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Intervista

Enrico Letta: Parma ha una vocazione europea

Enrico Letta: Parma ha una vocazione europea

di Claudio Rinaldi

17 Maggio 2022, 03:01

Il dramma della guerra e le prospettive di pace, la tenuta del governo Draghi e i rapporti con i 5 stelle, l’alleanza Pd-Effetto Parma e la vocazione europea della nostra città. Il segretario del Pd Enrico Letta, a Parma per una serie di impegni istituzionali – organizzati dal consigliere regionale Matteo Daffadà, dall’assessore Barbara Lori e dal Pd di Parma –, è stato in visita alla redazione della «Gazzetta». Lo abbiamo intervistato sui temi del momento.

Come pensa che potremo uscire dalla guerra?
«Da qualche giorno si respira un’aria un po’ meno cupa, meno pessimista. Spero che questo consenta di fare significativi passi avanti. Credo che sia stato molto importante il viaggio di Draghi a Washington. E anche che la decisione di Svezia e Finlandia di chiedere l’ingresso nella Nato abbia smosso acque: sia per i toni molto secchi con cui lo hanno deciso e annunciato, sia per il fatto che è una cosa di portata davvero enorme, se si pensa che, dopo il Vaticano e la Svizzera, sono sempre stati i paesi più neutrali al mondo. Se hanno deciso di fare questo passo, significa che la minaccia di Putin è talmente evidente che non hanno avuto scelta».

Come prevede che reagirà la Russia?
«Spero che questo la spinga a riflettere sull’errore commesso e a trovare una via d’uscita».

Lei ha detto più volte che non vuole sentire parlare di «guerra per procura».
«Confermo. Perché tutto questo c’è perché gli ucraini stanno resistendo, stanno morendo. Mi ricordo benissimo che durante la prima settimana di invasione, tutti – anche i più grandi esperti occidentali – contavano i giorni in attesa della fuga di Zelensky da Kiev per riparare a Varsavia. Questo non è accaduto perché la macchina da guerra russa si è rivelata estremamente arrugginita, invecchiata, poco efficiente: come tutto in Russia. E, soprattutto, perché le motivazioni i russi non le avevano: le hanno gli ucraini, che lottano per la loro libertà».

Quando pensa che sarà possibile aprire un negoziato? Gli Stati Uniti pretendono il cessate il fuoco: Putin lo accetterà?
«Impossibile fare previsioni, soprattutto da parte nostra, visto che non abbiamo il flusso di informazioni necessario. Spero il più presto possibile e spero soprattutto che il negoziato porti a una pace vera, non a una stabilizzazione del conflitto, abbassato di intensità ma non interrotto. La storia dimostra che la logica dei “frozen conflicts” non funziona, è deleteria e porta instabilità. Basta guardare cosa succede in Ossezia del sud, in Abkhazia, in Transnistria: sono aree deperite, senza minimi segnali di benessere, di crescita».

Il tema della guerra, e soprattutto dell’invio di armi all’Ucraina, è l’ennesimo che fa scricchiolare la tenuta del governo. Come minimo, le posizioni sono molto diverse. Finora Draghi è andato dritto per la sua strada. Ma lei è davvero convinto che durerà fino alla scadenza naturale?
«Credo che la recente missione di Draghi a Washington e l’iniziativa, molto forte, per la pace che il governo sta prendendo siano la dimostrazione che le misure assunte precedentemente erano necessarie per aiutare gli ucraini a resistere e rendere possibile un negoziato. Tenendo presente che un negoziato non può che avvenire tra due parti entrambe in piedi. Se una parte si sta arrendendo a un’altra che ha invaso è una resa, non un negoziato. Alla luce di tutto questo, secondo me è stato giusto supportare la resistenza ucraina, così come oggi è giusto spingere verso la pace come ha fatto Draghi negli Stati Uniti».

