Il caso
Troppo tardi, le dissero nel 2010, rispondendo alla sua domanda di indennizzo. E invece era troppo presto: tempo qualche anno e le sue condizioni psicofisiche si sarebbero compromesse ancora di più, sia per l'incedere della patologia che per i pesanti effetti collaterali dei farmaci: e allora la prescrizione sarebbe stata a sua volta «prescritta». Così, una parmigiana 53enne che nel 1984 aveva contratto l'epatite C in seguito a una trasfusione di sangue infetto ora riceverà un risarcimento di quasi 18mila euro da parte del Ministero della salute. La causa è stata discussa nella Terza sezione civile del Tribunale di Bologna (città nella quale ha sede anche l'Avvocatura dello Stato). Non un gran che come cifra, d'accordo, ma potrebbe trattarsi solo di un anticipo (oltre che di una vittoria morale). «Ottenuto il risarcimento, torneremo a richiedere l'indennizzo che fu negato 12 anni fa da una commissione e non da un giudice - sottolinea l'avvocato Claudio Defilippi legale della signora -. Si tratta di 750 euro ogni due mesi, ovviamente con gli arretrati dal 1999: rivalutati almeno del 25 per cento come previsto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che si pronunciò su questo argomento nel 2014».
Trentotto anni e una prima sentenza giudiziaria, dopo che la vita di Emma (la chiameremo così) aveva proceduto più che altro per diagnosi. Tutto cominciò nel lontano 1984, con un incidente stradale. Emma, allora appena quindicenne, venne ricoverata d'urgenza al Maggiore. Oltre a un grave trauma cranico e facciale aveva riportato fratture in varie parti del corpo. Era giovanissima, aveva una forte fibra e la fortuna di ricevere le cure migliori dagli specialisti di diversi reparti. I medici fecero la loro parte: dopo tre settimane, la ragazza poté essere dimessa.
Ma la sua vita non sarebbe stata uguale a prima. Per rimediare alle forti emorragie, era stato necessario procedere a due trasfusioni, con cinque sacche di sangue. Che Emma abbia contratto in questo modo il virus nessuno l'avrebbe messo in discussione. A stabilirlo per prima fu la stessa commissione dell'ospedale militare di La Spezia chiamata ad affrontare il caso nel 2010, dopo che la paziente aveva fatto domanda di indennizzo nel 2009, in seguito a un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni. La patologia sa essere molto subdola: Emma, di avere l'epatite C, lo aveva scoperto solo nel 1999, con un esame del sangue al quale aveva finalmente deciso di sottoporsi, per capire la causa dell'astenia che non le dava tregua. Per la commissione la richiesta di indennizzo era tardiva. Da La Spezia, Emma rientrò a Parma con una vittoria sul riconoscimento delle cause che sapeva piuttosto di beffa.
Intanto, l'alfa-interferone e la ribavirina con cui i medici avevano trattato la malattia le aveva procurato pesanti conseguenze dermatologiche: prima tra tutte una psoriasi autoimmune con dolorose e vistose manifestazioni cutanee in varie parti del corpo. Effetti collaterali per i quali dovette essere anche ricoverata. Già l'epatite ha pesanti ripercussioni sul comportamento e sullo stato d'animo dei malati: macchie e lesioni (perfino sul viso) aggiunsero disagio al disagio. La vita relazionale di Emma, come attestato anche da uno specialista, ne risentì in modo considerevole, soprattutto nelle fasi più acute della psoriasi. Ora il suo stato di salute è migliorato. Ha comunque avuto la forza di reagire. E di non perdere la speranza.
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