Saveriani
Martedì era voluto uscire. E davanti a un campo di grano, aveva richiesto una spiga: «Se il seme di grano non cade per terra e non muore - aveva sussurrato - non porta frutto».
E dopo tre giorni padre Silvio Turazzi ha chiuso gli occhi per sempre. Una vita, la sua, piena di germogli, coltivati con la sua forza: «Amava tutti senza chiedere nulla - dice commossa Edda Colla -. Amava con coraggio». E' morto nella casa «Fraternità Missionaria» di Vicomero, che insieme ai suoi collaboratori aveva fondato per accogliere studenti africani e poi famiglie africane, grazie all'associazione Muungano onlus. Nato il 14 agosto 1938 nella frazione di Stellata, nel comune di Bondeno, aveva frequentato le scuole, il liceo e la Teologia nel Seminario Diocesano di Ferrara. Ordinato presbitero il 30 maggio 1964, è entrato in noviziato, il 2 ottobre 1966.
Dopo la prima professione missionaria e religiosa a San Pietro in Vincoli (15 settembre 1967) è stato membro della comunità del Centro Saveriano di Animazione missionaria a Parma (Csam) e incaricato di «Mani Tese», fino al 1° maggio 1969, giorno del grave incidente stradale a Corcagnano che lo ha lasciato paralizzato per sempre. «Abbiamo vissuto la missione prima fra i baraccati a Roma poi a Goma e quindi a Vicomero - continua Edda Colla -. In Congo siamo rimasti dal 1976 al 1994: qui abbiamo lavorato in un centro per diversamente abili, abbiamo realizzato attività sociali, una scuola, la falegnameria e ci siamo occupati di un centro per bambini malnutriti. Poi due anni fa era finito all'ospedale perché si era rotto il femore ed era risultato positivo al Covid».
E proprio dall'ospedale padre Silvio Turazzi aveva inviato alla Gazzetta di Parma una sua riflessione: «Osservo ammalati e personale medico. Ascolto il ritmo di chi porta il casco-ossigeno. Vedo correre delle “gazzelle di Parma”, giovani donne e uomini. Tanti vengono dal sud o da altri paesi. Portano una tuta bianca da astronauti, così la chiamano, ma dentro c’è un cuore empatico...dove c’è amore, lì c’è Dio». Nel 1993 padre Silvio Turazzi ha ricevuto il premio Cuore Amico per i sacerdoti missionari. Dal 1993 al 2008 è stato impegnato come direttore spirituale della comunità del Teologato internazionale di Parma. Nel 2012, per la festa di Sant'Ilario, gli è stato consegnato anche l'attestato di civica benemerenza, per la sua esemplare dedizione. E padre Silvio aveva ringraziato: «Faccio parte della famiglia dei missionari saveriani, legata a Guido Conforti, cittadino e vescovo di Parma oggi santo, impegnata a vivere sulle orme di Gesù i valori del Vangelo in vari Paesi. Ho accettato il premio Sant'Ilario perché ho sentito l'amicizia di tante persone che mi hanno aiutato e accompagnato in questi anni; ma soprattutto perché nell'attenzione ai più deboli, a cui appartengo per il mio handicap, la città di Parma manifesta la sua dignità. Ripartire dagli ultimi, da chi più soffre e meno ha, è segno di civiltà... Ringrazio la comunità di Vicomero e la fraternità Muungano con cui condivido l'ideale di un mondo fraterno».
Padre Alfredo Turco, superiore regionale delle Comunità saveriane d'Italia, ricorda: «Nonostante fosse su una carrozzina da più di 50 anni, padre Silvio è riuscito a mettere insieme persone nella missione. Un uomo di grande speranza con una bella visione della chiesa e della comunità saveriana. Una chiesa concreta e in uscita, come dice il Papa (che padre Silvio aveva incontrato nel 2019 con Eugenio Melandri). E la porta di padre Silvio è sempre stata aperta».
La consigliera comunale Daria Jacopozzi lo definisce «un tessitore silenzioso e umile di fraternità. Tanti e tante, a Parma e nel mondo, stanno ringraziando padre Silvio: ci ha insegnato che da soli siamo impotenti». L'ultimo ricordo è del vescovo Enrico Solmi: «Padre Silvio è un grande testimone: riconosco in lui una vita profondamente fondata e protesa al Vangelo che lo ha portato ad essere ancora missionario in Africa e a Parma, ad essere accogliente, disponibile e creativo. Un vero testimone che può essere di esempio a tutti in questo tempo che vuole essere di ripresa. Una testimonianza nella sofferenza - descritta anche nelle ultime riflessioni sulla pandemia - vissuta giorno per giorno con dignità e fiducia nel Signore che non gli ha fatto mancare la vicinanza di persone buone».
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