WHISPERS IN THE WOODS (Kepler Interactive, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

L’originale survival automobilistico Pacific Drive, clamoroso titolo d’esordio di Ironwood Studios, software house indie di Seattle, si è arricchisce di un’espansione, Pacific Drive: Whispers in the Woods, che conduce ancora nell’inquietante Zona di Esclusione Olimpica, ma in una diversa località da esplorare, venata di tinte horror. La penisola Olimpica, che si estende proprio di fronte a Seattle nello Stato di Washington, è trasfigurata nell’ambientazione del videogame, dove il protagonista si ritrova in fuga, al volante di una vecchia station wagon, costretto a vagare in un’area diventata progressivamente sempre più inaccessibile in seguito agli effetti di esperimenti, risalenti al 1947. Unica fedele compagna, la macchina può essere accessoriata e modificata, per provare a uscire dall’incubo di fenomeni estremi in un paesaggio ostile dove si nascondono manufatti preziosi e rimangono le tracce delle misteriose ricerche compiute quarantun anni prima. Ai contenuti di Whispers in the Woods si accede in qualsiasi momento, ma non subito, dopo aver superato il prologo dell’avventura. Addentrandosi nelle foreste, ecco che si iniziano a scorgere strani simboli e altri segni della presenza di un gruppo di fanatici ossessionati dalle anomalie che si verificano nella Zona, al punto da tributare loro un oscuro culto. Hanno anche forgiato oggetti dalle proprietà singolari, che influenzano l’interazione con l’automobile e con il mondo circostante. Ne vengono indicate le proprietà e si può decidere quali portare con sé, ma valutando attentamentele conseguenze non necessariamente positive che introducono. La familiarità degli sviluppatori con il Nord-Ovest Pacifico degli Stati Uniti si coglie anche nel riecheggiare di leggende sedimentate nel wilderness, con il senso di isolamento che comunica una natura così imperiosa, sconfinata e ostile. Il risultato è un titolo carico di atmosfera, una coinvolgente narrazione on the road sostenuta anche dalla colonna sonora di brani - un po’ R&B, un po’ rock e un po’ blues - trasmessi alla radio che contribuiscono a calare nel viaggio dove un personaggio a sé, quasi la vera protagonista, diventa la station wagon. Dalla caratteristica carrozzeria rivestita in legno, è una tipica woodie, nostalgico simbolo della società americana: robusta, seppur ammaccata e arrugginita. Non a caso il garage è uno dei luoghi chiave di Pacific Drive, dove tornare per ingegnarsi a effettuare riparazioni e migliorie, facendo tesoro di ciò che si recupera in giro, e tentare di accessoriare a sua volta il locale per renderlo più efficiente. Gli altri enormi edifici abbandonati si impongono con protervia sullo skyline, emblemi di un’arroganza umana foriera di disastri senza fine.


PUZZLE QUEST: IMMORTAL EDITION (505 Games, per Pc e console)

