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Intervista

La pianista ucraina Anna Kravtchenko a Parma: «Prego per la pace e suono Caikovskij»

La pianista ucraina Anna Kravtchenko a Parma: «Prego per la pace e suono Caikovskij»

di Mara Pedrabissi

25 Marzo 2022, 03:01

«Prego ogni momento per la pace», ripete Anna Kravtchenko, ucraina, nata 46 anni fa - con un talento fuori dalla norma tra le dita - a Charkiv, città che, fino a un mese e mezzo fa, pochi avrebbero saputo indicare su una cartina. Nel 1992, a 16 anni, ha vinto il premio internazionale «Ferruccio Busoni», per i pianisti un Oscar. Lo ha vinto con la giuria all'unanimità (fatto raro) e dopo che per cinque anni non veniva assegnato il primo premio.

Un lasciapassare per l’Italia: Kravtchenko si è trasferita qui; è cittadina italiana, si divide tra Rovereto, specie d'estate, e Lugano dove da nove anni insegna al Conservatorio. In mezzo, ci sono le tournée: lunedì sarà a Parma per inaugurare «Folksongs», la rassegna della Società dei Concerti alla Casa della Musica. Ne parliamo con la pianista, in una chiacchierata surreale tra musica e guerra, tra il presente della realtà che addolora e la bellezza assoluta dell’arte che lenisce. Anna usa le parole con dolcezza: «Dolce io? - si schermisce - A volte. Mi vedo più “controcorrente”, voglio sempre arrivare da sola, per scoprire poi che l’acqua calda era già stata scoperta».

Signora Kravtchenko, quando si è resa conto che la musica era la sostanza della sua vita?

«Fu mia mamma a farmi conoscere il pianoforte, fisicamente. Mi ci accostava, io sfioravo i tasti. Avevo quattro anni; mamma non era pianista ma desiderava per me un futuro da pianista. La passione arrivò verso i nove anni, quando scoprii che potevo esprimermi attraverso la musica: allora, è sbocciato il desiderio di suonare sempre di più, di ampliare sempre più i miei orizzonti. Sì, sono grata a mia madre perché senza la musica non sarei nulla, non sono brava in nessun'altra materia!».

Questi primi ricordi risalgono all'infanzia in Ucraina. Poi è venuta in Italia.

«Dopo il premio “Busoni” avevo l'opportunità di tenere molti concerti. Erano i primi anni Novanta, in Ucraina era difficile ottenere i visti per partire, c’erano molte restrizioni, mi capitava di perdere delle occasioni di lavoro. Decisi di trasferirmi».

Sola o con la famiglia?

«Sola. Dovevo cucinare, pagare le bollette, studiare…».

Aveva 19 anni, sola in un Paese straniero. Come ricorda l’accoglienza degli italiani?

«Entrai all'Accademia pianistica di Imola, che all'epoca era una realtà recente. Il direttore, il maestro Franco Scala, era una persona molto gentile. Io entrai come una piccola “star”, per cui nell’ambito dell’Accademia era ben inserita, mi trattavano con rispetto. E, fuori, la vita normale era normale. Per questo amo molto l’Italia e la sua umanità: ricordo quegli anni come felici e molto produttivi».

Stiamo vivendo, tutti noi, giorni drammatici. Possiamo immaginare il suo strazio.

«Sto vivendo momenti molto difficili. Mia cugina se ne è dovuta andare a Leopoli, in un treno oscurato, sotto i bombardamenti, ha gli incubi tutte le notti. Vedere le immagini della mia città natale così straziata è un durissimo colpo per il mio cuore e prego ogni momento che non ci siano più vittime innocenti. Quello che stiamo vivendo è surreale e barbarico. Posso solo pregare».

Chi ha in Ucraina, i suoi genitori?

«Mamma vive a Rovereto e papà vive a New York, non ho fratelli. In Ucraina, come dicevo, c’è la mia carissima cugina Caterina... spero mi possa raggiungere presto».

Lei conosce meglio di noi i rapporti tra Russia e Ucraina. Si aspettava questo conflitto?

«Assolutamente no, è stato uno shock. Confido che le cose si risolvano con il dialogo non con le armi, spero finisca la strage di persone innocenti».

Papa Francesco è stato invitato a Kiev: la visita del Pontefice le darebbe speranza?

«Sono cristiana ortodossa, il Papa ci dà già speranza perché ci è sempre molto vicino. Certo, se andasse a Kiev, sarebbe un grande segno ma io preferirei che non si esponesse al pericolo delle bombe. Il Papa è vicino a Dio e vicino a noi nello spirito».

Lunedì porterà a Parma la pace della musica. In programma ha messo anche Caikovskij, un russo: dunque non è per la “cancel culture”, il boicottaggio culturale.

«Caikovskij non conosceva Putin e dunque lo posso suonare molto tranquillamente (sorride, ndr). In realtà, ho scelto Le Stagioni di Caikovskij perché sono pagine molto fresche, con all’interno numerosi motivi ucraini, poi ci ritrovo echi di Schumann che si accostano bene al “Carnaval” che pure eseguirò. Sarà un concerto che farà sognare, in un’atmosfera antica».

Qual è il suo compositore preferito?

«Oh, non posso dirlo perché mi innamoro, a fasi, di un compositore e poi di un altro... Ecco, forse Mozart è l’intoccabile».

Torna a Parma dove è già stata, anche al Teatro Regio che è il tempio della lirica e di Giuseppe Verdi. Le piace la lirica?

«Sì, la lirica mi piace molto perché in fondo anche noi pianisti facciamo “cantare” il pianoforte. E le opere del maestro Verdi mi piacciono tutte... se devo scegliere, direi “Rigoletto” e “Traviata”».

Due opere della “trilolgia popolare” in cui è dominante il tema familiare, degli affetti, il rapporto padri-figli. È una scelta casuale?

«Forse, inconsciamente, rispecchia il mio attaccamento alla famiglia. La famiglia è la base della vita».

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