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INCHIESTA CONQUIBUS

Aversa patteggia e risarcisce. Scattano 15 rinvii a giudizio

Aversa patteggia e risarcisce. Scattano 15 rinvii a giudizio

di Georgia Azzali

22 Luglio 2022, 03:01

Un nome di primo piano nell'ematologia. «Aversa, non l'Ematologia di Parma, Aversa! Perché il mio nome penso che ancora nel mondo abbia un certo peso», così diceva il professore, il 23 settembre 2015, parlando con un'informatrice scientifica della Janssen, società farmaceutica milanese, per farle capire che era necessaria la sua «benedizione» per far entrare i farmaci nel reparto. Specialista di fama, Franco Aversa, oggi 72enne, ex primario dell'Ematologia del Maggiore e ordinario all'Università di Parma, finché nell'ottobre del 2018 non fu travolto dall'operazione «Conquibus». Farmaci «sponsorizzati» in base alla generosità delle case farmaceutiche. Aversa finì per alcuni mesi ai domiciliari con una lunga serie di accuse: corruzione, tentata corruzione, induzione indebita, ma anche truffa e falso. E ieri, davanti al gup Beatrice Purita, ha deciso di chiudere i suoi conti patteggiando 2 anni (pena sospesa). Un accordo che ha avuto il via libera dopo che Aversa ha garantito circa 80mila euro di risarcimento, grazie anche al lavoro dell'avvocato dell'Azienda ospedaliero-universitaria, Paolo Moretti. Era stata raggiunta un'intesa per il patteggiamento anche per Paola Gagliardini, la titolare della società di Perugia che collaborava spesso con Aversa nell'organizzazione di convegni e l'altra maggiore imputata del caso, ma alla fine la sua posizione è stata stralciata perché sono emersi alcuni problemi sul risarcimento del danno.

Ma erano 33 gli imputati, tra cui camici bianchi ancora in servizio al Maggiore, dipendenti dell'Ateneo, imprenditori e manager del settore farmaceutico e tre società, e per 15 è scattato il rinvio a giudizio. Il giudice ha poi condannato le parmigiane Pamela Criscuoli e Alessandra Leporati a 5 mesi e 20 giorni ciascuna: entrambe, accusate di falso, avevano scelto il giudizio abbreviato. Via libera anche ad altri quattro patteggiamenti, sempre entro i 2 anni e a pena sospesa, per Maria Gullo, Maria Lanza, Gino Tosoratti e Mariateresa Zanelli. Escono invece totalmente dal processo dieci imputati, tra cui i parmigiani Antonio Mutti, ex direttore del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, il medico Francesca Re e Paolo Schianchi. Mutti e Schianchi dovevano rispondere di falso, mentre la Re di corruzione. Non luogo a procedere, inoltre, per le tre società coinvolte (Csc di Perugia, Celgene e Gilead di Milano), accusate di aver violato la legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Un impianto accusatorio che ha tenuto, considerando i patteggiamenti degli imputati principali e il fatto che alcuni «non luogo a procedere» siano stati chiesti dallo stesso pm Emanuela Podda, che aveva coordinato l'inchiesta portata avanti dal Nas di Parma.

Un luminare del trapianto di midollo, Aversa. Eppure, secondo l'accusa, avrebbe siglato un patto di ferro con alcune case farmaceutiche: più soldi per convegni ed eventi, più possibilità di garantire grande diffusione ai propri medicinali. Ma l'ex numero uno dell'Ematologia avrebbe potuto contare anche su una schiera di fedelissimi, oltre che sulla stretta collaborazione di Paola Gagliardini, perugina, titolare della Csc, società organizzatrice di convegni ed eventi.

E se i soldi non arrivavano, le insistenze - secondo l'accusa - si facevano sempre più pesanti, tanto che ad Aversa era contestata anche l'induzione indebita.

Infine, la truffa. Alle casse del Maggiore, perché tra il 2013 e il 2016 avrebbe fatto visite a pagamento in uno studio medico di Veroli, nel Frusinate. Attività che non avrebbe potuto svolgere, secondo la procura, essendo direttore di struttura complessa. Un rapporto esclusivo, con un'indennità di oltre 18mila euro all'anno. Ma ora un po' di denaro è tornato nelle casse del Maggiore.

Georgia Azzali

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