In principio fu Warlords, lo strategico cult creato per Amiga nel 1989 e pubblicato solo l’anno successivo, dopo tanti rifiuti, dall’editore australiano Strategic Studies Group (Ssg), avvio di una fortunata saga a turni dalla quale sono scaturiti anche un gioco da tavolo e gli spin-off Battlecry e Puzzle Quest. Quest’ultima serie, inaugurata nel 2007 da Puzzle Quest: Challenge of the Warlords, si è subito messa in luce per il brillante connubio delle dinamiche di un gioco di ruolo e di un puzzle match-3, intrecciate in una narrazione coinvolgente, nei panni di un eroe (o di un’eroina) in viaggio nel Regno di Etheria per salvarlo dalle mire del malvagio Lord Bane. Dietro tutti i titoli c’è sempre Steve Fawkner, leggendario programmatore di Melbourne che adesso è tornato alle origini, realizzando con Puzzle Quest: Immortal Edition il remake del primo Puzzle Quest che, oltre a sfoggiare una grafica rimasterizzata in 4K, si è arricchito di nuovi contenuti, compresi i tutti i precedenti dlc. A quasi vent’anni di distanza, viene così offerta anche a chi non ha vissuto quell’epoca pionieristica la possibilità di accostarsi a un classico, che nel 2019 era comunque già stato oggetto di un rifacimento per sbarcare sulla console Switch e di cui si è tenuto conto nell’odierna versione. L’idea iniziale di Puzzle Quest era dichiaratamente ispirata a Bejeweled, popolare rompicapo in cui allineare tre gemme della stessa tinta, meccanismo che veniva però applicato in questo caso a un tradizionale gdr fantasy trasformando ogni gioiello, le cui proprietà cambiano a seconda del colore, in azioni e mana, la risorsa magica che fornisce l’energia per evocare incantesimi o per utilizzare altre abilità. Sulla griglia, teatro dei combattimenti, compare in realtà tutto ciò che serve in un gioco di ruolo: denaro, punti esperienza sotto forma di stelle e persino teschi in grado di lanciare attacchi, ovviamente non prima di averne in fila almeno tre, mentre il nemico è impegnato a sua volta ad associare i gioielli e a rendere il tabellone una trappola per noi. Non lasciare all’avversario l’opportunità di sfruttare combinazioni favorevoli risulta del resto una delle componenti della strategia del videogame, pensando già prima di ogni mossa a cosa potrebbe fare dopo il rivale. In relazione alla classe scelta per il nostro personaggio, cavaliere, bardo, ecc., possono essere più appetibili gemme di una particolare cromia. Discorso applicabile pure al nostro oppositore, di cui conosciamo dunque le esigenze in fatto di mana. Sono ulteriori aspetti che condizionano l’esito dello scontro e che comportano di impostare bene quali gemme eliminare e in che ordine dalla griglia. Sostanzialmente fedele, il remake firmato da Infinity Plus Two, la software house fondata e guidata da Fawker, introduce un diverso esito per le situazioni di stallo: invece di superarla perdendo il mana accumulato, la griglia esplode ridistribuendolo equamente tra i due contendenti. Sistema delle battaglia a parte, Puzzle Quest si configura per il resto come un tipico gioco di ruolo, con il personaggio che accresce le proprie statistiche, incontra compagni di avventura, raccoglie informazioni dagli interlocutori lungo il cammino o nelle soste alla taverna, acquista armi, armature e accessori vari nei negozi, in una riuscitissima fusion tra epica fantasy e rompicapo che lo rende unico e non ha perso smalto.


HORROR ANTHOLOGY BUNDLE (Cult Games, per Pc)

