Lutto
«Ost e latär», un bel binomio specie nella Parma di una volta. Ed anche se trattavano due generi completamente in antitesi (vino e latte) le loro figure avevano un punto in comune.
Infatti, sia osti che lattai, frequentavano la straordinaria «università dei borghi» che li portò a conseguire la laurea della vita. Una laurea importante che, per essere conseguita, rendeva necessario stare in mezzo alla gente, conoscerla, capirla, molte volte aiutarla e ascoltarla. Arturo Soncini, scomparso nei giorni scorsi all’età di 83 anni, per buona parte della sua vita ha affiancato la figlia Sonia nella gestione della mitica latteria oltretorrentina n° 66 di via Imbriani. Un pianeta nel pianeta «de dla da l’acua».
Parmigiano del sasso, figlio di una «rezdóra» e di un operaio, Arturo iniziò subito da ragazzo a lavorare come imbianchino, poi facchino al mercato della frutta che, un tempo, era in «Giära», per poi essere assunto come netturbino. Una volta andato in pensione, Soncini, decise di fare il lattaio a tempo pieno in quella fettina di Parma che adorava e dove aveva anche abitato.
Carattere aperto, «s’cètt cme al lambrùssch», amante della compagnia, battuta sempre pronta in «djalètt pramzàn», era divenuto un punto di riferimento per la gente della strada molta della quale frequentava la latteria come tantissimi personaggi tra i quali noti melomani e le ultime schegge di quella parmigianità dura a morire. Incarnava davvero lo spirito parmigiano, Arturo, non solo per la sua innata generosità e simpatia che lo portò ad essere amico del «mat Sicuri» il quale, piuttosto taciturno e finto-burbero, con Arturo, si lasciava andare a battute spassose.
Si dava da fare per tutti, Soncini, e a volte si offriva di accompagnare i bimbi nella vicina scuola «Cocconi» quando i genitori erano impossibilitati a farlo. Tifoso del Parma, ma con il cuore che gli batteva per la Juve, amante della buona tavola, ottimo cuoco, era in grado di stupire i commensali cucinando la cacciagione sfumando le carni con quel vinello che sapeva solo lui.
Abile fungaiolo raccoglieva le sue prede per poi conservarle sott’olio come pure faceva con le cipolline novelle. Insomma, un gran bel personaggio, Arturo, che era entrato nel cuore di tanti parmigiani in quanto incarnava alla grande, il pathos, per dirla con Renzo Pezzani, «dla génta pramzana».
Era molto legato alla famiglia: alla moglie Bruna, con la quale si era sposato nel 1963, ai figli Sonia e Sergio, ai nipoti Sebastiano e Maddalena e all’adorato pronipotino Filippo, «un tòch dal so cór».
Lorenzo Sartorio
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