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LA RIFLESSIONE

Il vescovo Solmi ripercorre le parole di Papa Francesco in tv

Il vescovo Solmi ripercorre le parole di Papa Francesco in tv

di Vescovo Enrico Solmi

08 Febbraio 2022, 03:01

Un Papa che non guarda la televisione e va in televisione in prima serata a «Che tempo che fa». Con una coda di commenti, di ringraziamenti, e qualche mal di pancia. Ma alla fine, un successo globale per i contenuti, la confidenza familiare con cui entra nelle case all’ora di cena. Sembra avere un nuovo ospite alla tavola. Si fa capire, parla chiaro, senza bloccare la digestione, tocca temi importanti con garbo e verità, al punto che piace ascoltarli e quasi c’è il rammarico quando smette e passa a parlare d’altro. D'altronde è un tratto suo proprio. Lo confessa e alla domanda: «Lei ha dei veri amici?». «Sì - risponde -, ho degli amici che mi aiutano, conoscono la mia vita come un uomo normale, non che io sia normale, no. Io ho delle mie anormalità eh, ma come un uomo comune che ha degli amici; e a me piace stare con gli amici qualche volta a raccontare cose mie, ascoltare quelle di loro, ma anzi io ho bisogno degli amici».

Si presenta così e viene ricambiato. «Stiamo ascoltando il Papa, come sarebbe bello poterlo incontrare», sintetizza il pensiero di tanti, una mamma di tre figli con il papà in cielo. E’ un whats app in mezzo alla loro cena. Papa Francesco entra nelle case di sei milioni di italiani, con la meditata interlocuzione di Fabio Fazio con un pubblico - tocchi di abito nero da udienza pontificia - che sa applaudire ed anche alzarsi al tempo giusto. Dà l’impressione di un copione articolato, che si innesta bene nei desideri di chi si è sintonizzato, sa toccare i cuori con i grandi temi, cari sia al Papa che a questo uditorio. Un feeling che parte subito con l’ammissione serena di fatiche condivise da tutti, Papa e gente, nell’affrontare la vita quotidiana: «Non sono un campione di peso che sopporta le cose».

Una consapevolezza franca della vita di tutti, delle famiglie. La conversazione è bella e fluida e, come diceva la pubblicità di una nota marca di caramelle, non ha bisogno di essere incartata, confezionata, ma solo ascoltata, riletta. Spiccano alcune linee che possono accompagnarci a riassaporarla. E’ ricorrente il riferimento ai bambini. I bambini oggetto di indifferenza, di bullismo, desiderosi di un papà e di una mamma che giochino con loro e ai quali rivolgersi per chiedere e fare domande. Il Papa è schietto: «Da quanto tempo lo Yemen soffre la guerra e da quanto si parla dei bambini dello Yemen?» e denuncia «la cultura dell’indifferenza e i bambini che muoiono».

Riemergono immagini dolorose e tragedie non evidenziate adeguatamente, perché, come denuncia, «ci sono categorie che importano e altre sono in basso: i bambini, i migranti, i poveri, coloro che non hanno da mangiare». Si preferisce parlare di guerra, aggiunge, puntando il dito contro le armi, chi le fabbrica e le commercia, mentre: «In un anno senza fare armi, si potrebbe dare da mangiare ed educazione a tutto il mondo, in modo gratuito».

La guerra assume il carattere anti umano, contraria alla creazione, distruggitrice di una umanità che cresce. Proprio sui bambini grava una domanda pesantissima, che il Papa non sfugge, anzi la presenta disarmato: «Perché soffrono i bambini?». «Io non trovo spiegazioni a questo», ammette il Papa. «Io ho fede, cerco di amare Dio che è mio padre, ma mi domando: “Ma perché soffrono i bambini?”. E non c’è risposta. Lui è forte, sì, onnipotente nell’amore. Invece l’odio, la distruzione, sono nelle mani di un altro che ha seminato per invidia il Male nel mondo... “Perché soffrono i bambini?”, io trovo una sola strada: soffrire con loro».