L’idea riprende quella delle serie antologiche televisive come Ai confini della realtà andato in onda tra gli anni Cinquanta e Sessanta. In questo caso si tratta invece di videogame, accomunati dalle tematiche horror e selezionati dall’editore Cult Games per riproporre, insieme, alcune uscite delle uscite più interessanti del suo catalogo indie accanto alla novità Loop/Error. L’ultimo titolo, sviluppato da Koro Pixel Studio (alias di un unico programmatore), è un giallo psicologico, dove si fatica a cogliere cosa sia realtà e cosa immaginazione della mente del protagonista, chiamato a svolgere un compito di controllo in apparenza banale. Non però se il luogo da sorvegliare è un distributore di benzina in mezzo al nulla, nel cuore della notte. Una periferia che sembra sempre più una condizione anche metaforica. Sotto forma di una visual novel dalla spartana pixel art in bianco e nero con effetto retinato, il racconto precede per incontri e scelte, che nell’arco di una mezz’ora conducono a uno dei possibili finali, mentre l’angoscia cresce, non si può scappare e strambi interlocutori si fanno avanti, una notte dopo l’altra. La raccolta antologica prosegue con Metamorph di Jackdaw Games, una dating sim che ruota attorno alla trasformazione del corpo durante l’adolescenza. Solo che la protagonista non si limita a crescere per affacciarsi all’età adulta, ma di punto in bianco compaiono in lei alcune caratteristiche orripilanti, preludio alla completa metamorfosi in uno scarafaggio. Prima che il cambiamento sia definitivo, la ragazza vuole ottenere un appuntamento con il giovane di cui si è invaghita, in una corsa contro il tempo che si intreccia con il tentativo di condurre la normale vita scolastica di una studentessa delle superiori. Anche il comportamento adottato nei confronti dei compagni e le loro reazioni, tra gelosie, pettegolezzi, prepotenze, timidezze, solidarietà, influenzano l’esito di un incubo delle chiare ascendenze kafkiane. Con Harvest Hunt di Villainous Games Studio il focus si sposta sul retaggio del folclore europeo, in un villaggio medievale, Luna Nova, eletto a rifugio di una piccola comunità fuggita dalla furia dell’epidemia di peste nota come la Morte Nera, per ritrovarsi tuttavia minacciati da altre micidiali creature. Nei panni della Guardia, la cui maschera reinterpreta quelle indossate dai Careto al Carnevale di Podence in Portogallo, si deve cercare di tenerle a bada, fermando in primis il Divoratore, che indossa un cappuccio simile a quello con struttura in osso di balena del costume tradizionale delle donne delle Azzorre, completato da un lungo mantello (Capote e Capelo). Il labirinto dei campi di mais, il caldo soffocante dei bayou del Sud degli States teatro di tanti film dell’orrore, suggestioni da The Village di M. Night Shyamalan concorrono a costruire un survival roguelike in prima persona dove sfidare a viso aperto, e a colpi di forcone, il Divoratore per impossessarsi dei frammenti da inserire in un simulacro oppure adottare un comportamento furtivo per impossessarsi della maggiore quantità possibile di Ambrosia, indispensabile cibo ristoratore. Un sistema di carte, tratte dai tarocchi siciliani con semi portoghesi e ottenute completando positivamente la missione, attribuisce al protagonista e all’antagonista abilità e strumenti cui adattarsi, con l’incrocio di numerose varianti. Ogni ciclo di cinque notti, calate in evocativi scenari disegnati a mano, richiede che per ciascuna venga selezionata una Guardia diversa, con il carico del suo passato, mentre si esplora anche la storia di questa terra maledetta. Below Nowhere di Dylan Bassett allestisce un gioco del gatto (Meat Man, un essere dalla carne viva come se fosse stato scuoiato) e del topo (il protagonista che ha cercato riparo nel sottosuolo per sfuggire a dove altrove si combatte l’ultima guerra dell’umanità). Contro il perfido e affamato Meat Man, che si diverte con i suoi trucchi, non ci sono armi che tengano. Si può solo cercare di nascondersi e scappare da una situazione resa ancora più incerta e oppressiva da memorie che abbiamo e che non sono nostre, non ci appartengono. La sensazione di un crollo totale imminente pervade dunque la sfera personale e quella collettiva, nel disperato tentativo di tornare alla luce e scoprire forse che qualsiasi riferimento familiare è scomparso, inghiottito in un cupo abisso lovecraftiano, in cui qualcuno sembra forse voglia darci una seconda possibilità.


SPOOKY EXPRESS (Draknek and Friends, per Pc, Mac e iOs)

