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Il caso-incubo

Cave Fratelli Filiberti, Malta non paga la commessa: «Noi falliti e assolti, e ora affittuari della nostra azienda»

Cave Fratelli Filiberti, Malta non paga la commessa: «Noi falliti e assolti, e ora affittuari della nostra azienda»

di Roberto Longoni

15 Luglio 2022, 03:01

Piane di Carniglia (Bedonia) - Era la loro azienda e anche di più. Era il passato del nonno Luigi che la fondò nel 1928 e del padre Francesco che a 86 anni ancora va in cava all'alba, in cerca di rotte da aprire. Era il loro futuro di fratelli e soci. Quasi un secolo di storia scolpita nella roccia a picco sul Taro. Difficile pensare a qualcosa di più concreto, specie quando gli incrementi di bilancio sono del 25 per cento all'anno. Prima della frana. Anzi, delle frane, precipitate una dopo l'altra quasi prendendo la mira: uno stato straniero che non paga, una banca che fallisce, un'agenzia specializzata in truffe su larga scala e, come se non bastasse, l'accusa di essere suoi complici e non invece sue mancate vittime da spolpare. E per questo soggetti da sanzionare e da portare in tribunale, per indebita compensazione, reato per il quale si rischia da un anno e mezzo ai sei di carcere. La vicenda si è chiusa con l'assoluzione di Michele Filiberti, legale rappresentante della Cave Fratelli Filiberti, perché il fatto non costituisce reato: il giudice Beatrice Purita ha sposato in pieno le richieste non solo del difensore Andrea Cantoni, che si è preso a cuore il caso anche a livello umano, e dello stesso pm Massimiliano Sicilia a sua volta convinto dell'innocenza dell'imputato. La verità è emersa in aula, ma intanto l'azienda era naufragata. Fallita oltre un anno fa.

Ora Michele e Alessandro Filiberti quasi chiedendo permesso varcano la soglia della sede che fecero costruire nel 2000. Da proprietari che erano, sono diventati affittuari, finiti in casa d'altri senza essersi mossi. Sono ancora lì, mani callose e vestiti imbiancati non perché siano finiti nella polvere, ma perché la polvere è l'eco della pietra nella quale è incisa la loro vita: la pietra di Carniglia. La «Bedonia», che, ha colonizzato il mondo. E fu proprio da un lavoro oltremare che cominciarono i guai.

I Filiberti si aggiudicarono l'appalto per il Parlamento di Malta progettato da Renzo Piano: una commessa da una dozzina di milioni. Vinsero loro, da soli, battendo la concorrenza di inglesi, spagnoli e turchi spalleggiati da ambasciatori e governi. In ballo c'era anche il prestigio: l'opera sarebbe stata considerata una delle 7 meraviglie di pietra della contemporaneità.

Sa quasi di beffa che tra i requisiti richiesti ci fosse innanzitutto la solidità finanziaria. «L'avevamo eccome» sottolinea Michele. Gli altri erano la proposta economica e le soluzioni tecniche, voce alla quale l'azienda bedoniese ottenne 96 punti su cento: la seconda classificata 71. Pronti, via, e subito i guai. «Il materiale imposto, estratto da una cava a Gozo, non era performante - ricorda Alessandro -. Fummo obbligati a riprogettare parecchie cose. Anche i tempi di consegna della pietra erano troppo lenti». Non solo. Per la posa, la Cff si era affidata a una ditta di Bolzano che fallì (dopo aver incassato l'anticipo). Una seconda impresa si rese conto di non farcela dopo una settimana. «E quella bestia lì (il Parlamento, ndr) andava realizzata in un anno».

Intanto, il Governo maltese cominciò a pretendere variazioni in corso d'opera. Non solo: dall'oggi al domani variò lui stesso. Il nuovo esecutivo dei costi aggiuntivi non volle sentir parlare. I maltesi presero a dare direttamente ai fornitori i soldi che avrebbero dovuto versare ai Filiberti. Che tuttavia continuavano ad avere le loro scadenze. I due fratelli cominciarono ad anticipare denaro di tasca propria. E proprio in quel periodo una banca italiana, per questioni che nulla avevano da spartire con loro, per evitare il tracollo, chiese in anticipo il rientro dei finanziamenti. La Cff, come tutte le altre aziende, fu presa in contropiede. La banca fallì. E subito scattò la segnalazione in Centrale dei rischi. «Per effetto domino, fu immediata la cessazione dei crediti da tutti gli istituti. A quel punto, noi, da sempre considerati di Rating 1, ci ritrovammo soli».

All'epoca, i Filiberti avevano 46 dipendenti in Italia e 7 in Albania. «Per loro tenemmo duro - ricorda Michele - nonostante tutti i consigli di portare i libri in tribunale». Tra i conti da pagare ce ne furono di dolorosissimi nella vita privata. Per entrambi. Nel frattempo, si erano accumulati debiti con il fisco per 900mila euro. Fu allora che, seguendo il consiglio di un'azienda esposta per una cifra ancora maggiore, i Filiberti si rivolsero alla Mdc, agenzia specializzata in compensazioni tributarie. Convinti da timbri e controtimbri notarili, da documenti all'apparenza ineccepibili (ma falsi), i fratelli presero per buona la proposta di farsi compensare 900mila euro di tasse per il 2017/2018 in cambio del versamento di 700mila euro alla Mdc.

«Eravamo tranquilli. Peccato che nel 2018 - ricorda Michele - in ufficio si sono presentati i funzionari di Equitalia, dicendo che c'erano 900mila euro da pagare». L'unica soddisfazione dei Filiberti è di non aver versato nemmeno un cent di quanto richiesto dagli F24 inviati dalla Mdc solo un paio di settimane prima. «Rateizzazioni, rottamazioni: le provammo tutte e ci mettemmo a pagare. Ma la rincorsa non fu sufficiente. Si credette che noi fossimo d'accordo con la Mdc (che, stando a una sentenza andata in giudicato, si è resa protagonista di una truffa multimilionaria su scala nazionale, ndr) e l'Agenzia delle entrate considerò il debito pieno, al quale aggiunse la sanzione». A quel punto, al fisco si dovevano tre milioni. Su per giù la cifra che Malta si era rifiutata di pagare. Per la Cff non c'era più nulla da fare. Fallita. E ora (amaramente) «assolta». Prima ancora che dalla giustizia, dal mercato. I dipendenti ora sono più che dimezzati e in Albania tutto è fermo. Ma - per citare solo due progetti - a New York si sta rivestendo un grattacielo di «Bedonia», a Tokyo, il basamento del più grande Buddha asiatico sarà realizzato nella stessa pietra. «Ma i committenti devono riscoprire che ci siamo ancora - sottolinea Alessandro, diventato amministratore della Ff Stone: dopo il fallimento, il fratello non può ricoprire l'incarico -. Si naviga a vista, con contratti da rinnovare ogni 4 mesi con il curatore. Niente potrà farci tornare quelli di prima». Ci sono ancora, in affitto in casa loro, falliti per cause altrui.

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