IL DELITTO MANTOVANI
Sedici anni. Una lunga parentesi per molti di noi abituati a cancellare tutto troppo in fretta. Un tempo brevissimo, perfino sospeso, per una famiglia che si è vista strappare una parte di sé. Era la sera del 12 settembre 2006 quando Aldo Cagna uccise l'ex fidanzata Silvia Mantovani: l'aveva aspettata al buio, fuori dallo stabilimento dove lei faceva la campagna dei pomodori, aveva speronato la sua auto e l'aveva accoltellata. E tra poco Cagna, condannato a 30 anni, potrebbe chiedere la semilibertà. Così, dietro le sbarre passerebbe solo la notte. Già da alcuni anni beneficia di permessi che gli consentono di trascorrere uno o più giorni fuori dal carcere. «E' intenzionato a presentare istanza per la semilibertà - conferma l'avvocato Claudia Pezzoni, che ha assistito Cagna durante l'intera fase processuale -. La decisione competerà, però, al tribunale di sorveglianza di Firenze, visto che è detenuto a Porto Azzurro».
Dopo aver fatto tappa in via Burla e nel carcere di Ferrara, Cagna è rinchiuso ormai da tempo nel penitenziario dell'Elba. Un carcere che ha sede in un complesso del XVI secolo, ma che, proprio perché in un'isola a grande attrattiva turistica, può offrire maggiori possibilità di impiego nelle strutture ricettive del territorio. All'interno dell'istituto, poi, ci sono attività produttive: una falegnameria, un borsificio e un'azienda agricola nelle quali lavorano i detenuti. E così Cagna ha avuto la possibilità di avere i primi permessi, in alcuni casi anche documentati da qualche foto postata su Facebook già nel 2017. Un profilo con un altro nome, che pure richiama il suo, nel quale ha pubblicato alcune immagini: lui al mare, lui con qualche amico, due ragazzi - forse compagni di carcere - che spazzano una strada, ma anche un bel tramonto e un cagnolino. Pochissimi post, tra cui quello sopra l'immagine del cane: «Perché non rispondi... ho trovato chi mi capisce», scrive. E accanto pubblica qualche faccetta sorridente.
Capello corto, fisico piuttosto possente, è quasi irriconoscibile se si pensa a quando fu arrestato: arrivò in questura con la chioma trattenuta da una mezza coda, barba, pizzetto e quello sguardo allucinato. Ma il nuovo look conta poco. C'è qualcosa di profondamente cambiato nel nuovo Cagna? «E' da tempo che non lo incontro, ma ogni tanto lo sento telefonicamente - spiega l'avvocato Pezzoni -. Penso, però, che gli anni di carcere l'abbiano cambiato. Sicuramente continua ad ottenere la liberazione anticipata (uno sconto di 45 giorni per ogni sei mesi di pena scontata, ndr), il che significa che mantiene un comportamento corretto e porta avanti il percorso di rieducazione».
Anche quello verso la semilibertà sarà un percorso, ma un certo tratto di strada è stata fatto e - almeno formalmente - Cagna avrebbe i requisiti per ottenerla. Potrebbero passare però alcuni mesi dalla presentazione della domanda prima di avere una risposta dal tribunale di Sorveglianza. La semilibertà comincia nel momento in cui il magistrato di Sorveglianza approva il piano di trattamento provvisorio, che il direttore del carcere deve predisporre entro cinque giorni dall’arrivo dell’ordinanza del tribunale che ha dato il via libera.
E' la prospettiva (legittima) di chi, come Cagna, oggi 44enne, ha scontato almeno metà della pena e ha dimostrato di voler intraprendere un cammino per il reinserimento. Eppure, c'è l'altra parte della storia. Quella di chi ha dovuto solo subirla la trama crudele. Un capitolo cominciato nel 2006 e mai chiuso. I familiari di Silvia - la mamma Laura, il papà Carlo e la sorella Laura - sono sopravvissuti. Con dignità. E continuano a distillarlo quel dolore immane. Nella loro riservatezza. In silenzio anche di fronte al futuro di Cagna. «Come avvocato, capisco che un detenuto possa ottenere determinati benefici: la nostra Costituzione prevede che la pena tenda alla rieducazione del condannato - sottolinea Stefano Freschi, che ha assistito i genitori e la sorella di Silvia durante tutta la vicenda processuale -. Ma è comprensibile che da parte dei familiari ci sia sconcerto: chi ha subito un dramma così devastante fa fatica a comprendere che l'assassino della propria figlia possa tornare in libertà».
E' come risprofondare nell'abisso di sedici anni fa. Anche se finora, comunque, avevi soltanto boccheggiato.
Georgia Azzali
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