Quello del treno fantasma è uno dei topoi dell’orrore, sviluppato con svariate declinazioni nella letteratura (il racconto Quel treno per l’inferno di Robert Bloch) e al cinema (il sud-coreano Train to Busan, con il suo viaggio reale e metaforico verso la follia e la distruzione totale). Con Spooky Express lo si sperimenta in una chiave colorata e festosa, che mischia l’immaginario gotico e la comicità, perché i vagoni condotti da una locomotiva sui generis, dalla vaga forma di un teschio, sono gli unici a viaggiare in Transylvania trasportando passeggeri altrettanto non convenzionali, in pratica mostriciattoli e non-morti. Nostro compito è organizzare la singolare infrastruttura, aumentando la rete ferroviaria e poi anche le vetture, in un susseguirsi di diorami allestiti a tema, tra zucche di Halloween, bare, lapidi tombali, conti vampiri, spaventapasseri, zombi, spettri e simpatici easter egg. Mondi in miniatura allestiti con grazia, come fossero bomboniere, e senso dell’umorismo applicato a ogni dettaglio, cui conferisce ulteriore atmosfera l’inquietante colonna sonora di Priscilla Snow. Spooky Express - seguito spirituale ma completamente autonomo di Cosmic Express - è in realtà un raffinato rompicapo, firmato da un acclamato team di specialisti, la casa Draknek and Friends, capeggiata dal pluripremiato Alan Hazelden, noto in Rete anche con lo pseudonimo di Draknek e dietro successi come A Monster’s Expedition, Sokobond e A Good Snowman is Hard To Build. Più precisamente si tratta di un puzzle game in 3D del tipo a linea continua, da giocare su una griglia isometrica. Il segreto sta nel riuscire a estendere i binari, per coprire distanze sempre maggiori, senza passare sopra un precedente tratto, calandosi in un enorme ventaglio di situazioni (ricordate Snake?). D’altra parte si ripresenta periodicamente anche il problema dei viaggiatori in esubero rispetto ai posti disponibili, con tutto ciò che ne consegue a livello delle loro esilaranti e litigiose interazioni. Di solito il vagone è uno solo per cui ci si deve ingegnare tra chi sale e chi scende affinché arrivino tutti a destinazione, nelle loro dimore, provando molteplici combinazioni e proteggendo anche gli umani capitati in queste lande, a rischio di finire divorati dai signori delle tenebre. Se non si esaurisce la clientela in attesa, non si può approdare al livello successivo. La difficoltà cresce gradualmente, dai primi puzzle facili e intuitivi a enigmi complicati che spingono all’estremo l’idea di rompicapo, sparsi su oltre 220 livelli suddivisi tra nove mondi, ciascuno con le proprie meccaniche e creature infernali.


ECLIPSIUM (Critical Reflex, per Pc)

Eclipsium, titolo di debutto della casa svedese Housefire, è un horror contemplativo, che punta dunque sulla riflessione e sull’atmosfera, non sull’azione e sullo spavento improvviso, immergendo in un clima di inquietudine disperata. Perché il sole si sta spegnendo, il Vagabondo, dotato di una versatile mano mutante le cui abilità si potenziano progressivamente, si mette in viaggio per avvicinarsi all’unica flebile luce rimasta a marcare una direzione reale e metaforica. Il cammino verso l’ignoto, nel buio, è pieno di insidie esteriori e interiori, perché il protagonista resta attanagliato dal dubbio, se valga la pena andare avanti o se non sia meglio fermarsi, se le sue azioni siano inutili o possano invece fare la differenza, pur comportando notevoli sacrifici e sofferenze. C’è qualcosa di misterioso nella meta del Vagabondo, che incontriamo per la prima volta in un letto d’ospedale con l’imperativo di muoversi per andare alla ricerca di una lei non meglio specificata. Ogni passo comporta per lui la rinuncia a qualcosa di sé. Si sposta lentamente, in un percorso che comincia a sembrare forse metafisico che nel paesaggio circostante, tra edifici in rovina e una natura in abbandono. Un’ambivalenza rafforzata dalla grafica surreale, nel continuo alternarsi di attimi di serenità e di momenti di tensione. Si interagisce con l’ambiente attraverso gli enigmi, le note sparse in giro, i rari squarci aperti sul passato, le trappole da disattivare, le insidie da aggirare, mettendo insieme le tessere di un mosaico che si compone e si ricompone, nulla è dato per certo e sino alla fine non si può essere sicuri di niente di ciò che si crede stia avvenendo. Significati simbolici e dettagli rilevatori costellano l’itinerario del Vagabondo, ma appena prestando la dovuta attenzione si riescono a osservare e decifrare. A parlare sono anche le emozioni, nella fatica dell’incedere di un uomo solo, in un mondo fragile, sull’orlo del caos. Al disegno tanto minimalista quanto efficace corrisponde una colonna sonora sottilmente perturbante. Quando non si sente la musica, intervengono i suoni, egualmente eloquenti e rivelatori, capaci di fornire appigli in una realtà fluttuante e inafferrabile. L’esplorazione è la chiave, a patto di saper guardare e saper ascoltare, riflettendo di conseguenza.


