GRAZIE ALLA SECCA
Il Po, specie nei momenti di magra, è un «libro di storia» aperto per tutti coloro che vogliono conoscere il passato dei nostri territori. Lungo i suoi spiaggioni, come accaduto anche di recente, si incontrano spesso cumuli di mattoni che rimandano a remote costruzioni, a volte interi paesi, che un tempo sorgevano dove oggi scorrono le acque del vecchio Eridano.
Di fronte a Sacca di Colorno il Po ha restituito i resti del vecchio abitato di Cella, uno dei tanti borghi scomparsi a causa delle erosioni operate nel tempo dal Po. Oggi si tratta di un isolotto, di fatto uno scrigno di storia e di ricordi; una pagina, anzi un «capitolo» del nostro passato. Nei giorni scorsi (in tempo prima che il nubifragio di giovedì rimpolpasse le acque e lo inghiottisse di nuovo), due stimati studiosi e cultori di storia locale, Paolo Affanni e Cesare Conti, accompagnati da un barcaiolo locale, sono andati direttamente sul posto, a visionare e immortalare i resti di Cella.
«La più antica testimonianza dell’esistenza della frazione di Cella risale all’epoca medioevale – spiegano Affanni e Conti – e infatti tra gli anni 1185 e 1215 si svolse un processo atto a stabilire la pertinenza della chiesa di San Clemente di Cella alla pieve di Santo Stefano di Casalmaggiore. Colorno e Casalmaggiore provenivano da quattordici anni di forti contrasti e da una pace siglata tra il 1183 e il 1188. Era facile quindi intuire la necessità di questo processo che alla fine volse a favore dei cremonesi. Il contendersi di Cella nasceva sicuramente dalle forti modificazioni del territorio dovute al lento e continuo spostamento del corso del fiume Po». Come spiegano i due studiosi, «l’ubicazione originaria di Cella, della sua chiesa e del suo abitato, riportata su mappe cinquecentesche e seicentesche, è quindi indicabile a nord di Sanguigna e nella terra compresa tra la frazione di Sacca e il paese di Coltaro. Le frequenti piene del Padus, unite alla continua erosione delle sponde e alla non consona costruzione degli argini provocavano continui mutamenti alla geografia del territorio tra il Parmense e il Cremonese. Inizialmente il paesino si trovava ad essere unito al territorio casalasco, ma con il passare del tempo e i continui cambiamenti del corso del fiume finì per ritrovarsi a far parte delle terre del marchesato di Colorno. Documenti – proseguono Affanni e Conti – riportano il passaggio nel 1601 della parrocchia di Cella, la cui chiesa ricostruita probabilmente negli anni e dedicata a San Pietro Apostolo, alla diocesi di Borgo San Donnino, l’odierna Fidenza».
La chiesa, ricompresa nel vicariato foraneo di Pieveottoville, era una rettoria, cioè dipendente dalla chiesa parrocchiale di un altro luogo. L’elenco dei parroci che operarono a Cella tra il 1600 e il 1767 è riportato sull’Enciclopedia Diocesana Fidentina di Dario Soresina, conservata nell’Archivio della Diocesi di Fidenza. Nel diario del canonico della Collegiata di Santa Margherita di Colorno Costantino Canicetti (o Canivetti) è ripetuto spesso il nome di Cella e la frazione viene anche nominata relativamente a una alluvione del Po del 10 aprile 1627 che ne sommerse le case.
«Anche nell’archivio parrocchiale di Colorno sono presenti numerosi documenti che riportano il nome di Cella. Viene indicato tra questi documenti anche l’ultimo battesimo effettuato in una abitazione privata della frazione nel 1764. A metà del Settecento – spiegano i due esperti – il territorio di Cella cominciò ad essere lambito dalle acque del Po che continuavano ad avanzare verso il colornese; si erano infatti creati due rami distinti del fiume destinati ad allargarsi e ad unirsi in località Giare di Coltaro. In una mappa disegnata del 1772 da Giuseppe Abbati, cartografo incaricato dal duca Filippo di Borbone di rilevare il territorio colornese (mappa conservata in una collezione privata), si osserva che del Comune di Cella di Colorno rimangono, in quel momento, solamente una casa e la chiesa. Il resto dell’abitato aveva cominciato a scomparire inghiottito dall’acqua a partire dal 1760».
«Un’altra cartina (presente nell'Archivio di Stato a Parma) disegnata da Paolo Gozzi, a servizio del duca Ferdinando di Borbone, riporta che Cella e la sua chiesa furono definitivamente cancellate nel 1778. Nel 1836 – aggiungono Affanni e Conti – il vescovo Luigi Sanvitale fece alienare l’ultimo appezzamento di terra salvato dalle acque e rimasto di proprietà della chiesa di Cella, che venne acquistato da un certo Giuseppe Ferrari di Colorno. Il ricavato fu destinato alla sagrestia della chiesa di San Pietro Apostolo in Fidenza. Recentemente, con la crisi idrica e il conseguente abbassamento del livello delle acque del Po, è affiorato l'isolotto vicino allo spiaggione dell’isola Maria Luigia e a poche centinaia di metri dal porto di Sacca».
Su questo isolotto si sono portati appunto Paolo Affanni e Cesare Conti per un emozionante sopralluogo: «Sono visibili resti di una costruzione appartenente per ubicazione all’abitato della frazione di Cella. Sono presenti mattoni di fattura seicentesca/settecentesca insieme a frammenti di coppi e di pavimentazione in ciottoli e cotto. La stessa tipologia di resti – concludono – è visibile anche sotto il pelo dell’acqua e si estende per qualche metro negli immediati dintorni dell’isolotto».
Paolo Panni
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