Parla l'ex presidente
Pietro Pizzarotti è stato presidente del Parma sino a due anni fa. Ora è socio di Nuovo Inizio, il gruppo dei («magnifici») sette che avevano rifondato il Parma; che avevano scalato, anno dopo anno, il mondo dell'italica pedata dalla D alla A; che avevano ottenuto due salvezze da incorniciare; che hanno ceduto poi la maggioranza del club all'attuale presidente Kyle Krause; e che fanno ancora parte della società con una quota minima. Di fatto, oggi, Pietro Pizzarotti è soprattutto un grande tifoso del Parma. Ed incontrarlo non è mai banale. Tra amarcord, presente e futuro di un Parma che sta cercando di ripartire dopo due stagioni da dimenticare. «Però bisogna dire subito - spiega Pietro Pizzarotti - che io il Parma adesso lo vedo solo in tv. Non sono più andato al Tardini».
In ogni caso come stai vivendo questo momento del Parma?
«Non sono dentro alle dinamiche attuali ma mi sembra chiaro che negli ultimi due anni qualcosa non ha funzionato. Cosa non so, non vivo più da vicino la società».
Certo che non deve essere stato facile per te separarsi dal Parma, dopo un'avventura indimenticabile.
«Non ti nascondo che per me è stato traumatico e mi è dispiaciuto moltissimo, una società che per me ha rappresentato molto. Ci avevo messo tanto impegno e tanto tempo, devo dire che per un certo periodo il Parma era diventato la mia vita. Però ero anche pronto a questo distacco, perché il nostro obbiettivo era comunque chiaro sin dall'inizio (in sintesi far rinascere il Parma, riportarlo in alto e poi cederlo ndr), sapevo che non avremmo tenuto il club per vent'anni. Il momento di vendere è arrivato grazie all'arrivo di una compagine giusta, un acquirente serio e determinato. E abbiamo venduto, sapevamo che l'avremmo lasciata andare, eravamo preparati».
Forse il distacco è stato troppo repentino?
«Penso di sì, non vorrei aggiungere altro. Penso di sì».
Forse nell'approccio alla città, per capire le relazioni con i tifosi. E non ha aiutato la pandemia che ci ha allontanati tutti...
«Al di la di tecnicismi calcistici, dove ognuno ha la sua idea, dove ognuno giustamente gestisce l'azienda come ritiene meglio. Più che altro potevamo aiutare a capire Parma, a capire la gente, i parmigiani. Credo che sia stato un distacco molto secco, traumatico. E sicuramente il periodo non ha aiutato, tutti ci siamo rinchiusi in casa».
E perché non vieni più al Tardini?
«A un certo punto ho detto basta. Semplicemente sentivo che fosse meglio per me staccare un po'. Ma è una questione mia, una cosa personale».
E adesso come te lo immagini il futuro del Parma? In fondo sei sempre socio di questo club, pur in minoranza.
«Credo che per un imprenditore che arriva in una realtà come è quella del calcio italiano sia quasi inevitabile commettere alcuni errori. E allora penso e spero che di questi errori si sia fatto tesoro e che da ora in avanti si vada in un'altra direzione. Non so cosa non abbia funzionato ma mi sembra che ci possa essere una svolta importante. Anche perché le potenzialità sono altrettanto importanti».
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