SPINDLE (Deck13, per computer e Switch)

Dimenticate il Tristo Mietitore, perché nel mondo a tinte pastello di Spindle anche la Morte ha un aspetto tutto sommato grazioso, mentre si muove accompagnata da un tenero, roseo maialino, con una missione da compiere decisamente singolare. In Spindle il problema è infatti che non si muore più e le tocca capire il motivo così da riuscire a ripristinare il ciclo della vita. Risvegliatosi inspiegabilmente e inequivocabilmente nei panni della Grande Mietitrice, con indosso il mantello con il cappuccio e in pugno la falce, il protagonista dell’avventura di azione della casa indie berlinese Wobble Ghost comincia a intraprendere un viaggio verso l’ignoto, affrontando labirinti sotterranei protetti da strane creature, in quello che rappresenta un omaggio ricco di nostalgia ai classici del passato, offrendo l’occasione per riflettere su temi profondi, come il senso della perdita, il dolore del lutto, il valore del ricordo, l’importanza dell’amicizia. La grafica è un’efficace rivisitazione della cara, vecchia pixel art, tutta disegnata a mano, che per gli autori diventa anche il modo di esprimere l’amore nei confronti degli action-adventure 2D con visuale dall’alto dell’era a 16 bit, a cominciare dai mitici The Legend of Zelda. Lo strano duo di Spindle, che collabora strettamente per superare insieme ogni sorta di ostacolo e far sì che la Morte riacquisti pian piano le abilità perdute, deve mettere insieme le tessere del mosaico e cercare di comprendere chi, come e perché abbia scatenato il caos. Per questo attraversa cinque diverse regioni, tra distese innevate, picchi montuosi e fitte foreste. Lo stesso Caronte, tra i personaggi che si incontrano nel videogame, non sembra sapere cosa stia accadendo, a parte constatare il fatto che le anime vagano indipendentemente dai corpi, il confine con l’oltretomba pare essere saltato e qualcuno è rimasto intrappolato tra le due dimensioni. La Morte ha il compito di ripristinare l’ordine ma, in un gioco teso comunque a rincuorare e ad aprire alla speranza, trova anche occasione per svagarsi, coltivare l’hobby della pesca, chiacchierare con abitanti che magari chiedono un piacere sotto forma di missioni secondarie. L’opera di Wobble Ghost, iniziata nel 2018 da un team di appena tre persone, si è potuta concretizzare con il supporto di Deck13 Spotlight, ramo editoriale della software house tedesca Deck13 Interactive rivolto agli sviluppatori indipendenti affinché possano raggiungere un più ampio pubblico. Tra i titoli finora sostenuti dal progetto: Drova, Chained Echoes, Rising Lords, Faraday Protocol e Highrise City.


PAINKILLER (3D Realms, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

In poche righe viene condensato un pezzo di storia del digital entertainment. Perché leggere Painkiller e lì vicino 3D Realms non può che scatenare un flusso di ricordi per gli appassionati di videogame non più giovanissimi, che iniziano a essere una tribù abbastanza numerosa. Sono trascorsi però due decenni dal vecchio Painkiller e ancora di più dai fasti di 3D Realms, quando Duke Nukem 3D sconvolgeva con la sua carica dissacrante gli anni ‘90. L’effetto risulta simile all’evoluzione di certe saghe cinematografiche - da Hellraiser a Nightmare, da Halloween a Venerdì 13 - che con Painikiller condividono il terreno comune di un immaginario dell’orrore dove si riflettono diversi periodi, tipologie di produzione e sensibilità. A parte i nomi, è infatti cambiato tutto. A cominciare appunto dalle figure coinvolte nella rivisitazione di un cult che contribuì all’epoca ad accendere i riflettori sulla nascente scena polacca del divertimento elettronico. Si trattava del folgorante esordio di People Can Fly, poi passato di mano in mano con i capitoli seguenti di una serie oggi pronta a riaffacciarsi sugli schermi, dopo un lungo silenzio, per mezzo di un reboot. Il nuovo Painkiller riprende alcuni riferimenti, per esempio alle iconiche armi, dal fucile che spara paletti alla falce rotante. Ma rappresenta anche e soprattutto altro: un progetto squisitamente contemporaneo in cui si ritrovano le influenze tanto dei roguelike, quanto degli ultimi Doom, con sopra un pizzico di Vermintide. La Polonia rimane centrale, dato che il testimone è stato raccolto da Anshar. Lo studio, oltre ad aver firmato il gioco di ruolo Gamedec, ha avuto occasione di collaborare allo sviluppo di titoli di primissimo piano, dagli rpg di Larian come Baldur’s Gate III ai vari horror del Bloober Team, da Observer al remake di Silent Hill 2, fino a Outriders della stessa People Can Fly, adesso impegnata sull’accesso anticipato di Lost Rift. Anshar trasforma Painkiller in un colorato first-person shooter votato al co-op, un filone online particolarmente amato da Saber, l’attuale casa madre dell’etichetta 3D Realms che attorno alla modalità cooperativa ha costruito il successo di World War Z: Aftermath, ma non solo, in attesa del prossimo John Carpenter’s Toxic Commando. Spogliato della classica campagna, sostituita da missioni ripetibili in loop alla ricerca dell’esecuzione perfetta mentre si sbloccano via via potenziamenti che modificano di continuo le run, in realtà così gli autori riallacciano alla loro maniera i ponti anche con l’old school degli sparatutto in soggettiva, recuperando lo spirito arcade delle origini tra orde di demoni, enormi boss, movimenti rapidi e virtuosismi ad alto tasso di rischio.


