CONVEGNO
Rappresenta un importante problema sociosanitario ed è la causa di circa 300 milioni di infetti al mondo e di più di un milione di decessi all’anno.
Dell’infezione da HBV, nota a chiunque come epatite B, si conosce (ancora) troppo poco, anche se l’evoluzione delle terapie e della ricerca in questo ambito, nel tempo, è andata avanti.
Lo ha spiegato, ieri pomeriggio, Carlo Ferrari, direttore di Malattie infettive ed epatologia, che, insieme alle dottoresse Simona Schivazappa, Federica Brillo, Arianna Alfieri, Carolina Boni e Paolo Fisicaro (tutte della stessa struttura), ha approfondito i temi nell’incontro aperto al pubblico intitolato «La ricerca sull’epatite B: dalle terapie attuali alle prospettive terapeutiche future».
Esistono regioni del mondo in cui l’infezione è più frequente rispetto all’Italia, in cui la prevalenza è bassa («1% della popolazione) e anche per questo il virus dell’epatite B, in generale, causa un alto numero di morti. «Si sta facendo tanto perché, fino a qualche anno fa, la ricerca nel campo delle epatiti è stata focalizzata soprattutto sullepatite C, su cui si sono ottenuti grandissimi risultati – ha spiegato Ferrari -. Adesso, invece, la ricerca, sia accademica, sia industriale si sta focalizzando sulla B, perché esistono quasi 300 milioni di pazienti infetti al mondo che dovrebbero essere curati. Ci sono già delle buone terapie che, però, richiederebbero di essrere migliorate, soprattutto per la durata del trattamento (che è quasi a vita per tutti i pazienti e che, quindi, li condiziona fortemente). Ci sono margini molto importanti di miglioramento e qualcosa è stato fatto».
E, in effetti, nel corso dell’esposizione il direttore ha illustrato diversi elementi di progresso e di sviluppo in questo ambito. «Per poter comprendere al meglio le terapie innovative bisogna considerare come l’organismo ci difende dall’epatite B», ha chiarito Ferrari, che ha spiegato come esistano «due braccia del sistema immunitario» in grado di proteggere (una parte, detta «immunità innata», ha la capacità di difenderci immediatamente). Come spiegato dallo specialista, dopo l’infezione, se il soggetto riesce a esprimere risposte immunitarie efficienti si guarisce, ma se invece in queste fasi precoci queste sono inefficienti il virus persiste e l’infezione si cronicizza. «Che cosa abbiamo a disposizione per le epatiti croniche? Due possibilità – ha specificato Ferrari -. Un trattamento di breve durata con interferone (che presenta diversi effetti collaterali, anche se viene somministrato per un anno), mentre l’altra terapia a disposizione, oggi più ampiamente usata, si basa su analoghi nucleosidici, che ha pochi effetti collaterali, ma che deve essere somministrata a vita».
Da qui, l’aggiornamento sulle terapie future, che rappresentano progetti terapeutici che saranno avviati localmente nei prossimi mesi (per il loro sviluppo ha partecipato il gruppo di ricerca Malattie infettive ed Epatologia, con l’affiliazione sia dell’azienda ospedaliero-universitaria, sia dell’università di Parma). E proprio a riguardo delle terapie del futuro, Ferrari, nel corso della conferenza ha esposto i tre lavori: lo Studio 1, approvato e finanziato dalla Commissione europea Horizon 2020, vuole migliorare la risposte del sistema immunitario stimolando i recettori dell’immunità innata; lo Studio 2, anche questo approvato a finanziato da Horizon 2020, vuole stimolare l’immunità adattiva con vaccino terapia per espandere i linfociti B e T specifici; infine, lo Studio 3, approvato e finanziato nell’ambito dei programmi di Ricerca finalizzata Regione-università, ha come obiettivo quello di correggere dei difetti funzionali intracellulari dei linfociti B e T per potenziare l’immunità adattiva.
«I progetti vedranno coinvolti, oltre al nostro, diversi centri di riferimento per la gestione dei pazienti con epatite B, nazionali e internazionali, e sono finalizzati a valutare nuove strategie terapeutiche per la cura dell’infezione, risultate altamente promettenti in precedenti studi preclinici e clinici – ha concluso Ferrari -. Si aprono scenari nuovi che speriamo possano servire a chi ha questo tipo di problema».
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