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Intervista

Woyo Coulibaly, dalla banlieue alla maglia crociata

Woyo Coulibaly, dalla banlieue alla maglia crociata

di Dal nostro inviato Vittorio Rotolo

25 Luglio 2022, 03:01

Pinzolo - È il 2012: a Gonesse, banlieue a nord di Parigi, c'è un ragazzo che con il pallone ci sa fare. Lì, dove è nato da genitori di origini maliane, lo conoscono tutti. Un giorno, da quelle parti, capita un osservatore: gli basta poco per avere la conferma di non aver fatto un viaggio a vuoto. Woyo Coulibaly ha solo 13 anni e il suo apprendistato calcistico lo ha svolto per strada. L'incontro con quel talent scout gli cambierà la vita. «Mi portò al Le Havre, dove ho fatto poi tutta la trafila delle giovanili fino all'esordio in Ligue 2, nel 2019» racconta l'esterno del Parma, tra i più convincenti nell'amichevole giocata contro la Feralpisalò, dove è stato schierato sulla trequarti.

Soddisfatto della sua prestazione?

«Sì, mi sono trovato abbastanza a mio agio. Da esterno alto, posso sfruttare la mia velocità».

Non è poco avere accanto uno come Vazquez.

«Franco ha una classe cristallina e colpi che non hanno nulla a che vedere con questa categoria: quando giochi insieme a uno come lui, tutto diventa più semplice».

Quali impressioni ha ricavato dalle prime settimane di lavoro?

«Anche a Pinzolo abbiamo trovato una temperatura più gradevole: la montagna è tutta un'altra cosa, se penso al caldo che abbiamo lasciato in città... Questo ci sta permettendo di allenarci nelle migliori condizioni possibili. La squadra sta bene: siamo un gruppo unito, che sa di doversi calare nella mentalità della B.

Sarà una stagione impegnativa, ma noi che abbiamo il privilegio di indossare la maglia del Parma non dobbiamo temere nessuno. Il nostro compito è lavorare sodo per portare questo club più in alto possibile: voglio la serie A».

Dei nuovi arrivi, si sta facendo notare Buayi-Kiala: la colonia di francesini cresce.

«Sono rimasto colpito dalle sue qualità: è un giovane interessante».

Lei è un classe '99: non ha molti anni in più di Buayi-Kiala o dello stesso Bonny, però può far loro da chioccia.

«E sono felice, specie se questo può farli migliorare».

Come si trova con mister Pecchia?

«È un allenatore che sta cercando di dare alla squadra la sua impronta di gioco: un'ottima guida. Ci trasmette i suoi concetti, ed è bravissimo in questo. Ma di lui apprezzo anche la capacità di tenere ben saldo il gruppo».

Facciamo un passo indietro: lei come si è avvicinato al calcio?

«Seguendo le orme di mio cugino: a Gonesse giocavo per strada, in cortile o sul marciapiede, con mia mamma che mi teneva d'occhio dalla finestra di casa, Dai 6 ai 13 anni, è stato così: sfide interminabili, ginocchia sbucciate, ma tanto divertimento. L'approdo al Le Havre è stata una svolta: lì ho cominciato a giocare sul serio, acquisendo disciplina tattica. Ricordo l'emozione nel giorno dell'esordio in Ligue 2: un pari contro lo Chamois Niortais, ma una bella prestazione personale».

Com'è stato invece l'impatto con l'Italia?

«Prima di tutto, si mangia benissimo: per me che adoro la pasta, è il massimo. A livello calcistico, le differenze sono notevoli: in Italia le squadre sono compatte, serve intelligenza tattica. In Francia, si punta più sulla corsa e sulle individualità».

Un giudizio sulla stagione scorsa, a livello personale?

«Ero partito molto bene: Maresca mi aveva lanciato subito, sentivo la sua fiducia. Poi ho dovuto fare i conti con un infortunio alla coscia: sono stato fuori tre mesi e ritrovare la condizione non è stato facile. È stata una stagione di ambientamento, comunque utile».

C'è un giocatore cui si ispira?

«Mi piace molto Cancelo del Manchester City, ma non ho un idolo in particolare. Anche da piccolo, in tv, il calcio lo guardavo pochissimo: ho sempre preferito giocare».

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