DEATHLESS. THE HERO QUEST (1CGS e Fulqrum, per Pc e console)

La mitologia slava splende nell’epica impresa di quattro eroi in cammino per salvare la luminosa terra di Belosvet, affrontando la forza ostile di mostruose creature per giungere allo scontro finale con Koschey l’Immortale (Deathless in inglese). Un personaggio noto anche ai lettori di Lunedì inizia sabato dei fratelli Strugackij, perché la linfa vitale degli antichi poemi russi ha alimentato secoli di letteratura, sino ai capolavori della fantascienza. La software house 1C Game Studios ha invece ricreato in Deathless. The Hero Quest un medioevo fantasy, ricco di echi e di riferimenti diretti alle leggende dell’Europa dell’Est, a cominciare dai protagonisti di un videogame pensato come il primo titolo ambientato in un universo originale destinato a svilupparsi ulteriormente in futuro. La formula adottata in Deathless. The Hero Quest mischia abilmente elementi di carte collezionabili, roguelike e strategia a turni, dispiegati come in un libro elegantemente illustrato, con in mente l’animazione sovietica e dei cartoon Disney negli anni ’60. Il folclore si spinge a modellare anche le dinamiche di gioco, trasformandosi in una materia vivida, duttile e fertile. In filigrana la narrazione è intessuta di rimandi alle fiabe, alle byline (componimenti poetici non in rima), ai racconti popolari, che hanno aiutato l’artista Roman Papsuev nell’immaginare il vasto mondo del videogame, teatro dell’eterna lotta tra il bene e il male. A fianco del primo si schierano l’incantatrice Vasilisa la Saggia, la fata Varvara convertita in cacciatrice di tesori, il guerriero Alyosha proveniente dalla favolosa città di Kitezh (luogo ben presente pure nelle pagine dei fratelli Strugackij) e il cavaliere errante (bogatyr) Dobrynya, arrivato dalla popolosa Velikograd. Il bogatyr Dobrynya Nikitic è un eroe nazionale della tradizione dell’Est, l’unico capace di tener testa al drago Gorynich, un’altra delle figure presentate in Deathless, che ha attinto anche al retaggio delle leggende slave dell’Ovest e del Sud, coinvolgendo le orribili streghe chiamate veshtitsas. Il male si incarna poi nei Leshy, i guardiani delle foreste; nei demoniaci Heretnik succhiasangue; nel drago a cinque teste Chudo Yudo, uno dei figli di Gorynich e delle sue consorti, per non parlare dei licantropi e degli spiriti acquatici, i vodyanoy. La colonna sonora è del compositore Dmitriy Silantyev, già autore delle musiche della serie di crpg Pathfinder. Uscito un anno fa per Pc, Deathless. The Hero Quest è approdato adesso su console, accompagnando ancora il viaggio degli eroi in paesaggi incantati pieni di insidie. Ogni personaggio è impegnato in proprie campagne generate proceduralmente, si trova a combattere contro nemici sempre più agguerriti e deve allestire un mazzo di carte - autentico cuore di un loop ludico che ha il suo archetipo in Slay the Spire - il più efficace possibile, per cercare di coronare con successo la quest, con molteplici variabili che entrano in partita, rendono Deathless rigiocabile ripetutamente.