Una domanda coraggiosa, oso dire, evangelica: Gesù non sfugge mai le contraddizioni e il dolore, come quello recato dalla morte dell’innocente, e lo fa proprio, lo carica su di sé. Tenendo sullo sfondo i bambini, possiamo inanellare i temi centrali dell’intervista in un unico filo, tanto caro a Papa Francesco, e lo possiamo trovare nella Misericordia. E’ intesa come farsi carico, chinarsi su chi è nel bisogno per donare aiuto e ricavarne un sostegno reciproco. Riconduco qui - perché Misericordia e giustizia vanno insieme - le parole chiare sulla migrazione e il coraggio di parlare di lager - parola che ribadisce - in Libia. Così del Mediterraneo «il cimitero più grande d’Europa» e la necessità di superare l’ingiustizia attuale: «Vengono in Spagna e in Italia, i due Paesi più vicini, e non li ricevono altrove. Il migrante va sempre accolto, accompagnato, promosso e integrato. Accolto perché c’è la difficoltà, poi accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo nella società… Dobbiamo pensare intelligentemente alla politica migratoria, una politica continentale».

E la considerazione del calo demografico riporta il tema sui figli, sui bambini, e sul contributo che possono dare le persone immigrate. Misericordia è toccare le miserie. Il tatto, come il senso che maggiormente consente la condivisione che fa guadare negli occhi chi chiede aiuto. E’ l’atteggiamento di chi guarda dall’alto in basso, ma lo fa solo per «aiutare a rialzarsi». E non mancano esempi forti di chi invece domina: «Pensa soltanto - è una storia triste, ma di tutti i giorni - a quegli impiegati che devono pagare col proprio corpo la stabilità lavorativa, perché il loro capo li guarda dall’alto in basso, ma per dominarli. È un esempio di tutti i giorni».

Mi piace rimarcare il verbo «pensa». Lo troviamo spesso, non tanto come una interlocuzione banale, ma come un invito ad entrare dentro, a lasciarsi coinvolgere dalla riflessione che il Papa ci propone: anche questo genera un atteggiamento misericordioso creando una cultura condivisa del farsi prossimo.

La Misericordia è atteggiamento umano proveniente da Dio - come il Papa stesso tante volte ha detto - che si espande, con una gradualità precisa, al di là degli uomini e delle donne, anche al creato, alla terra e al mare, la casa dell’umanità. «Il fiume non canta perché non c’è più»: è il monito che Papa Francesco ci lascia con la canzone di Roberto Carlos. Non può mancare nella Misericordia il perdono e il Papa risponde ad una domanda, per qualcuno un’affermazione scontata: «C’è qualcuno che non merita il perdono e la misericordia di Dio o il perdono degli uomini?», chiede il conduttore. «La capacità di essere perdonati è un diritto umano. Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati se chiediamo perdono. È un diritto che nasce proprio dalla natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini». Parole forti, forse, l’olio essenziale della Misericordia. La Misericordia è tenerezza di mamma e fedeltà tra le persone. Mi piace - forse forzando - trovare nel contesto della misericordia domestica la risposta a «perché pregare?», domanda posta sul finire dell’intervista. «Pregare è quello che fa il bambino quando si sente limitato, impotente, [dice] “papà, mamma”. Chiede i suoi perché, ma il bambino non aspetta la risposta del papà, quando il papà incomincia a rispondere va a un’altra domanda. Quello che vuole il bambino è che lo sguardo del papà sia su di lui. Non importa la spiegazione, importa solo che il papà lo guardi, e questo gli dà sicurezza».

Preghiera che è di tutti e che il Papa invoca per Lui centuplicata: «Cento preghiere», chiede parafrasando «Miracolo a Milano»; preghiera che rende la Chiesa pellegrina e lontana dal clericalismo «che porta a posizioni ideologicamente rigide che prendono il posto del Vangelo».

Si riprende a cenare o si commenta con Jorge Bergoglio, che parla di chimica, di tango e di musica, della sua vita da porteno. Lascia una sensazione intrigante, bella, come di uno di noi che è venuto a farci visita e ha lasciato qualcosa di buono e che ci piacerebbe tornasse ancora.

Enrico Solmi

Vescovo

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