CONQUIBUS
La voce, raggiante, è quella di chi si è tolto un peso, o meglio, un macigno dallo stomaco. Francesca Re, dopo quattro anni, è uscita totalmente dal processo «Conquibus» perché il giudice ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto. «La sentenza dimostra che quanto ho sempre dichiarato rispondeva alla verità - dichiara - Si tratta di una soddisfazione grande, profonda: è stata fatta giustizia».
Francesca Re è un medico ematologo di 53 anni che lavora al Maggiore dal 2005. Formatasi a Bologna, si è trasferita per tre anni negli Usa, a Washington, come ricercatrice all'Istituto nazionale della salute, per poi fare ritorno in Italia e lavorare per i successivi tre anni a Milano, al San Raffaele, approdando infine all'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Un curriculum di tutto rispetto adombrato da un'accusa risultata non vera. «La professione medica rappresenta un lavoro molto delicato - osserva Francesca Re -; il contatto con i pazienti impone rigore e trasparenza. Dopo quattro lunghi anni, durante i quali ho dovuto subire profonde umiliazioni, esserne uscita pulita e vincente rappresenta una soddisfazione enorme».
Francesca Re inizialmente è stata travolta da un'onda devastante. «E' stato un fulmine a ciel sereno - racconta - stavamo vivendo anni di grande fermento scientifico e siamo rimasti completamente disorientati da quanto è improvvisamente accaduto».
Francesca Re ha sempre proseguito il proprio lavoro, non avendo ricevuto alcun tipo di procedimento disciplinare da Ospedale e Ateneo. «Ho però subito una riorganizzazione totale del lavoro - precisa - e ho dovuto fare i conti con un substrato emotivo molto pesante da sostenere. Sono sempre andata avanti con la voglia di dare il massimo per i pazienti. Mi sono chiesta più volte in cosa avessi sbagliato e, ricostruendo i fatti, mi sono convinta della mia innocenza; questo mi ha spronata a credere nella giustizia».
Non sono mancati i momenti di scoramento. «Adesso posso finalmente dire di essere giunta alla fine di questa triste vicenda - osserva - ma ho vissuto momenti di profonda sofferenza, oltre a dover fare i conti con un grande impegno a livello fisico, mentale e economico».
Fondamentale anche l'aiuto arrivato dalla famiglia. «Vivo in una famiglia meravigliosa e ringrazio per lo straordinario supporto i miei genitori e mia figlia - aggiunge - Loro mi hanno saputo dare una prospettiva, la luce, ma soprattutto la forza per affrontare determinate situazioni. Averli sempre al mio fianco è stato fondamentale per non essere in preda a sensazioni di solitudine, per non fermarsi troppo a immaginare quello che la gente può pensare di te, non sapendo come si sono svolti i fatti».
Anche gli amici giocano un ruolo primario. «In queste situazioni riscopri le vere amicizie - commenta - Ci sono persone che ti discreditano e ti umiliano, mentre altre continuano a darti prova della loro fiducia».
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