ESCAPE SIMULATOR 2 (Pine Studio, per Pc e Mac)

Sentirsi intrappolati in una escape room può già essere di per sé fonte di tensione. Se poi l’edificio è niente meno che il castello di Dracula l’inquietudine è ulteriormente assicurata. Il seguito di Escape Simulator, la simulazione che nel 2021 aveva convinto per l’alto grado di interattività in ambientazioni dall’anima piacevolmente cartoon (e che continua a essere supportata con nuovi dlc), è pronto a sfidare il giocatore con enigmi ancora più difficili da risolvere e stanze (dodici in tre mondi a tema) ancora più elaborate fin nei minimi dettagli, all’insegna anche di un maggior realismo grafico, nella ricerca di un equilibrio tra le infinite potenzialità offerte dall’adattamento digitale di questo tipo di passatempo e i limiti insiti invece nelle versioni dal vivo che si possono sperimentare in carne e ossa. Pine Studio, software house di Samobor (Croazia), ha voluto coinvolgere nello sviluppo del videogame chi costruisce le vere escape room, proprio per rendere l’esperienza virtuale il più autentica possibile. Non esistono trucchi magici, ma per uscire dalle stanze occorre armarsi di logica e di spirito di osservazione (per non perdere di vista un indizio capace di rivelarsi indispensabile), pur nella libertà che ci è concessa all’interno di un videogame, che permette di allestire in un lampo un fortilizio abitato da vampiri e arredato con specchi dagli strani poteri o di viaggiare a bordo di un’astronave a gravità zero e ancora venire catapultati su un’isola popolata di pirati vecchio stampo, naturalmente con una mappa del tesoro a portata di mano, Tutte situazioni ardue da incontrare nella quotidianità per l’appassionato di escape room, diffusesi in particolare nel mondo anglosassone. In questi quattro anni la community di Escape Simulator si è dimostrata molto attiva nel progettare a sua volta una varietà incredibile di escape room fai-da-te, superiore alle quattromila, predilezione che si è riverberata in Escape Simulator 2, che offre ulteriori strumenti per dar vita alle proprie creazioni. Intanto, gli autori delle migliori stanze modellate con i tool del primo Escape Simulator sono stati invitati a fornire suggerimenti quali consulenti nelle fasi di sviluppo del sequel. Di norma, all’interno di una escape room si innesca un gioco di squadra, in cui i vari membri concorrono a trovare la soluzione. Uno spirito catturato da Escape Simulator 2, che accanto all’esperienza in singolo propone una modalità multiplayer co-op vero fulcro del titolo (fino a otto giocatori online, con chat testuale e vocale integrata per scambiarsi più facilmente le informazioni). In entrambe, l’interazione con gli oggetti e il ragionamento diventano la cifra di una simulazione che è anche una corsa contro le lancette dell’orologio. Guadagnata la libertà, ci si può riposare in sala d’attesa dove si aspetta il gruppo giocando una partita a scacchi con un amico prima di avventurarsi in un’altra escape room.


