MALTRATTAMENTI
Era su di lei che sfogava le sue frustrazioni. I suoi rancori per un lavoro perso e mai poi ricercato con grande determinazione. Era contro di lei che alzava la voce e menava le mani quando aveva troppo alcol in corpo. Ma lei non ha mai osato puntare il dito contro il marito: paura per sé ma soprattutto per la figlia, non ancora maggiorenne. Finché il 17 agosto 2019 l'allarme viene lanciato dai vicini. E quando arrivano gli agenti e trovano la donna con una guancia particolarmente arrossata e il viso coperto di lacrime, tutto pare già tristemente chiaro. E ieri l'uomo - 40enne, indiano - è stato condannato a 2 anni per maltrattamenti. Il collegio, presieduto da Gennaro Mastroberardino, gli ha concesso la sospensione della pena purché entro il 60esimo giorno dal passaggio in giudicato della sentenza cominci a frequentare un percorso di recupero in enti o associazioni che si occupano di persone condannate per maltrattamenti. Il 40enne è stato invece assolto dall'accusa di calunnia, mentre è stato dichiarato il non luogo a procedere per l'imputazione di tentata violazione di domicilio, vista la mancanza della querela.
Perché la storia si era presentata molto più complessa. Quel giorno d'agosto, quando la situazione era esplosa, l'uomo si sarebbe poi precipitato a casa dei vicini entrando nell'appartamento. Si erano sentiti minacciati, e il 40enne è finito sotto processo per violazione di domicilio. Il tribunale ha poi riqualificato il reato in tentata violazione di domicilio: un'accusa riconosciuta, ma non procedibile perché non c'è stata querela.
La calunnia? Legata alle parole che il 40enne avrebbe pronunciato davanti al medico di Pronto soccorso: si era presentato con alcune lesioni sul corpo e aveva spiegato che era stato il vicino a spingerlo dalle scale. Un'accusa che però è caduta.
Sono rimasti quei due anni di sopraffazione. Di quella violenza, fisica e psicologica, che ha segnato la vita della famiglia. Eppure lei ha deciso di rimanergli accanto.
G.Az.
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