Pensa che le recenti uscite di Conte siano un modo per riacquistare visibilità, o crede sia davvero convinto che sia sbagliato inviare armi e nutrire dubbi sulla linea tenuta finora dall’Italia?
«Non sono sorpreso. Esiste, negli elettorati e nei gruppi dirigenti, nell’anima profonda dei nostri partiti, una grande fatica sui temi della guerra e della pace. Esiste nel mio partito e, a maggior ragione, nei 5 stelle, che hanno avuto in passato posizioni più estreme, radicali. Trovo naturale che ci siano necessità di approfondimento e anche posizioni diverse».

Quanto è solida l’alleanza Pd-M5S? Non tutte le anime del Pd sono convinte che valga la pena di andare avanti insieme.
«Sono convinto che a livello nazionale vada confermata. Sui territori da qualche parte ci sono problemi – penso al caso di Piacenza – da altre parti funziona bene. In queste elezioni amministrative si è estesa rispetto a ottobre e questo è un segnale positivo».

Calenda ha detto che lei ha «una soglia alta del fastidio». E si chiede come si fa a non essere infastiditi da Conte.
(Ride) «È una battuta simpatica e la prendo come tale. In politica la pazienza è una qualità fondamentale: se uno non è paziente non può costruire nulla di solido».

E intanto i prezzi dell’energia sono alle stelle, con aziende in crisi e tutti noi toccati nel portafoglio. Che mesi ci aspettano? Cosa può fare il governo?
«La cosa importante è che il governo ha dimostrato di considerare la questione come prioritaria. Il decreto approvato due settimane fa è importante, aiuta concretamente le famiglie e le imprese. Quello che mi spaventa di più in assoluto è che alla crescita del prezzo dell’energia si affianchi il rialzo dei tassi di interesse. Adesso è fondamentale che il governo continui in una strategia globale di indipendenza energetica e che lavori sul tema del risparmio energetico, a prescindere dalla guerra. Il futuro del Paese sta anche nel costruire edifici che non disperdano energia, nel puntare sulle rinnovabili. La guerra può giocare da acceleratore, così come la pandemia ha accelerato l’uso delle nuove tecnologie. Due anni fa nessuno sapeva cosa fosse Zoom e tante altre applicazioni che oggi usiamo tutti».

A Parma il Pd si è alleato con Effetto Parma, dopo dieci anni di opposizione. Lei cosa ne pensa? E cosa risponde a chi dice che è un’alleanza poco naturale e imposta dall’alto, in particolare da Bonaccini?
«In questa mia visita a Parma ho verificato una cosa di cui ero già certo da mesi: è un’intesa vera. Una volta che si è rotto l’argine delle cose del passato, l’alleanza si è costruita con grande solidità. Oggi c’è un’ottima sintonia tra le liste che sostengono Guerra. Penso che sia la persona giusta, che sarà il sindaco di Parma per i prossimi dieci anni. E il Pd, per la prima volta nei suoi quindici anni di storia – è nato nel 2007 – sarà centrale a Parma, dopo essere stato troppo a lungo marginale. Osservando Parma dall’esterno, ho sempre pensato che Pizzarotti fosse una persona molto interessante e che in fondo il suo successo fosse anche un simbolo dei problemi di un Pd che forse aveva bisogno di essere scosso: non parlo tanto di Parma, ma in generale. Pizzarotti è uno che avrebbe benissimo potuto essere nel Pd, e che invece nel Pd non aveva trovato spazio».

Che consigli dà a Guerra?
«Uno solo: di battersi per rendere Parma ancora più consapevole della propria vocazione europea. Penso da sempre che il Paese non valorizzi abbastanza questa caratteristica di Parma, che è abbastanza unica, grazie a eccellenze come l‘Efsa e il Collegio Europeo. Vale la pena di insistere: la vocazione europea di questa città è importante, anche come polo di attrazione, e all’altezza della sua storia, che non è quella di una provincia italiana qualsiasi, ma di una delle capitali europee. Se Guerra avrà bisogno, sarò a disposizione per aiutarlo».

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