THE CABIN FACTORY (Future Friends Games, per Pc e console)

Arriva da Tokyo, dove ha sede la software house International Cat Studios, uno degli horror psicologici più intensi e inaspettati, giocato sui contrasti tra una linda ambientazione, quasi asettica, e il diavolo che si nasconde nei dettagli. Protagonista assoluta è la capanna nel bosco, il topos americano del Cabin in the Woods, varcando la soglia della quale spesso ci si prepara al cinema a un tragico destino. Non aprite quella porta, oltre a connotare l’adattamento italiano di una serie di pellicole di culto, è un consiglio sempre utile quando si giunge di fronte a un uscio che non si sa bene cosa nasconda. Solo che in The Cabin Factory non è possibile salvarsi così su due piedi. Siamo infatti ingaggiati come una sorta di esperti nel controllo qualità di casette poste su un nastro trasportatore all’interno di una strana fabbrica. Non c’è dunque il tipico scenario della natura ad alimentare l’antitesi con il male annidato nel segreto della capanna. La struttura industriale in cui ci operiamo sembra pulita ed efficiente, ma appare altrettanto inquietante e surreale. Il nostro compito è capire, esaminandone l’interno, se la costruzione in legno che si presenta di volta in volta sia infestata oppure no. L’avvertenza che ci viene fornita è verificare la presenza di ogni minimo movimento, inequivocabile indizio che la casetta non può passare la verifica. Tutto semplice? Nella pratica no, risulta facilissimo confondersi, scambiando qualcosa per qualcos’altro, ed è qui la sfida. Occorre aguzzare la vista perché i particolari contano. Si può sbagliare per eccesso di zelo, segnalando come infestata una capanna al contrario perfetta per essere immessa sul mercato, oppure per carenza di attenzione, dando l’ok a quella che nasconde la dimora di mostri inquietanti. Il computer è implacabile nel valutare le nostre azioni, restituendo parallelamente una riflessione sul lavoro all’epoca degli algoritmi. In The Cabin Factory gli autori hanno esplicitamente omaggiato fenomeni multimediali come The Exit 8, dove ci si risveglia intrappolati nel loop di un comune sottopassaggio giapponese, e Pools, in cui provare a individuare la via di uscita tra architetture disorientanti, nonché le radici dell’horror in soggettiva piantate da P.T. di Hideo Kojima e Guillermo del Toro. Titoli con cui condividono anche la paura di trovarsi in uno spazio ristretto che sappiamo essere in astratto pericoloso. Potrebbe sembrare un gioco inutilmente ripetitivo. Invece non lo è.


CASTLE OF SECRETS (Wandering Wizard, per Pc)

Dal fantasioso Castello di Otranto, dove Horace Walpole ha ambientato il romanzo considerato l’iniziatore della letteratura gotica, al reale Castello di Bran in Romania, identificato apocrifamente come la dimora del Conte Dracula di Bram Stoker, i manieri sono un elemento ricorrente delle storie da paura, archetipo del prolifico filone delle case infestate. In Castle of Secrets all’architettura protagonista si affianca un altro topos, il gatto nero, qui in una versione parlante. Sviluppato da Serene Questworks Studio, con sede a Odessa in Ucraina, Castle of Secrets è un’avventura che unisce in maniera ricercata scenari 3D e personaggi 2D disegnati. La giovane Susan torna nel castello di Trantons per capire cosa sia veramente successo alla sua famiglia, dove da figlia unica aveva vissuto un’esistenza felice prima della prematura e sospetta morte del padre, Mr. Grinn. Oppressa dal lutto, la madre era stata convinta da qualcuno in apparenza mosso da buoni sentimenti a risposarsi per provare a sconfiggere quel dolore paralizzante. Miss Susan aveva invece accolto così in casa l’arrivo un patrigno violento e crudele, al di là della facciata di amabilità. Quando la madre precipita da un balcone, si è trattato di un gesto estremo della donna o è il risultato di una spinta dolosa? E, in un rincorrersi di misteri, quale il destino dello scaltro Mr. Austin? Susan è decisa a indagare, cercando gli indizi nel labirintico edificio, esplorando le stanze e procedendo con la soluzione degli enigmi come in un tradizionale punta e clicca. Il filo conduttore viene offerto dai dialoghi con chi, vivo o trapassato che sia, è possibile incontrare, varcando una soglia del castello in un continuo materializzarsi di incubi e sensi di colpa. Aleggia una maledizione sul maniero? Mr. Grinn è stato ucciso? Se sì, da chi e perché? Forse nessuno è totalmente innocente, in un giallo psicologico nel quale le scelte della protagonista influenzano il finale.

Riccardo Anselmi

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI